Vita di Francesco Burlamacchi. Francesco Domenico Guerrazzi

Vita di Francesco Burlamacchi - Francesco Domenico Guerrazzi


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del mondo, e a Carlo parve prossimo il tempo di porre la mano sul dominio del mondo, poichè alla Spagna, al regno di Napoli, al ducato di Milano, alla Borgogna, ai Paesi Bassi, all'Austria, all'Africa in parte e all'America ora si aggiunse l'essere capo dello impero, e collegati con lui da un lato i principi germanici, dall'altro i diversi stati italiani. Ma larghezza non fa grandezza; chi troppo abbraccia meno stringe, un po' perchè la forza manca, e un po' perchè la materia discorde e fra sè pugnace non si lascia agguantare: molte le vittorie riportate da Carlo ed anco dal figliuolo Filippo contro la Francia, e nondimanco riuscì loro impossibile soggiogarla, talvolta invasero le provincie francesi o vuoi dalla parte d'Italia o vuoi dalla parte di Borgogna, ma quindi ebbero sempre a sostare, e ad accordarsi; e ciò perchè quanto più s'inoltravano e più occorrevano in duri intoppi, quali sono la guerra popolesca, la diffalta dei viveri, la desolazione, lo incendio: i danari mancavano, però il bisbiglio sommesso poi il ribellarsi riottoso della milizia condotta al soldo, le malattie ed altri che non si narrano guai: a non ritrarsene correvano il rischio del tarlo che si ammanisce il sepolcro nel buco che scava. Aggiungi due flagelli che minacciavano del continuo lo impero, i Turchi e i luterani. Formidabili i primi, di tratto in tratto con danno pari allo spavento invadevano la Ungheria e minacciavano Vienna, sicchè sul più bello bisognava lasciare in asso le imprese e correre a rintuzzarli se non si voleva che il Turco allagasse in Europa; questo per di fuori, dentro limava l'autorità imperiale la setta luterana; e se si affermasse che a Carlo poco calessero le faccende della religione, non si direbbe il vero; devotissimo cattolico egli era, di ogni pratica osservante; non passava giorno che non assistesse ad una messa, qualche volta a due; si comunicava tutte le feste capitali dell'anno; almanco un'ora il giorno meditava sopra i misteri della fede: può darsi che il diavolo sovente lo tentasse intorbidando le pure linfe della sua devozione con qualche immagine di futuro acquisto, ma la buona volontà ci era; e tutto ciò senza pregiudizio di tenere in carcere papa Clemente VII, di chiudere un'occhio perchè ammazzassero il figliuolo di Paolo II, di minacciare il cardinale di San Marcello, che poi fu papa Marcello I, di farlo buttare nell'Adige se non si rimaneva da sobillare i padri del concilio perchè piantassero Trento, con altre cosiffatte dolcezze. Oltre pertanto quest'odio feroce di beghino, lui moveva con ispinta se non più veemente almeno pari la paura che i luterani sotto pretesto di libertà religiosa gli scalzassero il trono: nè oggimai questo punto rimaneva dubbio, nonostante le proteste e le dichiarazioni in contrario di Lutero e de' suoi, le quali in simili congiunture sempre si fanno, non si credono mai, e tuttavia sempre si rifanno; onde, l'eresie ogni giorno più impigliandosi in Germania, crescea per Carlo la necessità della guerra germanica, se pure non volesse sopportare con pazienza che l'autorità imperiale illanguidisse, e con essa mancasse la suggezione delle provincie dell'Austria: e tuttavia Carlo si trovava travolto nella più acerba guerra che avesse mai assunto con la Francia; nè le lusinghe per continuare mancavano; facile come sempre la prima impressione in cotesto paese, arduo inoltrarsi. San Desiderio ei prese, ma per inganno non per virtù: la stagione iemale gli stava addosso; l'annona scarsa, l'erario vuoto, l'esercito in procinto di ammotinarsi; male da questo lato, peggio dall'altro tanto che Francesco scorato esclamava: «O mio Dio come mi fai pagare cara questa corona che sperava tu mi avessi conceduta senza spine!» e ormai ai voleri del destino si rassegnava; però ognuno dei combattenti, secondochè succede, sapeva in qual punto lo affliggesse la scarpa; onde di un tratto ne surse la più strana pace, quella di Crepy, che mai si fosse vista: per essa la Francia ottenne vinta quello che appena le sarebbe stato lecito sperare vittoriosa; le conquiste fatte da entrambe le parti si restituissero; Carlo accordasse per moglie al duca di Orléans o la figlia propria o quella di Ferdinando suo germano; se la figlia, portasse in dote i Paesi Bassi, se la nipote, il ducato di Milano; con altri più patti che al nostro assunto non preme ricordare; però lo imperatore, astutissimo uomo, in virtù di cotesta pace ottenne in prima la sicurezza che non lo avrebbe il re di Francia molestato pel reame di Napoli nè per le Fiandre; non soccorso il re di Navarra, quantunque congiunto, per lo appunto come aveva costumato Ferdinando il Cattolico dirimpetto al re di Napoli; e' sono tutti di razza; per ultimo o per via di pace o di tregua Francesco tolse il carico di assettarlo col Turco; dall'altro lato Carlo lasciava Francesco ad accapigliarsi con Enrico re d'Inghilterra per causa di Bologna, sicurtà di fatti assai più efficace che di parole anco giurate: nè qui finirono i vantaggi; chè in virtù di patto segreto tra loro convennero instare affinchè il concilio si radunasse, e le mutue forze mettessero insieme per isradicare la eresia, minaccia della tirannide così in Francia come in Germania.

      Poichè agli uomini dispiacciono o piacciono le cose secondochè loro apportarono o presumono riportarne utile o danno, così questa pace fu giusta simile stregua o celebrata o ripresa; nè fra gli strani solo, sibbene anco nelle famiglie delle parti contraenti; al delfino seppe mal di morte, onde, venuto in iscrezio col fratello D'Orléans, se ne temevano guai: sicchè quando più tardi di un tratto cotesto principe scomparve i cortigiani l'ebbero per provvidenza, volendo essi servire sì, ma servire tranquillamente. Gli stati d'Italia seguaci delle sorti di Carlo vivevano di pessima voglia presentendo scemata la propria autorità e il giorno di non lontana ruina: all'opposto i parziali di Francia aprivano la mente a superbe speranze o almeno quali era dato concepire allora alla degenerata razza latina: opprimere di seconda mano brani di popolo strappato di bocca al maggiore padrone straniero.

      Di fatti la Francia tanto s'innamorò di cotesta pace che si mise coll'arco del dosso a negoziare l'accordo fra lo imperatore e il Turco, nè questo potendo ottenere, strappò una tregua, di un'anno prima, poi di cinque. Chiunque non avesse perduto il bene dello intelletto avrebbe conosciuto espresso che Carlo scarrucolava Francesco: tuttavia questi non se ne voleva accorgere; quello che gli talentava doveva essere, e i cortigiani tacevano: non si ha a sturbare il sire, nè pure coll'annunziargli la necessità suprema della morte imminente; però quasi sempre gli casca addosso come il nibbio che abbia chiuse le ale. Al nostro assunto non preme riferire il diuturno inganno; basti solo che la Francia alle ingiurie austriache quando potè non seppe o non volle apportare riparo, quando poi o volle o seppe ella non potè. —

      Carlo, assettatesi a questo modo le cose dintorno, prese ad attendere alle faccende di Germania come uomo che vuole venirne al chiaro; e davvero n'era tempo, perchè lo indugio pigliava vizio, e di che tinta! Cesare aveva convocato la dieta a Vormazia con questo intendimento, che quivi si deliberasse la necessità di un concilio dove si avessero a definire le quistioni religiose, e poi al giudicato si stesse; che insomma era lo adempimento di quello che due anni prima fu stabilito alla dieta di Spira: ma da ora a quel tempo gran tratto ci correva; imperciocchè allora facendo mestieri a cesare tenere quieta la Germania, anzi cavarne sussidi per la guerra contro la Francia, con editto imperiale aveva conceduto che fra tanto e finchè il concilio si convocasse i protestanti senza molestia la religione loro liberamente professassero; la quale concessione appellarono Interim, che appunto nello idioma latino suona frattanto. Ai protestanti, che allora non si sentivano abbastanza gagliardi, non parve vero quel po' di respiro, e non istettero a guardarla tanto pel sottile: adesso poi, sentendosi forti da sostenere l'assunto repugnavano mettere ogni cosa in compromesso, considerando come Carlo non avesse più bisogno di piaggiarli, all'opposto mirasse a finirli, e come nonostante i passati e i recenti rancori ei si fosse accontato col papa ai danni loro, nè si sapesse se il concilio da Trento in qualche città germanica si trasportasse, e pareva che no, dacchè dopo il primo scalpore mosso da cesare per siffatta decisione del papa, ei se n'era rimasto cheto, onde a molti era entrato in sospetto che cotesti formicoloni di sorbo facessero le forche. In fine convocato il concilio l'Interim veniva a cessare: per le quali cose tutte dal concilio rifuggivano come il can dalla mazza; e avevano ragione da vendere, imperciocchè a Giovanni Hus il salvocondotto imperiale tanto non gli fece scudo che i padri del concilio di Costanza non lo pigliassero e ardessero; bene il medesimo salvocondotto salvò Lutero quando si commise alla dieta di Vormazia, ma, oltrechè il salvocondotto di Lutero fosse garantito da tutti i principi germanici i nuovi convocati non si sentivano dell'umore di lui, il quale dissuaso dall'andare coll'esempio di Giovanni Hus e di Girolamo da Praga rispose incollerito: «Levatemivi dinanzi, che io ci vo compire ad ogni modo, quando anco ci avessi a trovare tanti diavoli quante sono le tegole sopra le case.» E poi in conchiusione, quando pure volessero correre rischio del salvocondotto imperiale ora tutela, ed ora insidia, Ferdinando fratello di cesare che faceva per lui, di dare sicurezza non voleva saperne, onde si rendeva manifesto, ch'essi andavano a mettersi addirittura in bocca al lupo. Ferdinando secondo l'usanza vecchia


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