La novellaja fiorentina. Vittorio Imbriani

La novellaja fiorentina - Vittorio Imbriani


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che comincia a cantare. E si cava l'uccellino dal seno e comincia a ragionare. Maestà s'affaccia e sente questi canti dell'albero, questi ragionamenti dell'uccello, vede questa fontana brillante e rimane estatico. E vede questi tre, due ragazzi e una ragazza, compagni come gli avea detto la sua sposa. Sente in sè un trasporto verso quei ragazzi, una cosa seria: eran suoi! Principia a discorrere a questi ragazzi:—«Oh! gran bel giardino che avete!»—dice—«gran bella cosa che avete!»—«Maestà,—dicono i ragazzi—«se Lei ci fa degni, pò venire pure a passeggiare una mezz'ora, un'ora nel giardino.»—«Ben volentieri accetterò quest'invito di venire.»—E va nel giardino di questi ragazzi, discorre del più e del meno e poi gli dice:—«Verreste a mangiare una zuppa da me?»—«Ah Signore»—dicono—«sarà troppo incomodo.»—«No;»—dice—«mi fate un regalo.»—«E allora accetteremo le sue grazie e dimani saremo da Lei.»—Il Re va via, viene a casa e dice alle sorelle:—«Domani ci ho persone a pranzo.»—«E chi ci avete?»—«Ci ho quei ragazzini di quel giardino là.»—«Quelli!...»—Esse lo sapevano che eran quelli i figlioli del Re.—«Ah noi ci dispensiamo, non si ci vole stare a questo pranzo»—dicono le sorelle.—«Perchè non ci volete stare? Son tanto boni que' ragazzi! Andiamo, andiamo, non facciamo chiasso.»—E le sorelle, gua! s'accordarono. La bambina la prende l'uccellino che parla e se lo mette in seno per andare al pranzo.—«Maestà,»—dice—«mi sono presa la libertà, ho portato ancora l'uccellino.»—«Bene: anzi sarà il divertimento della tavola!»—Quando furono sul bello del desinare gli dicono:—«Uccello, non dici niente?»—«Oh signore,»—dice—«avrei un fatto da raccontare, se Lei mi permette. Vi era un Re: in un tal tempo, non si sa per qual caso, proibì che la sera andassero fuori dalle ventiquattro in là. L'omo di cucina che sente quest'ordine, era così stanco e sudato, dice da sè: O ch'io moja di caldo o che mi faccia morir Sua Maestà, tanto è l'istesso! io vado fori. E si mette alle sponde d'Arno a prendere il fresco. Mentre che gli è a prendere il fresco, sente voci che parlano. S'affaccia. Erano tre ragazze. Una di quelle dice: O se il Re mi desse per moglie al suo scudiero, dovrebbero vedere come andrebbero le cose! L'altra: Se mi desse al maestro di casa, quello sì che vorrebbe vedere come andrebbono! La terza dice: O se Sua Maestà mi sposassi, vorrebbe vedere! Gli farei tre figli: due maschi e una bambina. I maschi di latte e sangue e i capelli d'oro, che son quelli lì; la bambina di latte e sangue coi capelli d'oro e la stella in fronte, come Lei vede. L'omo di cucina raccontò tutto al Re, che gli perdonò la vita, e maritò le tre ragazze secondo le avevan detto. Le briccone delle sue sorelle»—e l'uccellino le accenna col becco facendo col capo così—«la sua Sposa l'aveva fatto questi bambini e loro dicevano l'aveva fatto la scimmia, il cane e la tigre. E la sua Sposa è giù in cantina, murata dal collo in giù, e tutti i giorni un po' di pane, un bicchier d'acqua e uno schiaffo da quelle scimmie.»—Maestà che sente questo, corre giù alla cantina con tutti i suoi signori che avea dintorno, e trova questa infelice, murata come aveva detto l'uccellino, più morta che viva. La fa smurare, la fa mettere su di una materassa, e portare su nel quartiere a riaversi. Il Re piangeva su di lei ed abbracciava i suoi bambini dicendo:—«Tanto birbanti le mie sorelle sono state! Ma mi saprò vendicare!»—Ordina che sian rizzate le forche assolutamente nel momento. E nel mentre che la sposa cominciava a stare benino, nell'ora del pranzo, furono impiccate quelle briccone. Non si pò spiegare la contentezza di questo signore, quando vide che la sposa stava meglio e che gli perdonava. Gli chiese tanto perdono e i bambini sempre li baciava. Costì se ne stiedero tutti uniti fino che comparono. E lei gli fece degli altri figli; rimasero ricchi di tutta la ricchezza delle sorelle che avevano cose assai. E stretta la foglia e larga la via, dite la vostra che ho detto la mia. L'Uccellino che canta finisce così.

      NOTE

      2. Questa Regina Stella era chiamata,

       Più bella donna che mai fosse alcuna.

       Da sua Madonna era tanto odïata

       La quale aveva nome Mattabruna,

       Madre del Re, malvagia ed insensata.

       Notate quel che volse la fortuna....

      3. ............ Il Re non s'avvedia

       Del falso cor che Mattabruna avia.

      4. E stando un giorno insieme alla finestra,

       Vide una donna che due figli avia

       L'un da man manca, l'altro da man destra;

       In sulla piazza quella si venia

       A provvedersi per lo suo mangiare.

       Il Re la vide, e cominciò a parlare.

      5. Dicendo: «O dio, che così fatto dono

       «Hai fatto a quella donna in tanto bene!

       «Ed io, che Re di tutta Spagna sono,

       «S'io n'avessi uno sarei fuor di pene.

       «Per tua misericordia, o signor buono,

       «Mostra le tue virtù degne e serene;

       «Per tua somma possanza e buon consiglio

       «Della mia Stella mi concedi un figlio.»

      6.Or come piacque alla Vergine pura,

       Avvenne che la moglie ingravidossi.....

       Di che il Re in gran gioja ritrovossi.

       E Mattabruna, che questo non cura,

       Come la nuora Stella approssimossi

       All'ora e al punto che dee partorire,

       All'altre donne così prese a dire:

      7.Dicendo: «Ognuna vadi a sua magione

       «Ch'io voglio con mia nuora rimanere....»

       E nella zambra si serrò con lei,

       Dicendo: «O figlia, fa quel che vorrei.»

      8.Dal corpo della madre i figli uscendo,

       Ciascun uscì di grazia dilettosa,

       Cioè, con una catena d'argento,

       Intorno al collo, fra le spalle e 'l mento.

      9.Tre furo i maschi, ed una fanciulletta,

       E ciascun quella catenella avia:

       Avea una tal grazia benedetta,

       Mentre che seco al collo la tenia

       Non potea mai morir di morte in fretta.....

      10.E Mattabruna, piena di nequizia,

       Que' quattro figli subito prendia,.....

       E un suo donzello chiamar si facia.....

       Giunse il donzel, che Guido nome avia,

       Dicendo: «Dama, che t'è in piacimento?»

       Menol da un canto e diegli giuramento.

      11.E nella zambra ove portò li figli

       Lo menò e disse: «Tu mi servirai.

       Or fa che questi pargoli tu pigli;

       Dove a te piace tu li porterai.

       E d'annegarli fa che t'assottigli;

       Tal che novella non se n'abbia mai.

       E da me n'averai buon guiderdone:

       Innanzi a te, non sarà mai Barone.

      12.Ma s'io ne risapessi mai nïente

       Che tu il dicessi mai a creatura,

      


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