La novellaja fiorentina. Vittorio Imbriani

La novellaja fiorentina - Vittorio Imbriani


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la testa ai leoni e la testa al mago come la prima volta e si apparecchiò un pranzo con la sua carne e con quella dei leoni. E quando se ne volle andare, la giovane gli dette un fazzoletto, che non la dimenticasse. Trova allora un terzo palazzo più bello e più grande ancora ed una giovane che soprappassava le due altre di bellezza:—«Oimè, come sei venuto a questo palazzo, dove non arrivano mai cristiani?»—«Sono cristiano»—e fece il segno.—«Ma ci sono due tigri feroci.»—«Non ho paura.»—«Ma mio marito ti mangerà.»—«Non ho timore.»—Entra, taglia la testa alle tigri e la testa al mago, e la giovane gli dette per regalo una piccola bacchetta. E così la condusse via, e poi le altre due: che erano tre sorelle, figliuole d'un Re, rubate da que' maghi. E quando giunsero al pozzo, il giovane suonò con la campanella e fece tirar su prima la meno bella delle tre. Quando i fratelli videro quella donna tanto bella, cominciarono a disputarsi. Uno:—«Io la voglio.»— «No, io la voglio,»—l'altro.—«Date la corda!»—gridava il terzo. E così tirarono su la seconda; e vedendola più bella, cominciarono a litigare, volendol'avere ciascheduno tutta per sè. E così per la terza. Restava allora il terzo fratello nel pozzo. Ma lui, invece di attaccarsi alla corda, vi attaccò un gran sasso. Ben glien'incolse. Chè i fratelli, quando fu mezzo in su, lo lasciarono ricadere ad un tratto, pump! e credendolo morto se ne andarono con le tre principesse. Ma il terzo fratello, non sapendo cosa fare, toccò la bacchetta.—«Cosa volete che si faccia?»—«Ah»—disse—«fatemi uscire da questo pozzo.»—Eccolo subito portato sopra. Tocca di bel nuovo la bacchetta.—«Cosa vuol che si faccia?»—«Fatemi il più valente, il più bello, il più istruito, il più ingegnoso giovane che mai sia stato al mondo.»—E subito, perchè prima era piccolo, divenne grande e forte. S'incammina e va finchè giunge nel Regno del padre delle tre principesse che avea salvate. Quando entra nella città, vede preparare una gran festa. E non poteva trovare alloggio. Si dovevano celebrar le nozze de' due fratelli suoi con due figliole del Re. Entra nella bottega d'un calzolajo.—«Posso io stare in casa vostra?»—«Sì, ma io non vi posso dare a pranzare.»—L'altro giorno il terzo fratello tocca la bacchetta:—«Cosa vuol che si faccia?»—«Io voglio un cane forte.»—Ecco subito il cane.—«Vattene nel palazzo del Re e prendi la tovaglia dove stanno a pranzare, e fa cader tutto a terra.»—Il cane entra nel palazzo e fa come gli era ordinato. Disse il Re:—«Questa è una gran disgrazia. Guardie! un altro giorno non fate più entrar quel cagnaccio.»—L'altro giorno il terzo fratello tocca la bacchetta.—«Cosa volete che si faccia?»—«Un cane più forte ancora.»—Ecco il cane.—«Mettiti sotto la tavola dove pranzano e levati in su, che si rovesci la tavola.»—E il cane fece come gli era ordinato. Ma le guardie lo inseguirono; e quando lo videro entrare dal calzolajo, presero quello per condurlo in carcere. Ma il calzolaio gridava:—«Io non ho cani; domandate a tutti i vicini miei, se io ho avuto mai cani.»—Subito venne allora il terzo fratello dicendo:—«Quei cani erano miei.»—Lo condussero a palazzo.—«Appiccatelo alla forca»—disse il Re.—«È permesso che io pure dica due parole?»—«Dite.»—«A chi appartiene quest'anello?»—«È mio»—grida la più piccola delle tre figliole del Re—«me l'ha dato la mamma, quando aveva tre anni.»—«A chi appartiene questo fazzoletto?»—«È mio»—disse la mezzana—«me lo diede mia madre.»—«Chi mi ha data questa bacchetta?»—«Sono io,»—disse la terza;—«l'ho data a chi mi liberò dal mago.»—Spiegò allora chi era, e come i fratelli l'avevan voluto far morir nel pozzo. E i fratelli furono condannati alle forche e appiccati. E lui prese per moglie la più bella delle tre sorelle; e vi furono subito altri regnanti, che presero le altre due; e furono felici e vissero molti anni.

      Chi ci darà un buon libro intitolato: Grotte e caverne nella fantasia del popolo Italiano? La natura è stata povera e meschina nel creare sotterranei e nell'adornarli, appetto alla inesausta immaginazione e balzana del popol nostro.


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