La novellaja fiorentina. Vittorio Imbriani

La novellaja fiorentina - Vittorio Imbriani


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di questa dimanda. Il pranzo è imbandito, ma i giovani non mangiano altro che quello che l'Uccel Bel—Verde becca. Gli aveva detto che non dovevano mangiare altro che quello che lui avrebbe beccato. Alla fine del pranzo l'Uccel Bel—Verde chiede di poter contare una novella. Il Re è beato, la Regina madre si turba. L'Uccel Bel—Verde principia la novella raccontando la cacciata del Re; il ritrovamento della Uliva; il parto della Principessa che non aveva fatto tre cani, ma tre bei figli; ma che la Regina li aveva mandati in un bosco per essere ammazzati. Quello che doveva ammazzare i bambini ne ebbe compassione, li fece educare e poi li fece impiegare guardie della Regina. La Principessa del Re languiva da diciott'anni dentro una prigione e l'unico servo fedele della Regina era consapevole di questo misfatto. A questo racconto la Regina sviene; il Re monta in furore; si percorre il palazzo reale; si trova la povera Uliva quasi in fin di vita. L'uccello dice di essere una fata e di essere venuto per salvare quelli innocenti. La Regina madre muore di dolore. Il Re ritorna nel suo florido stato; amato dalla moglie e dai figli è ricompensato di diciott'anni di patimenti. La Regina è riconosciuta per figlia del Re d'Inghilterra; e una pace durevole si strinse fra quelle due nazioni.

      NOTE

      Chiusa in silenzio eterno, in erme tenebre,

       Dove nè tu nèd altri più mi veggiano,

       Piangerò l'altrui fallo e 'l mio martirio;

       E questi occhi che spesso ti mirarono

       Come rei mi trarrò dal capo (fossero

       Stati ciechi così già alquanto spazio!),

       O si risolveran piangendo in lagrime.

       E queste man, che sole tocche furono

       Da te, come nocenti, (poi che furono

       Tocche da man profana, immonda e perfida,)

       Troncherò da le braccia, e a me medesima

       Che 'l resto conservai renderò grazia.

      Esci, parto amoroso,

       Da l'ombra del mio core,

       Novo figlio di Febo, al sommo ardore;

       Ed or, che l'Orïente

       La notte indora in ciel chiaro e lucente,

       Quivi t'innalza e intendi:

       E poscia cadi, incenerisci o splendi.

      Similmente ne' Miracoli d'Amore dello Iacobelli (Roma, M.DC.I). Lo elegantissimo Ieronimo Vida, nella sua Fillira tanto leggiadra, descrive, che non si può meglio, i sentimenti d'un uomo converso in fonte, quando l'amica sua va a specchiarvisi (Atto III. Scena IV. Parlata di Carino che principia:

      Che non fec'io per meritar suo amore?)


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