La novellaja fiorentina. Vittorio Imbriani
Pe' quacche errore, che trovato avisse,
O lejetore mmio, drinto 'ste carte,
Mormorare è bregogna, ca chest'arte,
Porzì ad Argo la fa, comm'autro disse.
Solo voglio avvertire, che a pag. 276, linea 7 va letto pacchia e pecchia, invece di pacchia e pacchia; e che a pag. 337, linea 21 s'ha da porre c' 'o agliaro, invece di co' agliaro e cancellare del tutto la postilla (a). Per gli altri errori o dell'autore o del tipografo, ci raccomandiamo alla indulgenza del benevolo leggitore.
[6] Il D'Ancona, del resto, ripeteva solo un appunto più temperato del Liebrecht:—«Imbriani hat es sich angelegen sein lassen, das ihm Erzählte stenographisch aufzuzeichnen, in der augenscheinlichen, nur zu billigenden Absicht, damit lediglich das wirklich im Volksmunde Vorhandene, ohne alle fremde Zuthat wiedergegeben werde. Allerdings entspringt aus dieser unveränderten Wiedergabe des Vernommenen eine gewisse, auf die Dauer ermüdende Unbeholfenheit der Erzählung, wie sie meist dem Volke eigen ist, und welche durch eine leichte, mit vorsichtiger Hand geübte Nachhülfe, wie sie in unübertroffener Weise in den Grimm'schen Mährchen in Anwendung gebracht ist, hätte beseitigt werden können, ohne dass die Treue der Darstellung irgend welchen Abbruch zu erleiden branchie. Andrerseits wird Dem, welcher die eigentliche florentinische Volkssprache genau kennen lernen will, allerdings durch wortgenaue Aufzeichnung einer so grossen Zahl von Erzählungen ein umfangreiches Object zum studium jenes Dialects geboten, so dass der berührte Nachtheil durch diesen Vortheil wieder aufgewogen wird.»—
[7] Curiosissima sarebbe una raccoltina di tutti i versicoli, che s'era prima soliti a scrivere da' proprietarî su' frontespizî de' manoscritti e de' libri a stampa. Qui mi basta citar una quartina, che si legge sopra un codice modanese del Decameron:
Tu, che con questo libro ti trastulli,
Rendimel tosto e guardal da' fanciulli;
E fa con la lucerna non s'azzuffi,
Se tu non vuoi, che nell'olio s'attuffi.
Gli scolaretti tuttora disegnano rozzamente un impiccato, e vi scrivono sotto:
Aspice, Pierino appeso. Quid hunc librum non ha reso; Si hunc librum reddidisset, Pierino appeso non fuisset.
Scrivono anche talvolta la tiritera seguente:
Questo libro è di carta.
Questa carta è di straccio.
Questo straccio è di lino.
Questo lino è di terra.
Questa terra è di Dio,
Questo libro è il mio.
Se piacesse a qualcheduno,
Se ne vada a comprar uno;
Quando io lo comperai,
. . . . . . soldi lo pagai!
E facendo oh! oh!
Questo libro non è il to'!
E facendo ih! ih!
Questo libro lascialo lì!
A MARTA E GIGINA
(Dedica premessa alla prima edizione).
—«Signor Imbriani, sia compiacente! Scriva un po' qualche libro che faccia anche per nojaltre. La mamma dice sempre che le cose Sue non le possiamo leggere; ed appena il postino ha recato qualche opuscolo di Lei, la lo chiude a chiave e non ce lo lascia vedere. Già la mamma quando s'è fitta una fisima in capo!...»—
La mamma, care le mie ragazze, fa più che benissimo; in questo, come sempre, si regola da quella santa donna ed accorta ch'ella è. Non che impermalirmi del divieto di leggermi a voi fatto, io l'approvo; anzi io, volendovi un gran bene, sono sempre io il primo a raccomandarle di custodir lontano dagli occhi vostri ogni mia scrittura. Ci conosciamo da lunghi anni, e sapete pure, neh?, che in fondo in fondo io mi sono un gran buon diavolaccio: epperò non vorrete pensar male di me. Ma quando vinco l'accidia ed impugno la penna, m'è forza d'ubbidire alla coscienza che m'impone di rappresentare il mondo, la società, la razza umana tale e quale, non secondo alcun pio desiderio. L'amor del vero mi signoreggia l'immaginazione; null'altro che lo studio del vero può cattivarmi ed incatenarmi al lavoro. Nèd è colpa mia se il vero è in parte turpe. Ma questa parzial turpitudine umana importa per ora celarla e velarla alle menti vostre inesperte. Verrà giorno in cui dovrete fronteggiarne l'aspetto e sentirne il lezzo; ma allora l'intelletto adulto, il carattere formato, l'usbergo della buona educazione, vi renderanno intangibili dal pericolo, come un certo anello incantato assicurava chiunque lo portasse al dito da qualsivoglia possa nimica forza d'incantesimo.
Eppure, io vi bramerei sin da ora per leggitrici: con voi due, giungerei, credo, ad averne mezza serqua, e la mia ambizione letteraria sarebbe paga. Bramerei, giacchè ci vediamo di rado e per poco, che un qualche frontespizio vi rammentasse frequentemente l'amico lontano; che ogni qual volta ricercaste sullo scrittojo un libro, un quaderno, un cucito o l'albo dei francobolli, il mio nome v'avesse a dar nell'occhio. Mi sono persino provato a scarabocchiar qualcosetta d'ingenuo e d'idillico, apposta per vojaltre. Ma sapete che c'è? Non mi vuol riuscire; non son buono ad ispogliare il vecchio Adamo: l'ingenuità mi diventa ironia, l'idillio mi diventa satira. Non giungo, per isforzarmi ch'io faccia, a concepir l'uomo diverso da quel ch'io lo conosco. Eppure, io vi bramerei per leggitrici! Ad agognare ardentemente alcunchè sì diventa ingegnosi. Mi sono ingegnato ed eccovi un'opericciattola ch'è mia e non è mia. Dico mia, perchè a metterla insieme, di molta fatica m'è costato; ho dovuto pormici con l'arco della schiena; ma non vi si contiene un pensiero, una frase, una parola, ch'è una, di mio.
Voi sapete che da molti anni io raccolgo con diligenza i prodotti della fantasia popolare italiana in qualsivoglia dialetto: canti, racconti, proverbî. Mi avete visto stenografare anche in casa vostra le novelline narrate dalla Giovannina e dalla Peppina; anzi m'avete ajutato a far meno male. Ora, io vi offero un gruzzoletto di fiabe e facezie fiorentine. Le ho poste in carta con sommo zelo, tali e quali uscivan di bocca a qualche cechino, a qualche vecchietta, a qualche balia, a qualche nonna, usa ad intrattener con esse i nepotini. Ho esagerata l'esattezza, segnando persin le esclamazioni e gl'intercalari viziosi, persino i foderamenti di parole; non supplendo le lacune; non correggendo gli spropositi evidenti, come quando, per esempio, la novellaja adoperava vittima nel senso di carnefice, tormentatore (forse storpiando pittima) ed asseriva la Verdea essere cosa mangereccia. Insomma non ho mutato od ommesso od aggiunto, nulla, nulla, nulla: fate conto d'ascoltare proprio il dettato di chi è nato all'ombra del cupolone di Brunellesco. Le differenze notevoli di stile dipendono dalle diversità di sesso, di età, di carattere, di educazione, di condizion sociale in chi narrava. E lasciatemelo dire, le persone più colte son generalmente quelle che peggio raccontano queste ingenue novelle tradizionali.
Un mio buon amico, il prof. avv. Gherardo Nerucci, ha voluto dar pregio a codesta pubblicazione ch'è qui, comunicandomi sette fiabe da lui raccolte e scritte, come vedrete, stupendamente; ma non già stenografate al pari delle mie, tali e quali venivan narrate. Ed il Nerucci vuole che vi sia ricordato il motto popolare:
La novella
'Un—n è bella
Se sopra 'un ci si rappella;
cioè, se il narratore non la frangia con invenzioni proprie.
Sottopongo senza palpiti il mio lavoro alla censura della mamma: vi sarà forse qualche goffaggine da condonarsi ad una povera ciana; ma di sconcio, di pericoloso non ci so veder niente, nientissimo. La convenienza di siffatti racconti alle menti infantili è dimostra