La novellaja fiorentina. Vittorio Imbriani

La novellaja fiorentina - Vittorio Imbriani


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bellissima, vispola e di mente fine, sicchè l'era il passatempo del vicinato, nè si metteva su una veglia senza invitarci la ragazza, della quale[2] il nome, per quel che ne dicono le storie, fu Giovanna. Nella città vicina al paese di Giovanna comandava un Re, che pur lui aveva una figliola di molto bella, ma al contrario di Giovanna, s'addimostrava in viso seria e melanconica, e a nissuno era riuscito mai di farla ridere. Il Re suo padre stava molto in pensieri per questo naturale della figliola e s'ingegnava a tutto potere ogni dì a trovare qualche cosa di novo e d'allegro e buffone, acciò la ragazza si rallegrasse: ma tutto fu inutile[3]. Un giorno il Re discorrendo co' suoi cortegiani, uno di loro gli fece assapere, come nel villaggio presso la città fosse un contadino, padre di una figliola tanto gaja, che dov'essa era, la malinconia pareva bandita. Codesta nova racconsolò il Re oltr'ogni credere, e subito gli venne il pensiero di mandare a chiamare la ragazza per far compagnia alla propria figliola e vedere se a lei riuscisse tenerla svelta e obbligarla a ridere. Senza indugio mandò un servitore al padre di Giovanna con ordine espresso che si presentasse al Re. Il contadino rimase di stucco a sentire che il Re lo voleva; gli vennero mille ubbìe e sospetti in capo. E' dubitava d'avere commesso qualche malestro o lui o Giovanna; ma più credeva Giovanna, perchè a quel modo scapata e di lingua lesta, che non badava a dir le sue a ogni persona e in ogni lôgo. La chiamò pertanto e con una faccia stravolta gli disse:—«Scommetto, vedi, che 'l Re mi vole per gastigarmi di qualche buaggine tua. Già, me lo figuravo, che col tuo girellonare e chiacchierare alla scapata ce ne doveva venir male.»—A cui Giovanna:—«Vo' avete tanta paura e io punta. Di dove cavate che 'l Re v'ha chiamato per le mie buacciolate? Andateci, e se è per me che vi vogliono al palazzo, non indugiate a farmelo sapere, che so ben'io come regolarmi.»—Il contadino, vestitosi de' meglio panni ch'avesse nella cassa, e data una pulita al cappello delle feste, s'avviò alla città; e giunto al palazzo del Re, fu dinanzi a questo menato. E' gli parea d'esser lì alla gogna; e quantunque il Re l'accogliesse con garbo, il contadino se ne stava tremante e grullo come chi aspetta mala sentenzia. Isquadrollo il Re da capo a piedi e poi gli disse:—«Galantomo, è egli vero che a casa tu ci hai una bellissima figliola?»—A quella richiesta il contadino, abbene che se l'aspettasse, e' fu come se gli avessero dato un manico di vanga tra capo e collo, e gli si rimescolò il sangue nelle vene; andava balbuzzicando e borbottava a tragòla, quasi fosse per tirare il calzino. Il Re, visto quel rimescolìo, e' si pensò che gl'intravvenisse per sospetto della sua reale persona, per cui confortava il contadino alla confidenza e gli ripetè la domanda:—«L'ha' tu o no, questa figliola?»—E il contadino a mezza voce:—«I' l'ho. Maestà, per mi' disgrazia. Ma io non ci ho che fare se l'è un po' scapatella e allegrona. Se l'abbi commesso qualche scangèo, egli è effetto di gioventù.»—«E che m'importa degli scangèi della tua figliola?»—riprese il Re:—«Vuo' soltanto sapere s'egli è vero che la sia gaja e buffona, come m'è stato rapportato, sicchè tiene in gioja tutta il vicinato.»—«Sì veramente,»—disse il contadino;—«la mi' figliola l'è così fin da quando nascette, e non s'è voluta mai correggere. Anzi...»—Interruppe il Re:—«Queste chiacchiere non mi fanno. Torna a casa; e menami o mandami a corte la tua figliola, chè la voglio per compagnia alla mia figliola. Se gli riesce farla ridere, Giovanna, parola di Re, non sarà più povera. Corri e obbedisci.»—Al contadino gli parve essere ritornato a vita, sentita la voglia del Re. La strada per ritornare a casa gli apparì più corta che al venire; e in sull'uscio trovata Giovanna che lo aspettava bramosa, principiò a bociare da lontano:—«Allegri, allegri! il Re vuol te a tenere compagnia alla su' figliola, che a nessuno gli è riuscito farla ridere mai. Vuol te, perchè ha saputo che ridi sempre e tieni sderto tutto il vicinato a suon di chiacchiere e di buffonate. Su, vestiti, non c'è da perdere neanche un momento di tempo. E se, mattacchiona come tu sei, vieni a capo di far ridere la principessa, tu diventerà' ricca sfondolata. Me l'ha promesso il Re.»—«Vo subito,»—disse Giovanna; e a quel modo scalza com'era, e colla rocca al pensiero e il fuso in mano e i capelli su per le spalle, s'incamminò.—«Ferma»— gridò il contadino:—«Ma ti par'egli andare a corte in codesto arnese? Non ti vergogni tu? Ravvìati un po' il capo e poniti una sottana a garbo, e le scarpe in piè, e posa codesta roccaccia.»—E Giovanna:— «No davvero! Scarpe non ne ho mai portate e non vo' quell'impiccio da stroppiarmi. I' vuo' andar così. S'i' non vo a genio, torno a casa. Io non gli ho ricercati per mettermi in corte.»—E senza aspettar repliche, Giovanna se ne venne al palazzo del Re. Quando Giovanna fu al portone reale, riscontrò sentinelle e servitori; ne prese uno pel braccio e gli disse:—«Andate dal Re e ditegli che ci son io[4].»—Il servitore stette lì un po' come sbalordito; ma sapendo chi dal Re fosse aspettato, salì nell'appartamento ad annunziargli che sul portone c'era una bellissima ragazza vestita alla contadina e scalza, con una rocca a' fianchi, e che aveva poche parole e meno cerimonie in bocca. A farla breve, Giovanna venne introdotta alla presenza del Re: ma lei, senza nemmanco salutarlo, dice:—«Dove sta la Principessa?»—e il Re alzando la mano per accennare la camera, Giovanna diviata entrò colà, e a mala pena vista la Principessa, si messe a cantare una canzona tanto ridicola, accompagnandola con gestri[5] tanto buffi e sversati, che la Principessa principiò a ridere così da non poterne più; ed essendo per le risa lì lì per isvenire, gridò che Giovanna uscisse subito di camera sua. Rotto il ghiaccio, bastava che Giovanna fosse colla Principessa, che a forza di canti, di balli, di scede, di racconti buffi, la Principessa non faceva che ridere da mattina alla sera, sicchè in pochi giorni si mutò affatto il carattere della figliola del Re, e di triste e melanconica che era prima, divenne di bon'umore e sempre allegra. Il Re non capiva in sè dal contento, e nominò Giovanna damigella della Principessa; e gli disse che chiedesse pure quel che voleva, chè tutto gli avrebbe subito conceduto. Già da qualche tempo Giovanna era alla corte del Re, quando gli venne bramosia anche a lei di vestirsi alla reale; e diceva alla Principessa:—«Che non istarebbe anche a me bene la robba[6] vostra? Rincricchiata a dovere, farè' la figura che dee fare una damigella di corte. Padrona, che ve ne pare? Allora potrei pure accompagnarvi alla spasseggiata.»—Detto fatto: Giovanna fu vestita da signora, ed apparì anche più bella. Di lì a poco Giovanna cominciò a pensare che, abbene che messa come una signora al di fori, l'era poi una bella ignorante, giacchè manco sapeva leggere. E palesata la voglia d'istruirsi, subito gli dettero maestri; per cui il naturale spirito che aveva gli s'accrebbe oltre credenza e ognuno cercava la compagnia di Giovanna. Il Re poi e la Principessa la riguardavano come figliola e sorella, tanto gli volevano un ben dell'anima. Ma a dispetto delle premure che si avevano per Giovanna e della vita scelta che menava, lei, ragazza avvezza alla libertà della campagna, si sentiva spesso annojata delle cerimonie di corte e oppressa dall'aria chiusa del palazzo e della città. Un giorno disse alla Principessa:—«E che si fa noi qui rinserrate dalla mattina alla sera, sempre in sul medesimo tenore di vita? È vero che non manca nulla; ma se s'andasse via per un viaggio a divertirsi[7], a vedere luoghi e persone nove, sarebbe pur la bella cosa.»—A cui la Principessa:—«Tu se' matta, Giovanna: il Re mio padre non mi darebbe mai il permesso di andar sola con te a girare il mondo. Ti pare! Che direbbe la gente?»—«Vo' vi sgomentate di nulla!»—ripigliò Giovanna.—«Ecco la mia proposta. Sceglieremo altre dieci ragazze, tutte belle; le vestiremo tutte compagne come noi, e così viaggeremo. Chi volete che dia noia ad una frotta di dodici ragazze?»—Alla Principessa garbeggiò il consiglio e subito corse dal Re per ottenere il consenso: ma il Re negò darlo. Disse che lui era vecchio e voleva la figliola vicina; che a quei tempi e sempre le donne sole non potevano, senza pericolo e disonore, girandolare per terre lontane e sconosciute. Quindi la Principessa tornò da Giovanna, come suol dirsi, colle trombe nel sacco. Ma Giovanna non si smarrì, e disse:—«Ci anderò io dal Re e vedrete che non saprà negarmi la richiesta.»—E veramente lo raggirò in modo, a forza di moine e belle parole, e tante gliene contò, che il Re si dovette dare per vinto, impegnato pure dalla parola reale, che avrebbe conceduto tutto quello che Giovanna bramasse. Dunque Giovanna si diede ad apparecchiare ogni cosa pel viaggio; e prima trovò le dieci ragazze e fece fare dodici abbigliamenti compagni; e quando ogni cosa fu pronta, la Principessa, Giovanna e le altre
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