L'ora topica di Carlo Dossi. Gian Pietro Lucini

L'ora topica di Carlo Dossi - Gian Pietro Lucini


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ma non ne racconti le fasi.

      Fanciullo undicenne, nel 1861, gli balena nella vergine fantasia un Don Chisciotte della Mancia; epigrammi, canzoni d'occasione, versi sciorina; milanesi quelli: «In occasion d'on invit a festa de ball». La Caduta di Milano (1862) sfoggia l'ottava rima; per le teste di legno del suo teatrino da marionette, annoda l'intrigo della Cacciata dei Re, recitata a viva voce da lui e Guido, fratello minore; nel 1865, pubblica rappresentazione di una comedia: Lodovico Ariosto, collaboratore, per la prima volta, Gigi Perelli, vestiarista di genio, Tranquillo Cremona, che disegna i figurini de' costumi indossati per la recita dai bimbi dell'asilo, cui Claudia Antona-Traversi, parente de' Pisani, istituì a Sannazzaro de' Burgondi.

      Poco dopo, si dà al giornalismo e spaccia l'infantile La Trombetta, due o tre numeri, cinquanta centesimi la copia manoscritta in redazione con Guido: — trasformata in Giornale delle Famiglie, numero unico, a contenere nientemeno che La Convenzione (di settembre), Lumi sull'antica scrittura egizia, seguiti da una gramatica, Progetto d'imposta lucrosissima allo Stato, ed il resto. Ma L'Aurora sorge ed assorbe il Giornale; ebdomadaria, poligrafata, tenera, porporina si completa nell'azzurro di un altro mattino raggiante, dopo quattro numeri di vita (1864-65). La Palestra letteraria.

      Intanto, scolaro ginnasiale, Carlo Dossi aveva perduto appetito, salute, sonno dietro una nuova e geniale interpretazione dei geroglifici figurativi d'Egitto, e ne aveva, come vedemmo, proposta la grammatica, forse più logica delle altre molte, che, oggi, i dotti, nei loro dizionarii empirici, mandano a torno per riempire le teste e li scaffali delle librerie. Poi, sedendo sulle panche liceali, appunta la critica contro la così detta pubblica istruzione; la dimostra seminario e semenzajo di coscienze già bacate, sopra le quali si deposita la patina del clericalume. Il primo racconto che si legge in: «Giannetto pregò un dì la mamma che il lasciasse andare a scuola...» — ed il titolo stesso è già per sè una acuta ironia, per quanto evidentemente ispirato dai capitoli del Lorenzo Benoni di Giovanni Ruffini — descrive costumi sacerdotali ed educativi, ha il medesimo significato morale; termina colla morte dell'innocente, col trionfo delle canaglie, precisamente, come nella vita. A riscontro, Luigi Perelli gli poneva Istruzione secolare», perchè la pedanteria laica, vale il gesuitismo bigotto; e l'equilibrio si ristabilisce così, ottimamente, in Italia. — L'anno dopo, da solo, Carlo Dossi ritenta la pubblicità, nel breve cerchio dell'ambito famigliare: «Per me si va tra la perduta gente». Spunto iniziale de' Ritratti umani; grotteschi, schizzati a volo, della Gente-per-Bene, caricature di scombiccheratori illustri, patentati, academici di tele e di carta; punge l'amaro assenzio tra le verbene e le violette profumate del sentimentalismo, tra le rosate vainiglie, elettuari delle speranze. Beppe Marini, il protagonista, sofre e si riconsola; contempla fantasime di fede e di speranza, ritto al capezzale della sposa seminuda, angelicamente, sognando, mentre la luna la inalba.

      Di quel tempo, sorse la Società del Pensiero; il Dossi ne divenne l'anima, il segretario perpetuo; mentre Luigi Perelli, organizzatore nato, la attuava funzionalmente. Fondata un 14 Marzo del 1865, visse due anni; ragunata intima e precoce, «che doveva, poi, in breve, trasformarsi nella Palestra Letteraria. La sola idea di questa gara geniale ch'ei promoveva, altruista anche in questo, tra i nuovi ingegni italiani, lo poneva in rapporto con quanto vi era di grande in Italia»[4]. Sette furono i soci giovanetti della Academia novissima: e vi andavano a leggere, senza catedra e senza inamidata e cinica grettezza, o: Una discussione tra il sole e la Luna udita da quei famosi astronomi Perelli e Pisani, o: Un viaggio alla ricerca delle origini di un filo di ferro, o: Le osservazioni sopra due vasi antichi, o: La pena di morte, o: Delle origini delli stuzzicadenti, o: Le osservazioni contro il cristian uso della inumazione dei cadaveri. — Sfoggi di ironia, di erudizione, di bizzarrie aforismatiche, di compromissioni, tra la serietà e la scienza, dileggio, funambolica imaginazione; contenevano, in germe, l'arte e l'atteggiamento della prosa completa di Carlo Dossi. Questi ne sottoscriveva un Album scientifico letterario, espressione stampata ed ufficiale della Società, il quale ebbe due numeri soli, il primo del 27 Marzo 1866, l'altro del 30 Aprile, essendosene sospese le pubblicazioni «stante le attuali eventualità di guerra» — Bella prova di letteratura, che correva a trasformarsi in azione armata, che abbandonava la penna per la carabina! Sì che le ragioni della patria, dopo i campi cruenti, venivano a manifestarsi in altre pacifiche battaglie, non diversamente proficue e nobili per la integrazione d'Italia; e da quelle unite riplasmavasi il nostro moderno carattere nazionale, auspice La Palestra letteraria.

      Si diffuse, e durò tre anni, da una specie di sottoscala ampio e basso di Via Monte Napoleone 26, — Casa Padulli —, immesso tra la portineria e l'appartamento de' Pisani, in ragione verticale, dove pochi gradini più in su, si aprivano a due battenti le porte di quella abitazione[5] «a quanti buoni e geniali vi faceva convenire fortuna, da Tranquillo Cremona, ancor tutto elegante come la sua prima maniera, a quel mingherlino e pallido Primetto, milanese ancor di Ferrara, che, sotto la materna carezza di donna Ida, la mamma del Dossi, scioglieva spesso in lagrime dolci la naturale mestizia».

       Quello stanzino ingombro riboccava di carte, di mobili, di idee: vi giungeva Gigi Perelli pieno della conversazione con Rovani, da cui aveva immagazzinato ingegno per una settimana[6], «epigrammatici lampi, frasi degne, or di scatolino e di bambagia, ora di bronzo, un subbisso di imagini e tutte nuove fiammanti, comiche antitesi e osservazioni soavissime si rincorrevano senza riposo sulle sue labbra». Ma, a riordinar l'estetico guazzabuglio, concorreva Primo Levi; le sue mani venivano a visitare la confusione, col sole, che ciarlava col suo raggio più alto in mezzo al solfeggio della conversazione giovanile; perchè, qui, conveniva a sfoggiare la propria ed alacre primavera quella gazzetteria garrula, spregiudicata, intensa, cordiale, coraggiosa, tumida di molte virtù, che ai tempi grigi della borghesia arrivata, appajono, se non delitti, riprovevoli esuberanze.

      Si lesse il primo numero della Palestra nel dicembre 1867; bandiva un programma di continua fragranza: «Offrire alla gioventù, che ama muovere i primi passi nella letteratura, un campo vergine, esclusivo ad essa, dove provare le proprie forze:» proclamava: «tutta la gioventù italiana è chiamata a far parte della società.» Si era istituita una commissione esaminatrice dei lavori da pubblicarsi; i più bei nomi vi facevan parte; oggi, li vantiamo glorie nelle scienze e nelle arti. Un Luigi Cremona; un Paolo Ferrari, indicato dai recenti trionfi di sulla ribalta comica; un Leopoldo Marengo, che faceva lagrimare i belli occhioni lombardi sopra la patetica di Celeste; un Vincenzo Masserotti fisico e medico di tono italianissimo, allievo di Scarpa e di Borda; un Giuseppe Pellegrini, filosofo del diritto di alta dottrina vichiana, istitutore privato, più tosto che piegarsi alle imposizioni dell'I. R. governo austriaco; Giuseppe Rovani; Giovanni Schiapparelli, illustratore del cielo e della terra; Bersezio, Dall'Ongaro repubblicano poeta di stornelli per l'indipendenza; Guerrazzi; Mauri, che allevava l'infanzia con tenerezza di nonna e perdonava ai capricci dei giovanetti con bonomia manzoniana; Settembrini, che spumeggiava anticlericalismo e repubblica insieme e demoliva i Promessi Sposi; Tommaseo; Correnti; Cibrario, storico d'alto garbo guicciardinesco, più amico della verità che di Cavour, di Garibaldi e di re Vittorio; Mamiani filologo e diplomatico; Mantegazza; Gabriel Rossa; Carducci di fresco assunto ad una catedra bolognese, dopo di avere, per il primo, cantato il tricolore in Piazza della Signoria nel '59, e, per il primo, bestemiato d'Italia dopo Mentana, coincisa in sull'anno rattazzino; Arnaldo Fusinato, Fra Fusina, delle satire e delle lepidezze politiche e patriottiche. — Per tre volumi completi la pubblicazione si avvicendò; ora introvabili, eccitano la cupidigia del bibliofilo; se li leggete rappresentano, in breve, aureo anello, le più belle ragioni, le più ricche e rosee illusioni, lo sforzo nativo e sincero verso il divenire di una generazione, verso l'assettarsi di una patria. La Palestra Letteraria, come La Diceria, come La Giunta alla Derrata, proposta da Giosuè Carducci per rintuzzare le burle, le invettive, le caricature, che dai cruscanti academici e dai frigidi fanulloni delle lettere andava buscandosi lo spirito innovatore, si riportava contro il catedrante, li uomini del falso buon gusto, i fossilizzatori della vita e dell'arte, perchè le temono e si affidano solamente alla storia togata, perchè le ha mummificate. Il catedrante, l'uomo che ha la bigoncia al posto del cuore e del cervello, che stranisce all'incontro di un punto e virgola, cui non avrebbe messo lì, che professa, a tavola, al caffè,


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