Vita di Francesco Burlamacchi. Francesco Domenico Guerrazzi

Vita di Francesco Burlamacchi - Francesco Domenico Guerrazzi


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di più, creduta sempre dagli uomini, i quali nonostante perfidiano a volere essere chiamati animali ragionevoli, dava apparenza onesta, anzi santa, a fini fraudolenti, e diceva: il Turco stare sul collo alla Germania, sbrigatosi della guerra persica tornerebbe più terribile che mai ai danni dei cristiani: durante la brevissima tregua aversi a provvedere arme ed armati per dare buon recapito a questo flagello di Dio: alla necessaria concordia per conseguire tanto fine fare ostacolo le dissidenze religiose, difficili a comprendersi, impossibili a definirsi, cagione di guai interminabili a disputarsi: qui più che altrove essere mestieri che un consesso augusto quanto autorevole dichiarasse le norme a cui i cristiani tutti avessero a stare, ed a quelle si stesse; però finchè i Turchi non fossero dispersi, ciò si mettesse da parte; ne parleremo a causa vinta. — I papisti che sapevano o indovinavano la ragia esclamavano; «perfettamente;» ma i protestanti di contrasto: «No davvero, prima andiamo d'accordo, e poi saremo con voi: patti chiari amicizia lunga:» alla meno trista si stabilisca subito una dieta, e finchè non vi si decidano gli screzi sia prolungato l'Interim; bene inteso però, che la si dovesse tenere in qualche città dello impero, nè il papa la convocasse, molto meno la presiedesse egli, giudice e parte. — Da un lato l'imperatore puntò i piedi, i protestanti dall'altro i piedi e le corna; la ragione più da questa parte che da quella; la pertinacia pari in entrambe; si sciupò tempo; parole a fusone, e, come di ordinario accade, non conchiusero nulla.

      Egli è da credersi che i protestanti avrebbono lasciato passare tre pani per coppia se lo imperatore col mutare dei tempi non avesse mutato animo dandolo a divedere troppo apertamente, ma ora premendo a costui lusingare il papa contro i Protestanti schizzava veleno: più di ogni altro valse a metterli in sospetto il caso dell'arcivescovo di Colonia: questi, insigne per pietà e per dottrina illustre, prese a tedio i romani errori, si piacque propagare nella sua diocesi le credenze dei protestanti giovandolo in questo zelantissimi coadiutori Melantone e Bucero, i quali trovarono non che atto il terreno, disposto; nemici solo ed infesti i canonici della cattedrale, nè già per amore di dogmi, bensì per moltissimo amore delle dignità e delle comodità loro, i quali, subodorato il vento e conosciutolo favorevole, si appellarono al papa come superiore chiesastico, allo imperatore come superiore civile; questi senza dare tempo al tempo, timoroso che il papa non gli preoccupasse il sentiero, tosto da Vormazia, dove allora si tratteneva, mandò un decreto ai canonici perchè vigilassero la fede della chiesa di Colonia e bandissero ribelle chiunque le contraffacesse, allo arcivescovo perchè dentro trenta giorni si presentasse a Brusselle per iscolparsi delle accuse messegli addosso. Oltre questo esempio, spaventavano i novatori la persecuzione dei loro correligionari nei Paesi Bassi, il divieto di salire sul pulpito ai predicatori protestanti a Vormazia, la balìa ai cattolici di tirare a palle rosse dalle bigonce e dagli altari contro i luterani.

      Intanto si apriva il concilio di Trento; e lo imperatore, da quello svelto ch'egli era, voleva menare il cane per l'aia per pigliare tempo a compire gli armamenti e al punto stesso tranquillare i protestanti per coglierli alla sprovvista, e quando pure si avessero a mettere subito le mani in pasta, si cominciasse dalla riforma dei costumi e degli abusi della Chiesa: ai dogmi si penserebbe più tardi: accetta ai protestanti la riforma dei costumi, era agevole prevedere che nella trattativa dei dogmi sarebbesi incontrato l'osso. Il papa dal canto suo strologava per cavare il concilio da Trento, o se questo non poteva conseguirsi indilatamente, si definissero gli articoli della fede. Nonostante però quel fare alle braccia fra imperatore e papa, o per cacciarsi sotto l'emulo o non esservi cacciato, insieme poi ordivano fitto contro il comune nemico; in questa moriva Lutero, i cattolici ne menano gazzarra, i luterani si accosciano, e a torto entrambi: le necessità dei tempi si creano mano a mano come l'orologiaro fa l'orologio; compito ch'ei sia, rimarrà eternamente fermo se taluno non dia impulso al pendolo; all'orologio del tempo chi dia lo impulso non manca, imperciocchè per uno dei moventi che caschi ne subentrano dieci; e non lo trattiene scapito espresso anzi neppure la morte: quindi erra chi pensa che creasse il moto colui che si trovò a imprimergli l'ultima spinta; antichissima la materia del luteranesimo, Arnaldo, Savonarola, Giovanni Hus, Girolamo da Praga ed altri parecchi lo avevano ammannito, ma non ne vennero a capo, e per poco la fiamma che arse i corpi loro non ne abbruciò la memoria; a Lutero arrise la fortuna, però da lui si noma la riforma: da tutto questo se ne inferisce che la cosa messa su lo sdrucciolo per via va senza mestiere che uomo la spinga dietro; quindi la riforma procedè senza Lutero, come Lutero, caso mai avesse mutato partito, non avrebbe potuto farla stornare un'oncia: chi desta lo incendio non può spegnerlo poi.

      Tuttavia il moto sarebbesi rallentato, o per indole della gente alemanna naturalmente gingillona, o per le bindolerie dello imperatore, maestro insigne di queste, se la troppa garosità della corte non fosse venuta a sbraciare il fuoco e ciò accadde perchè, deferita a Roma la causa dello arcivescovo di Colonia, al papa non parve vero di cogliere il destro per ostentare autorità, e quindi di punto in bianco, postergati i consigli, tenuti in non cale gli avvertimenti, ecco emana una bolla che lo spoglia delle dignità ecclesiastiche e, previa la consueta scomunica, scioglie i sudditi dal giuramento di obbedienza a cui erano tenuti. I protestanti s'inalberarono: temendo ognuno per sè, si rinforzò la concordia; tanto più veementi adesso quanto prima avevano ciondolato; al timore del danno si arroge la stizza di vedersi giuntati.

      Con tali auspicii si apriva la dieta dello impero a Ratisbona: ci convennero i principi alemanni parziali a cesare, i protestanti se ne tennero lontani mandandovi in vece loro procuratori a rappresentarli: pretesto per non andare le soverchie spese a cui non potevano sopperire stante le angustie dei tempi, causa vera la paura di essere presi pel collo. Dicono che lo imperatore alla dieta di Ratisbona dimostrasse arguzia straordinaria, conciossiachè, invece di scuoprire i propri concetti, li tenesse con bell'arte celati, invitando i principi raccolti a palesare quello che sentissero e volessero, lui chiamarsi parato ad eseguire quello che a loro fosse piaciuto deliberare; a me sembra che questi sieno ganci diritti, dacchè ogni uomo si accorse che la proposta dello imperatore ai principi cattolici rassomigliava alla domanda dell'ospite all'oste: se ha buono il vino; pertanto ad una voce sentenziarono a quanto sarebbe per giudicare il concilio di Trento sacrosanto si avesse a piegare il capo sotto pena di sentirselo tagliare. Molto meno poi si comprende questa astuzia a che cosa approdasse quando ei subito dopo spedì per le poste il cardinale di Trento a Roma per sollecitare gli aiuti del papa, chiamò milizie dai Paesi Bassi, concesse a Giovanni e ad Alberto di Brandeburgo di levarsi in armi per cavare, se loro riusciva, Enrico di Brunswich dal carcere del langravio di Assia tenuto in conto di capo della lega di Smalcalda: sovente si annaspa per non perdere il vezzo di annaspare, e tale loda un atto nello imperatore che nel plebeo flagellerebbe a sangue. I rappresentanti si fecero a trovare Carlo per essere chiariti sopra gl'intendimenti suoi, ed essi domandando erano più che persuasi non ne avrebbero spillato niente che valesse; lo imperatore, rispondendo, fermo ad agguindolarli, se poteva: tempo perso e che tuttavia si perde: forse perchè l'uomo, non potendo esercitarsi nella lealtà, si trastulla volentieri con le apparenze di quella.

      Stretti col papa i patti della lega, depositati i danari pei sussidi su banchi di Venezia, convenuto il numero e la qualità dello esercito ausiliario, accordati i capitani, distribuite indulgenze, messe in pronto le scomuniche, promesso che per sei mesi non si facesse pace, e dopo i sei mesi in verun modo senza il consenso del papa si conchiudesse; bene fra loro detto e ridetto e replicato poi scopi della guerra essere due o, per dire meglio, uno distinto in due atti cioè il primo estinguere il veleno dell'eresia, il secondo spartirsi le spoglie degli eretici; uno non si era mai fidato meno dell'altro, però lo imperatore, bugiardo più di due re, bandiva essere trascinato alla guerra pei capelli, non già per causa religiosa, Dio guardi! sacre le coscienze, credesse ognuno come meglio gli talentasse, solo volere richiamare all'osservanza dell'autorità imperiale alcuni tracotanti che se la mettevano sotto i piedi; ciò essere non pure suo diritto, ma obbligo espresso; diversamente, cessato o rilassato il vincolo della confederazione, anarchia dentro, debolezza fuori. Queste cose dava ad intendere Carlo come il pescatore gitta le reti: se chiappano, chiappano; e pel fine di riuscire, potendo, a mettere le male biette fra i protestanti, ed anco secondo le contingenze piantare il papa ed accomodarsi con loro. Il papa stizzito perchè Carlo la trinciasse da furbo in capite, mentre questo posto pretendeva egli (e a diritto, imperciocchè dove lo imperatore volesse per sè il primato delle armi e delle frodi, o che restava al papa?) spiffera tutto l'accordo della lega facendo toccare con mano come lo imperatore mentisse, e scopo principale della lega consistesse nella persecuzione


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