La novellaja fiorentina. Vittorio Imbriani
di queste ragazze; e le erano tutte e tre alla finestra sulle ventitrè, facevano per prendere un po' d'aria. Gli vien voltato l'occhio per caso e vede queste tre belle ragazze; che l'eran proprio di latte e sangue, belle! Non istà a dire:—«Che c'è stato?»—La mattina si veste da poerone con un paniere di fila d'oro, e va girando:—«I' ho le belle fila d'oro! I' ho le belle fila! I' ho le belle fi'!»—E le ragazze dice:—«Si chiama quest'omo? Intanto che si sta chiuse si farà un bel lavoro, via.»—Lo chiamano; e lui:—«Comandino, cosa vogliono, signore?»—«Quanto le fate le fila d'oro?»—Gli dice il prezzo e loro gli calano i quattrini. Cari l'erano: il prezzo proprio non lo so, ma potrei anche dire immaginandolo. Dirò uno zecchino.—«Ma badino»—dice il Re—«le pesan di molto.»—«Eh!—dice loro—«siamo in tre! «Diamine, che in tre non s'abbiano a potere?»—E che ti fa, lui? S'attacca alla fune, al paniere; e su. Loro credon che le sian le fila d'oro che pesano e invece gli era il Re proprio. Loro, quando vedono che gli era un omo, loro non raccapezzano, no: lo volevan buttar di sotto. Ma lui disse:—«Ferme! sono il Re!»—e s'afferrò alla finestra.—«Avendo saputo che voi èrate sole, son venuto a farvi compagnia.»—Queste ragazze, potete comprendere, vergognate in quel momento, perchè poere; e dissero:—«Maestà, perdonate: noi siamo poere ragazze. Non vi si pol ricevere com'è il vostro merito. Ci vorrebbe altro!»—«Ah!»—dice—«Niente, niente! Io non ricerco la ricchezza. Io vengo da voi perchè di certo so che siete tanto bone ragazze. Ed io vengo per passare un'ora con voi. Quanto mi rincresce»—dice—«che non ci sia vostro padre! perchè io do tre festini: e m'incresce, perchè voi poerine non possiate venire.»—Le fanciulle gli fanno i complimenti:—«Troppo garbato, Maestà, troppo garbato.»—«Ma»—dice—«quando ci sarà vostro padre, io ne darò degli altri ed allora vo' ci verrete.»—Si trattenne un altro poco, un'altra mezz'ora, dirò; e poi gli dice:—«Addio, addio a domani.»—Si rimette nello stesso panierino, e loro lo ricalano con la stessa fune, come gli è salito. Lui va al palazzo e le ragazze rimangon lì chiacchierando di questa cosa. Dice la minore:—«Che credete che questa sera vo' non abbiate a calarmi?»—a calar giù ancora lei.—«A fare icchè»—dice le sorelle—«ti s'ha a calare?»—«Voi mi dovete calare e non ricercare quel ch'io farò.»—Dunque insisteva. Loro di no; e lei sempre:—«Voi mi calerete, vo' m'avete a calare.»—S'erano stancate: dicevan di no e lei la diceva sì.—«Vuoi calare? e tu cala!»—e con la fune la calarono. Questa ragazza l'avea preso un paniere grande. Va all'usciolino secreto di Sua Maestà. Sta in orecchi; non sente nessuno. Lesta lei principia a salire e entra nella cucina. E siccome[3] tutte le guardie erano a guardare, sapete bene, là dove s'appartiene, qua non ci pensavan neppure. Che ti fa? La prende tutte le meglio robe, tutto arrosto, potete immaginare cosa ci sarà stato! e mette tutto nel paniere la meglio roba. E poi l'altra roba, quello che era rimasto lì per Sua Maestà, tutto cenere e acqua, la gnene sciupò tutta. E poi la va via, e va in cantina: prende i meglio vini, le meglio bottiglie, tutte le qualità che lei poteva prendere. E poi dà l'andare a tutte le botti, bottiglie e tutto quel che rimase; e vien via. Corre verso casa.—«Tiratemi su! tiratemi su!»—alle sorelle.—Eccoti le sorelle la tiran su: e videro un paniere di roba, pieno d'ogni grazia di dio. Gli domandano:—«In che maniera?»—E lei:—«Zitto! ve lo dirò. Serrate le finestre e ve lo dirò!»—Serrano e gli dice:—«Io sono stata così da Sua Maestà. Ho fatto questo e questo. Ho preso tutta la meglio roba; e poi ho spento con cenere la roba da mangiare ch'era rimasta. E poi ho dato l'andare alle botti.»—Dice le sorelle:—«O cos'hai tu fatto!»—«Pensiamo a mangiare»—dice—«e non pensiamo ad altro.»—Venghiamo a Sua Maestà che di certo dopo aver ballato, ordina che gli sia messo in tavola: in tutti i festini ci è il suo buffè. Vanno i cuochi in cucina e trovan questo spettacolo. Rimangon più morti che vivi, addolorati molto, perchè non sapevan loro quel che dovevano andare a dire a Sua Maestà. Sua Maestà insisteva:—«Mettete in tavola!»—Allora un di quelli disse:—«Maestà, abbiate la bontà di venir con noi, e vedere la disgrazia che n'è seguita.»—«Ah bricconi!»—dice—«Traditori! Uno di voi gli è che m'ha fatto questo spregio!»—Loro gli si buttano ai piedi piangendo:—«Maestà, noi siamo innocenti!»—«Ah!»—dice—alzatevi. Almeno andate in cantina a prendere qualcosa da bere.»—E va da' signori e dice:—«Signori, ci è questo e questo. Si contenteranno di rinfrescarsi. Ormai la disgrazia qui c'è: qualche astro maligno, qualche fata che mi vol male assoluto.»—Gli òmini di corte vanno alla cantina e trovano il lago, più di mezz'omo. Urlano!—«Maestà, abbiate bontà di venire con noi, perchè...»—Va giù e vede tutto un lago, tutto buttato. Torna in su e dice a' signori:—«Signori, abbiano bontà. Veggon bene, non ho neppure da dar loro a rinfrescarsi. Questi birbanti chi sono?»—E piangeva per la vergogna.—«Ma domani sera, signori, metterò le guardie doppie. Così non seguirà. Perchè il primo che io posso scoprire, il pezzo più grosso dev'essere un chicco di rena. Questo ladro, questo birbante...»—I signori si licenziarono a corpo voto e Sua Maestà si mette a piangere; e pianse tutta la notte dicendo sempre:—«Sconta[4] delle mie bambine, che mi voglion tanto bene, con questi traditori che mi voglion tanto male.»—Venghiamo alle ragazze.—«Oh!»—dice—«tra poco c'è da aspettarselo, Sua Maestà; c'è da vederlo, gua', chè ce lo promesse. Non facciamo vistosità che s'è fatta questa cosa.»—E così, dopo un quarto d'ora, Sua Maestà:—«Ho le belle fila d'oro![5]»—«Eccolo!»— dice. Gli calan la fune, e lui vien su; afflitto, con gli occhi rossi.—«Maestà, cos'avete oggi?»—gli dicono.— «Ah le mie bambine, ora vi conterò quel ch'i' ho,»— dice.—«Vi ricordate voi ieri che io dissi, che io dava tre festini?»—«Sissignore.»—«Abbiate da sapere che ieri sera all'ora che io doveva far mettere in tavola, i miei vanno in cucina e trovano tutta la roba con cenere e acqua, tutto straziato, ma uno strazio impossibile a dirlo. Loro rimasero più morti che vivi, questi miei servitori. Io insisteva che mettessero in tavola. Allora si buttarono ai piedi e dissero: Maestà, venite a vedere il caso brutto che è seguito. Ed io gli dissi: Ah, traditori, bricconi, uno di voi siete. Loro si gittarono ai piedi e conobbi bene la sua innocenza. Ma qui un astro maligno c'è, o una fata; o un traditore c'è. Ma se io lo scopro dev'essere più grosso un chicco di rena della sua persona! dev'essere spezzato più fine che un chicco di rena.»—«Ma come si fa a fare queste cose?»—gli rispondono le ragazze.—«Mentre che il Re è tanto il bon signore. Come si fa a fargli questi strazii di buttargli la roba?»—«Oh, ma stasera ci sono le guardie doppie, oh!»—Egli fa come a dire, gli pare d'averla tra le mani questa persona. Si trattiene un altro poco, poi se ne va:—«Addio, addio, a domani.»—Quando gli è verso le ventitrè, dice la sorella minore:—«Che credete voi che non abbiate a calarmi stasera?»—Dice le sorelle:—«Oh questa sera poi, non ti si calerà davvero. Avresti aver sentito! Gli ha detto, s'egli scopre questa persona, gli ha da essere più grosso un chicco di rena. Noi non ti si cala.»—No e sì, no e sì, bisogna che la calino, son costrette a calarla. Quando l'hanno calata, lei via dall'usciolino solito. Sta in orecchi, cheh! non sente un'anima. Tutti erano attenti dove potevan credere che venivan le genti, ma di qua non c'era nessuno, non sapevan dell'usciolino segreto. La ragazza lo sapeva, perchè gnene aveva detto suo padre. Prende tutta la roba più dell'altra sera, perchè c'era più roba e più squisita; e fa l'istesso: quello che rimane tutto cenere ed acqua e tutto un piaccicume. Va alla cantina e piglia la meglio roba che ci possa essere, mah! bottiglie più squisite, sempre più della prima volta. La dà l'andare alle botti e poi la scappa a casa.—«Tiratemi su, tiratemi su!»—Va su; e le si mettono a mangiare in festa, tutte allegre. Venghiamo a Sua Maestà, che dice ai signori:—«Questa sera non è come ieri sera, no! Io ho messo le guardie doppie.»—«Mettete in tavola!»—dice ai cuochi, alla servitù. Vanno in cucina e trovano peggio dell'altra sera: tutto cenere, acqua; un marume.—«Maestà»—dice—«abbiate la bontà di venir di qua da noi.»—«Ahn? forse ci sarebbe lo stesso tradimento?»—«Maestà, venite a vedere.»—«Ah traditori, ora poi conosco che siete voi davvero. Con le guardie doppie non è entrato qui nessuno.»—Questi urlavano appiedi:—«Maestà, salvateci! siamo innocenti.»—Maestà dice:—«Qui c'è qualcheduno che mi vole un male a questo punto! Alzatevi, io vi perdono. Andate almeno in cantina: questi signori scuseranno,