La novellaja fiorentina. Vittorio Imbriani

La novellaja fiorentina - Vittorio Imbriani


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in viaggio con tutto quel corteo dreto, perchè tutti volsan fare onoranza a quella che gli aveva liberati da morte a vita. Al vedere arrivare in città quella schiera di cavaglieri con alla testa la ragazza, che gli splendeva la stella in sul capo, la gente correva e gli accompagnò per insino al portone del palazzo. Il Re scese a incontrargli; e, quando fu per salire la scala, disse:—«Qui c'è' una legge: prima di vienir su, bisogna dare uno stiaffo o sputare in faccia a questa sciaurata confitta nel muro.»—Dice la ragazza:—«A questa legge noi non ci si sta. Chê: non si fanno di simili birbonate.»—E senza tanti discorsi se n'andette co' su' fratelli a albergo in una locanda. Il Re gli era disperato; perchè e' non voleva mancare alla su' legge, e gli dispiaceva che quelle tre belle persone non stessero a desinar con lui, anco per rimerito del bene che gli avean fatto nel bosco. Manda un'ambasciata, che lui si contenta che passino in senz'obbedire alla su' legge. Ma la ragazza disse:—«Quando si viene a desinare dal Re, a tavola ci ha da essere anche la padrona. Non si pole stare allegri colla padrona a quel gastigo.»—Il Re non sapeva propio come contenersi. Ma poi lo vinse la brama che que' tre stessano alla su' mensa, e comandò che la moglie si cavasse di drento al muro e fusse rivestita da Regina. Poera donna! gli era secca finita, allampanita, che non si reggeva in sulle gambe, tanto aveva patito per tant'anni! Quando tutti furono a tavola che mangiavano allegramente (all'infuori delle zie, che tremavan come foglie dalla paura che si scoprisse ogni cosa), la ragazza tirò di tasca il Canto e il Sono della Sara Sibilla, e quell'arnese principiò a ballare e sonare in sulla mensa, e cantava a tutto potere:—«Quest'è la mamma, e questi i su' figlioli: e le zie l'hanno tradita.»—Il Re a sentir quel canto venne in sospetto; e le zie in quel mentre eran casche in terra tramortite. Sicchè lui le fece arrestare e mettere in prigione; e la su' moglie gli raccontò quel che loro gli avevan fatto. Cercorno della Menga e si seppe da lei tutto il tradimento. Il Re allora inviperito comandò che si rizzasse in piazza una catasta di stipa, e sopr'essa volse che ci si bruciasser vive tutte e tre quelle porche lezzone[5], e così gastigate fu finita la miseria.

      NOTE

      Un certo fiorentino

       Si recava ad un pubblico festino

       Di soppiatto alla moglie. Se n'accorse

       La scaltra donna; corse

       Gridando come ossessa

       A trattenerlo e volle andarvi anch'essa.

       Frattanto, indispettito,

       Il povero marito

       Le disse:—«Moglie diavola, vedrai

       «Che te ne pentirai.

       «Credimi, per tuo danno,

       «Benchè in bautta, ti conosceranno.»

       Giunti appena al ridotto, un giocatore,

       Ch'era stato più volte perditore,

       Spogliando una primiera,

       Forte sclamò:——«Lezzona! sei venuta!»—

       Lo sposo allor:—«Consorte, ei ti saluta.

       «Dàgli la buona sera.

       «Se' tu ancor persuasa?

       «T'hanno già conosciuta. Andiamo a casa.»

      È una facezia popolare; e m'è piaciuto riportarne questa lezione del Zanetto, per ravvicinarla all'altra, più nota, del Pananti:

      Il penultimo dì del carnevale,

       Desiderò d'andar Berta alle sale

       Ove un grosso si fa pubblico giuoco.

       Pier, suo marito, sen curava poco;

       Ma quella tanto si raccomandò,

       Ch'ei disse di condurla:—«Ma però

       «Purchè riconosciuta tu non sia;

       «Se ti conoscon, ti conduco via.»—La

       donna allora si contenta e tutta

       La faccia si copri con la bautta.

       Vanno; e appunto si mettono davanti

       A un giocatore pieno di disdetta.

       Che attaccata l'avria con tutti i santi.

       Fe' primiera, e gridò dalla saetta:

       —O B....., alfin ci sei venuta.»

       Allor Pietro:—«Andiam via, t'ha conosciuta.»—

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