La novellaja fiorentina. Vittorio Imbriani
interrompendolo così gli soggiunse: Non occorre più pregare nè dar suppliche, è venuto il tempo, nè si può differire, che tu abbi in ogni modo a passare all'altro mondo. Questa è quella destra e quella saetta che toglie lo spirito anche ai primi Principi e Potentati del mondo. Questo è quel ferro che uccide gl'Imperatori e i Re. Questo è quel dardo così crudele e potente che non la perdona a sorte veruna di persone e tutto insieme uccide e distrugge poveri e ricchi, giovani e vecchi, di qualsivoglia condizione e stato alla rinfusa e senza alcuna differenza. Questa, questa saetta dunque ha da toglierti la vita et ora et in questo punto et in questo momento. Haec regios elisit hasta spiritus, Hic mucro principes viros, hic Caesares ictu potente fodit. Idem pauperes Evitat idem divites, dum sanguine promiscuo laetatur. Hoc telo et tuum denique caput petetur.»—Nei Detti et fatti piacevoli et gravi di diversi principi, filosofi et cortigiani, raccolti dal Guicciardini et ridotti a moralità, v'è il seguente aneddoto: La Morte dare grande spavento alle persone, massime alle molli et feminili:—«Una matrona molto onesta et amantissima del marito, piangeva et si doleva d'una grave malattia che egli avea, pregando Iddio, che se dovesse morire, mandasse piuttosto la morte a lei. In questo comparisce la morte d'aspetto orribile. Laonde la donna tutta spaventata et del suo voto pentita, prestamente disse: Io non sono quel che tu cerchi; egli è là nel letto, mostrandole il marito.»—
[xvi] Smorzà e Smorzà gio', spegnere.
[xvii] Pigotta (anche Popòla e Popoeura), bambola, fantoccio, pupo.
[xviii] Gipponin, farsettino, giubbettino. Il Cherubini non registra Gipponin de lett, bensì Gipponin de nott.
[xix] Lacc e Latt, più gentilmente.
[xx] Vestèe, armadio, armario.
[xxi] Il Cherubini ha solo pover.
[2] Nella Grattula—Beddattula e ne La figghia di lu mircanti di Palermu, appo il Pitrè (op. cit.) vi sono similmente de' padri, che partendo lasciano le figliuole murate in casa.
[3] Siccome nel senso di poichè, ben è dell'uso fiorentino odierno, come pure dell'uso universale in quel gergo infranciosato che fa le veci dell'italiano a' dì nostri: bene ha numerosi esempli di scrittori valenti come l'Alfieri; ma sarà sempre cansato, come un brutto gallicismo, da chiunque vuol serbar fattezze italiane nello scrivere. Il costrutto, veramente nostro, sarebbe col gerundio: Ed essendo tutte le guardie a guardare ecc.
[4] Sconta delle mie bambine: va in compenso. Saggio di Scherzi Comici, Firenze 1819. Nella stamperia del Giglio. Si vende da Pasquale Albizzi presso le scalere di Badia. Nel secondo scherzo, intitolato: L'amicizia rinnovata, ossia La Ragazza vana e civetta. Commedia in tre atti. Atto I, scena prima:—«Propio chi nun mor si riede. Ghi è tant'anni che nu' un ci siam viste. Sconta di quand' e' si staa tutt' a due 'n via Porciaia. Da ragazze si staa dirimpetto e da maritache cas' accanto. Un passaa giorno che nu' un ci trassim' assieme.»—
[5] Sarà forse non inopportuno il dar qui una scelta delle voci de' venditori ambulanti o di strada in Firenze, ossia di quegli intercalari co' quali profferiscono la loro mercanzia al pubblico, alcuni de' quali sono notevoli per umorismo e molti per gli equivoci licenziosi. Ma già l'Italiano è sboccato di natura.
Donne, laceratevi la camicia! c'è' il Cenciajolo! (Il cenciajo).
I' ho la bella bionda! (L'avellanajo).
Assuntina, ce l'ho un bocconcino, o Meo! (Il trippajo).
A chi le taglio le palle! (Il cavolfiorajo).
Chi ha i' dente diacciolo, 'un l'accosti (L'acquacedratajo).
Eccolo, i' vero medico! (Il perecottajo).[i]
Chi mi dà un soldo, gnene do due! (cioè: due scatole, non mica du' soldi come parrebbe. Il fiammiferajo).
Meglio che di cera! (Il zolfanellajo),
I' l'ho con l'uva! (sottintendi: la stiacciata).
Che robe! (Il merciajo).
Canarini che ballano! (Venditore di polenta fritta, napoletanescamente detta: scagliozzi).
Un soldo pieno, una crazia pieno! (cioè, il misurino di castagne secche).
Vero Cancelli! (Il pentolajo).
Queste le cavo ora! (Il caldarrostajo).[ii]
Co' i' pelo la càtera! (cioè: le mandorle ancor lattiginose, che mangian col guscio e col mallo).[iii]
Tutti drento dal sor Luigi! (Il venditor di siccioli).
Beccatelo ritto! (cioè: il carciofo).
Voitta come le ridono! (cioè: le testicciuole d'agnello).
I' ho de' bei bambini senza la mamma! (Il figurinajo).
Tre volte ve l'ho salati! (Il lupinajo).
Bolle, bolle, bolle, bolle. La me lo senta come l'ho caldo! (cioè: il castagnaccio).
Semina trastullino! (cioè: semi di zucca. In Sicilia i semenzari sogliono gridare: Svia—sonnu).
I' ho i moscioni! (Il marronajo).
A chi lo sbuccio i' gobbo! (L'ortolano).
I' l'ho co' i' mantiglione! (cioè: le barbebietole).
Rompi, bambino, rompi! (Il bicchierajo).
Come la me gli ha fatti la monachina! (Il brigidinajo).
Ce l'ho di Bologna! (cioè: le spazzole di padule).
I' ho i' core! (cioè: le susine).
Queste le vendo! (cioè: le granate di saggina)
Donne, buttachevi di sotto! (Il cenciajolo).
Gli è per l'oche! Ci 'ole i' pittore! Votta che tocchi! Questo ve lo do a taglio! Zucchero, oh! Sangue di drago! (Il cocomerajo), ecc. ecc.
[i] E da questa voce sembra a me che il Giusti abbia tolta l'idea di quel suo sonetto che incomincia: Verso le due m'intesi un po' malato, e termina:
Nota, il dottore, che me l'ha (le tonsille) toccate, Era un buon semolino, un pollo allesso, E un bel piatto di pere giulebbate.
[ii] Ad Italiani è supervacaneo il dire cosa sian le caldarroste. L'autore dell'articolo su Pietro Aretino, nella Biographie Universelle, traduce caldallesse, e caldarroste per bouilli et rôti chaud. Che cognizione della lingua nostra, eh?