La novellaja fiorentina. Vittorio Imbriani
Se non la mangerai, sarà peggio per te.»—E apre lo stanzino:—«Ecch' i' tuo fratello, lo vedi? Questo è i' tuo fratello!»—«Oh poero Gigi! oh poero Gigi! oh poero Gigi!»—«Eh, non c'entra poeri Gigi! Se non mangi quella carne che io t'ho dato, quel che ho fatto a tuo fratello, lo farò a i' mio ritorno ancora a te.»—E va via. Rimase solo lì a piangere e sospirare la disgrazia d'i' fratello.—«Ora l'ho acquistata anch'io! Io quella carne non me la mangio di certo.»—Gira con questa carne Franceschino che non sapeva in dove te la piantare. Andato, scese due scale; trovata una cantina, fece una buca e ci sotterra la carne in questa cantina.—«Gua'! è sotterrata; crederà che io l'abbia mangiata.»—Quand'è un certo tempo, eccoti torna a casa i' mago.—«Francesco!»—«Comandi!»—«L'hai mangiata quella carne?»—«Sì.»—«Vieni con meco.»—Te lo piglia per un braccio e te lo porta n'i' suo quartiere. Prende quel libro, lo spalanca, trova subito: Carne non mangiata!—«Ah birbante! non l'hai mangiata neppur te! Vieni, vieni a fa' conversazione con tuo fratello!»—Te lo piglia per un braccio e te lo straporta in quello stanzino. Costì con una scure e' lo divide in mezzo ancora Francesco. Con due ganci, gnene attacca per la testa e l'attacca accanto a i' suo fratello, un pezzo per di qua e un pezzo per di là.—«Oh!»—dice—«ci siete tutti e due!»—La mattina di poi, ti prende i' baroccio e se ne va a vendere l'ortaggio, gridando l'ortaggio per la strada. I' contadino riconobbe subito la voce:—«Ecco l'ortolano!»—Corre per vedè' s'egli avesse tutti e due i suoi figli con seco. E fa:—«Oh per bacco! oh galantomo! oh i miei figlioli dove sono?»—«Oh i vostri figlioli non verrebbon via neppure a regalargli tutto l'oro d'i' mondo! Come stan bene tutti e due! Ci dovete portare quell'altro nostro fratello e dirgli a i' nostro signor padre che si tornerà indietro tutti e tre insieme. Ma almeno s'ha a divertire anche quell'altro nostro fratello.»—«Babbo, babbo! ci vo anch'io, veh?»—«Bene, bene; ma con questo che torniate indietro tutti e tre.»—«Addio babbo! addio babbo! addio a quando ritorno!»—E gli era i' minore che i' padre gli voleva un bene! voleva bene a tutti, ma più a i' minore che si chiamava Antonio. Viavà con l'ortolano: cammina, cammina, cammina!—«Ditemi, galantomo, che è molto lontano i' vostro appartamento?»—«Eh in breve tempo lo vedrai.»—Gli fa apparire i' medesimo palazzo.—«Lo vedi là? Quello è i' mio appartamento.»—Tognino comincia a chiamare i fratelli.—«Cosa chiami?»—gli fa l'ortolano.—«Non ti posson sentire; sono a i' divertimento.»—Spalanca la porta, entran drento tutti e due. Comincia a chiamare Gigi e Franceschino.—«Ma cosa chiami Gigi e Franceschino? Gigi e Franceschino sono nella mia villa a divertirsi. Domani li vedrai tutti e due. Tempo è d'andare a riposassi.»—Mangiano e bevono: dopo mangiato e bevuto, se ne vanno nella sua camera, Antonio e l'ortolano; se ne spogliano e se ne vanno a diacere ognuno n'i' suo letto. La mattina a mala pena che spunta l'albore d'i' giorno, si sveglia i' mago:—«Antonio!»—E i' fanciullo si sveglia e comincia a tremare.—«Non siete più l'ortolano. Voi siete un brutto mostro e di qui voglio sortire,»—fa Antonio. Gli risponde i' mago:—«Di qui tu non sortirai. Hai viste tutte le mie ricchezze? A una mia morte, dev'essere tutto tuo.»—«Ma i miei fratelli?»—«Adesso te li farò vedere. Abbi da sapere che io vado a fare un giro. Ti lascio padrone spòtico[3] di tutte le mie ricchezze. Queste le sono quelle tante libbre di carne. Quando io ritornerò a i' mio appartamento, che questa carne sia mangiata.»—«E chi l'ha da mangiare?»—fa Antonio.—«Che l'ho da mangiare io?»—«Sì.»—«Cheh! io non la mangio di certo.»—«Vieni, vieni con meco: se non la mangi, farai come hanno fatto i tuoi fratelli; e se la mangerai, sarà ben per te. Vieni, vieni a vedè' i tuoi fratelli.»—«Oh dove sono?»—«Vieni con meco.»—Apre lo stanzino:—«Li vedi?»—«Oh poeri miei fratelli!»—Piangere, stridere, scalpitare, ch'era una pietà a vedere!—«Dunque io vado via. Addio, sai. Che tu cerchi di mangiarle quelle tante libbre di carne! Sennò quel ch'io ho fatto ai tuoi fratelli ti sarà la medicina anco per te.»—Il mago va via e rimane lì Antonio dolente e tutto, pensando alla disgrazia dei fratelli. Ti prende questa carne in mano, lui:—«Cosa ne devo fare? Eh non lo so. Mangiarla, non la mangio di certo.»—Scende giù, cammina: entra in un giardino. Vede un corridojo lungo lungo che si vedeva nè quasi nè principio nè fine; gli viene di gran carriera nel fondo di questa corsia, di quest'andito: c'era due cani. E gli butta in terra quella carne. S'avventorno a codesta carne umana, te la inghiottirno in un battibaleno questi due cani e sparinno. Antonio gli torna addietro. Eccoti il mago n'i' suo appartamento.—«Antonio!»—«Comandi!»—«Cos'hai fatto della carne?»—«Mangiata.»—«Se l'hai mangiata, sarà ben per te.»—Te lo prende per un braccio e te lo porta n'i' suo quartiere.—«Dunque l'hai mangiata?»—Prende i' libro, lo spalanca: Carne mangiata.—«Bravo Antonio!»—te l'abbraccia per l'allegrezza.—«Caro Antonio! Te sarai l'erede di tutte le mie ricchezze. Abbi da sapere che io vado a girare i' mondo. So molto bene ch'è sposo un mio fratello: debbo andare allo sposalizio di mio fratello. Vieni con meco.»—E te lo mena con seco e te lo mena giù in una stalla, che ci era una cavallina ed un cavallo in codesta stanza.—«A questa cavallina gli devi dare quelle tante libbre di fieno il giorno da mangiare, gli devi dare a questa fonte qua la tal'acqua da bere. E il cavallo gli devi dare carne di quella bona da mangiare, e dargli un vassojo di paste stritolate in questo vassojo e due fiaschi di vino di quello scelto. Tutti i giorni li devi custodire così.»—«Ho capito.»—«Poi vedrai al mio ritorno che sarò io per te!»—Si dà la combinazione che i' mago va via.—«Addio! Addio! A rivedersi.»—Tanto la sera che la mattina gli dovea dare questa roba da bere e da mangiare alla cavallina; al cavallo carne di quella bona, paste stritolate n'i' vassojo, con vino scelto. La cavallina n'i' quel mentre che faceva la porzione di quello che dovea mangiare i' cavallo, fa:—«Antonio! Antonio! Antonio!»—«Chi mi chiama?»—«Antonio, son io sai che ti chiamo.»—«Che sia la cavallina?»—«Sì. I' mangiare che devi dare a me, dallo a i' cavallo; e i' mangiare che devi dare a i' cavallo, lo darai a me. Ha' tu 'nteso?»—Fatto questo discorso:—«Antonio, prendi cotesta strada di cotesto viuzzolo, cammina; e quando sarai alla fine di codesto viuzzolo, vedrai una caldaja che bolle. Ma fai lesto, sai? e pensa bene e fai quello che dico. Quando sei presso a quella caldaja che bolle, devi inzuppar la testa drento e tirarla su subito.»—«O che mi vuoi fa' fare?»—«Fai quella capelliera drento nella caldaja e tirala su subito.»—Aveva dei capelli inanellati, una cosa veramente bella, Antonio. Approssimato Antonio a codesta caldaja che la vede bollire, dice:—«Eh, com'ho da fare a metterci i' capo drento?»—ci pensava.—«Diamogli retta!»—Apparisce lui senza paura, attuffa i' capo 'rento e lo ritira subito e si vede tutti i capelli inanellati d'oro. Ritorna dalla cavallina.—«Hai tu visto, come stai per bene, ora? Più bello assai che non eri!»—Ordine d'i' mago che la cavallina e' l'aveva da bastonare tre volte a i' giorno:—«I' cavallo tiemmene di conto.»—Dice la cavallina:—«Vedi, Antonio, devi prendere quella stanga. Dagnene a i' cavallo, dagnene, lascialo anche stramortito in terra, ma dagnene più che tu non hai forze nelle mani. Devi andare n'i' quartiere d'i' mago, ci troverai bussola, specchio e pettine e ci troverai un nerbo, e questo ch'è qui con una capocchia così grossa. Prendilo questo nerbo e vieni davanti a me.»—Dice:—«Sì.»—Questo nerbo e' doveva prendere, una bacchetta che teneva accanto a i' letto e a i' cavallo dargnene:—«Non vuol dir niente!»—Come di fatti Antonio fece.—«Via, ora; si deve andà' via. Affranca la porta. Presa tutta questa roba, montami a cavallo a me.»—Antonio monta a cavallo alla cavallina e si chiude la porta. Via, via, via, a spron battuto, l'andava questa cavallina! Il fatto si è che dopo d'i' tempo eccoti i' mago n'i' suo quartiere:—«Antonio! Antonio!»—Antonio non c'era costì.—«Come va?»—Va nella stalla, apre; vede i' cavallo quasi stramortito in terra, non ci vede più la cavallina.—«Ah!»—dice—«Antonio me l'ha fatta! Antonio me l'ha fatta! Antonio me l'ha fatta!»—Va su n'i' suo quartiere; non ci trova nè specchio, nè pettine, nè bussola, nè nerbo; non ci trova neppure la sua bacchettina che lui aveva, fatata:—«Ah birbante! mi ha messo in mezzo!»—Quel cavallo, i' mangiare che lui gli faceva dare e tutto, ogni cinque minuti gli faceva cento miglia. Lui frusta i' cavallo per via che si rizzasse. Poera bestia! si rizza! ma ricascava giù. Ti prende due fiaschi di vino, d'i' meglio che lui avesse, e gli comincia a fa' de' bagnoli. Bagna oggi, bagna domani, bagna doman l'altro...—«Poerino! Guardiamo se si può trottare.»—Franca la porta, va per vedere se si può trottare, i' cavallo gli ricasca