La novellaja fiorentina. Vittorio Imbriani
e poi gli diedano de' panni perchè si mutasse; e quando si fu riavuto lo volsano a cena con loro. Il Re non capiva in sè dall'allegrezza per quell'accoglienze, e badava a dire in cor suo:—«Ecco, potevo anch'io avere di questi figlioli, se non era la mi' moglie a mancarmi di parola. Paian proprio quelli che m'aveva impromesso.»—Alla mattina quando fu giorno, il Re s'alzò da letto per andarsene, e doppo colizione gli abbracciò e baciò tutti que' giovinotti e non si sapeva staccar di lì; pareva che ci fosse inchiodato: ma alla fine si fece animo e gli disse addio, con questo però, che lui volse che andasseno a trovarlo e stessero a desinar con lui nel su' palazzo, almeno tra una settimana. Loro l'accompagnorno giù al portone, e daccapo con abbracci e baci e pianti del Re, ognuno se n'andette per il fatto suo. Arrivato il Re alla su' casa, a corte, in quel mentre che era a tavola, raccontò tutte le cose che gli erano intravvenute, e di quelle belle creature che gli avevan dato albergo con tanta carità, e che lui l'aveva anco invitate a desinare. In nel sentire queste novità, le zie, ossia le cognate del Re, ci mancò poco che non si caconno nelle gonnelle dalla pena, perchè loro capirno bene che que' giovinotti colla ragazza erano i figlioli del Re; e se lui lo scopriva, loro dicerto l'ammazzava. Sicchè dunque infuriate corsano dalla vecchia:—«Oh! Menga, e che ne facesti voi di quelle creature che vi si diede per buttarle in mare e affogarle? Ci aresti vo' tradito?»—Dice la vecchia:—«Gua', la scatola ce la buttai nel mare, ma l'era di legno e stava a galla. Se poi gli andette a fondo o no, non stiedi mica a vedere.»—«Oh! sciaurata,»—dissan le zie;—«le creature son sempre vive e il Re l'ha 'ncontrate; e se le riconosce per sue, siem tutte morte.»—«Che rimedio c'è?»—«Il rimedio è questo. Che vo' andate, Menga, al palazzo nel bosco, quando i giovinotti son fori a caccia, a chieder la lemosina. Vierrà la ragazza e nel discorrere gli avete a dimandare se i su' fratelli gli voglian bene. Lei dirà di sì. Ma vo' avete a rispondere: Se vi volessin bene vi porterebbano il Canto e il Sôno della Sara Sibilla. Se loro vanno a cercarlo, non tornan più mai, e la su' sorella creperà dalla pena.»—La Menga subbito si vestì da pitocca e diviata se n'andette a quel palazzo nel bosco e picchia al portone.—«Chi è?»—«Una povera vecchia tribolata. Fatemi un po' di lemosina per amor di Dio e n'arete rimerito in Paradiso.»—La ragazza dunque, che era sola in casa, scese colla lemosina e la diede a quella vecchiaccia malandrina, e cominciorno a attaccar discorso.—«Chi siete? Da dove venite?»—«Son di lontano, e vo a cercar di pane: non ho più nessun de' mia. E voi che ci state sola in questo bel palazzo?»—«Chêh! i' ho anco du' fratelli, che mi vogliono un ben dell'anima. Ma tutte le mattine vanno a caccia.»—«Vi voglion bene? Perdonatemi: se vi volessin bene...»—«Che volete vo' dire? Mi parete una bella sfacciata.»—«Eh! gnora no. I' so ben quel ch'i' dico. Se vi volessin bene, non vi porterebbano i vostri fratelli degli animali morti soltanto, ma il Canto e il Sôno della Sara Sibilla. Quello davvero sarebbe un bel regalo.»—Alla ragazza (si sa le donne son tutte compagne) quelle parole della vecchia gli messano il foco 'n corpo, per la smania d'avere quel regalo: sicchè dunque, quando i su' fratelli tornorno dalla caccia, lei non era più allegra e contenta al solito. Dicon loro:—«Oh! che hai? T'è accaduto qualche disgrazia?»—«No.»—«Ti senti male? ti dole i' corpo?»—«No, no.»—«Oh! dunque, che c'è' di novo?»—«C è che vo' non mi volete tutto quel bene che vo' dite.»—«Come non ti si vol bene? Che ti manch'egli? Tu non siè' la padrona spotica d'ogni cosa e a tu' modo? Via, di' su: che ti manch'egli?»—«Cari fratelli, mi manca il Canto e il Sôno della Sara Sibilla; e se vo' mi volete bene andatemelo a prendere.»—«Ma in dov'è questo Canto e Sôno? Se si sapesse in dov'è, fuss'anco in capo al mondo, s'anderà per esso, perchè tu sia contenta.»—«Ma! i' non lo so. Ma esserci ci ha da essere: me l'ha detto una che lo sapeva; il su' luogo però non me l'ha detto.»—Insomma, per non vederla a quel modo appassionata la sorella, e anco avevan promesso all'eremita d'ubbidirla in tutto, il fratello maggiore deliberò d'andare il primo a cercarlo (se lo trovava) il Canto e il Sôno della Sara Sibilla; e innanzi di partire messe sur una tavola una boccia d'acqua chiara e disse:—«Se quest'acqua intorba, vuol dire che sono o sperso o morto, e che non tornerò più. Addio.»—Parte e camminò dimolti giorni, insino a che giunse a un luogo dove c'era un vecchino:—«Dov'andate, giovinotto?»—Ma lui, ingrugnito, gli rispose:—«La gente di bon affare non dimanda delle cose degli altri.»—«E vo', tanto superbioso, non tornerete addietro.»—E così gli accadette, perchè il giovinotto nel logo in dove andò ci rimase statua di marmo. Doppo questa disgrazia, l'acqua della boccia diventò torba, sicchè il fratello minore volse subbito partire anche lui, tanto per trovare il fratel maggiore che il Canto e il Sôno della Sara Sibilla; e come quell'altro, lasciò una boccia d'acqua alla sorella, perchè s'accorgesse se lui era sperso o morto. Arriva dopo dimolti giorni a quel vecchino:—«Dov'andate, giovinotto?»—«Vo dove mi pare; e se vo' avessi un po' di giudizio, non mi dimanderesti de' fatti miei.»—«Andate, andate pure: anche un altro, superbioso come voi, addietro non c'è tornato.»—Ma il giovinotto non lo stiede a sentire, e arrivato al posto del su' fratello, rimase statua di marmo. Figuratevi la disperazione della sorella quando vedde intorbita l'acqua della boccia del fratel minore.—«Son io la sciaurata, che gli ho morti. Ma gli vo' andare a ricercare.»—Difatto si mette in via, e lei pure arriva in dove era il solito vecchino: ma lei non gli rispose a traverso, quando lui gli domandò:—«Ragazzina, dov'andate a codesto modo sola?»—«Che volete! i' avevo du' fratelli e mi viense la brama che mi portassino il Canto e il Sôno della Sara Sibilla; e loro andettero a cercarlo, ma non gli ho più visti e di certo son morti. Me sciaurata! son io che gli ho morti.»—«Eh! se mi devan retta, la disgrazia non gli accadeva,»—disse quel vecchino.—«Come? oh! che gli avete visti? Dov'enno? per carità, ditemelo. «Ma che son morti?»—«Morti no, ma quasimente. Son diventi du' belle statue di marmo, e della compagnia non gliene manca. Ma se mi date retta, ragazzina, vo' potresti riaverli sani e vispoli, purchè vi rinusca[3] impadronirvi del Canto e Sôno della Sara Sibilla. Del coraggio n'avete? Ma badate, veh! che ce ne vole dimolto, ma dimolto.»—Dice lei:—«Purch'i' ritrovi i fratelli son disposta a tutto. Coraggio non me ne manca e n'ho a dovizia. Che ho da fare?»—«Ecco: vo' vedete questo stradone lungo lungo: bisogna camminare per insino in vetta; lassù c'è un prato, e d'attorno tante statue di marmo, e le prime son quelle de' vostri fratelli; tutte l'altre, di cavaglieri, di Regi e di principi, che cercavano il Canto e il Sôno della Sara Sibilla e rimasono lì impietriti in pena del su' ardimento. All'entrata del prato ci stanno du' feroci leoni a far la guardia; e non lascian passare, se non gli si dà un pane per uno a mangiare; mangiato che hanno, s'abboniscono e vanno a accompagnare il forastiero. Quand'uno è dientro al prato, bisogna che non si fermi mai, e giri e giri in tondo a guardar tutte quelle statue. Poi, alle ventiquattro, che sarà buio, deve mettersi ritto fermo in mezzo al prato e aspettar che soni la mezzanotte. A mezzanotte in punto nasceranno di gran rumori e comparirà una scala di cento scalini; subbito bisogna montarla per insino a cinquanta scalini e lì aspettar daccapo. Ma non ci vole temenza; perchè si vede scendere un'ombra smensa[4], co' capelli lunghi ciondoloni per le spalle, che è la Sara Sibilla. Lei scende insenza sospetto; e però bisogna di repente acciuffargli i capelli colle mane e badar che non iscappi. Allora incomincerà a urlare:—Ohi! ohi! che cercate da me?—Cerco il Canto e il Sôno della Sara Sibilla.—Chi ve l'ha detto? chi vi ci ha mando?—Rispondete diviato:—Vo' non ci avete a pensare. Datemi il Canto e il Sôno e po' vi lascio.—Lei dirà:—Lo volete rosso? lo volete celeste? verde?—Dovete risponder sempre di no, in sin tanto che non dice:—Lo volete color di rosa?—Quando la Sara Sibilla v'avrà dato quell'arnese, lei sparirà colla scala, e vo' dovete restar in sul posto in mezzo del prato insino allo spuntar del sole, e poi toccando le statue col Canto e il Sôno della Sara Sibilla, le statue ridiventeranno omini vivi. Avete vo' 'nteso?»—La ragazza, tutta contenta delle 'struzioni del vecchino, lo ringraziò ammodo, si fece dare i pani per i leoni, e via per lo stradone, sicchè arrivò all'entrata del prato ch'eran vicine le ventiquattro. Insomma lei ubbidì in tutto e per tutto alle parole del vecchino, e più brava di quelli che c'erano stati prima di lei, potette impadronirsi del Canto e Sono della Sara Sibilla: e quando l'ebbe avuto in mano codesto arnese (un arnese, ma com'era fatto non si sa) si messe a toccar le statue e in un momento il prato fu pieno di persone vive. I fratelli l'abbracciavano