La novellaja fiorentina. Vittorio Imbriani
e riposarsi. Ma quando giunsero ad una grandissima e popolosa città, stabilirono rimanerci più a lungo, e però si allogarono in un albergo. Quivi ognuna attendeva alle proprie robbe, a tenere assestata la camera, meno la Principessa, che era servita da Giovanna. L'allegra brigata donnesca era tutta in sul darsi bel tempo, ora esaminando la città e i suoi palazzi e giardini, ora andando a diporto pe' contorni; e ciascuno stupiva di vedere tante belle ragazze sole e insieme unite, ed eran curiosi di sapere chi fossero: ma loro badavano a sè e non volevano òmini e impacciosi d'attorno. Un dì Giovanna, nell'assettare la camera della Principessa, essendo montata per aria a cavar la polvere da un quadro, lo alzò e con sua meraviglia ci scoperse al di sotto una finestra. E messivi gli occhi per dentro, vide una cucina e un coco affaccendato a preparare un pranzo tale, che non poteva essere altro se non destinato a qualche principe: la cucina dell'albergo non era di certo, e pranzi a quel modo mai non li avevano assaggiati lì. Almanaccando di chi diavolo fosse quel pranzo e a chi spettasse la cucina, si fece ad esaminare le vicinanze dell'albergo, e s'accorse ben presto, che la cucina era addetta al palazzo del Re di quella città. Subito gli saltò il grillo di fare una beffa al coco; e lasciatolo allontanare, snella scese in cucina, saggiò tutte le pietanze, prese larghe porzioni delle meglio[8], e nelle rimanenti buttato sale a manate senza discrezione, in fretta rimontò dalla finestra in camera e la richiuse col quadro. Venuta l'ora del ristorarsi e conversare assieme, Giovanna diede alle compagne di quelli scelti cibi, ma non disse da dove li aveva portati via, e discorse tanto e di tante altre cose, sicchè nessuna gli domandò nulla. Il Re della città in quel medesimo giorno teneva corte bandita, e di molti e di gran parentato erano gl'invitati. Ma seduti a mensa, non ci fu verso che potessero mangiare le pietanze apparecchiate, talmente erano amare di sale[9]. Al Re montò la mosca al naso e fatto chiamare il coco, con un viso da Orco gli chiese ragione dell'avvenuto. Il pover'omo, tutto umile e sorpreso, gli protestò che di certo non ci aveva colpa, perchè aveva messo il sale nelle pietanze secondo il solito e non capiva come la cosa fosse accaduta. Ma il Re gli dette poca retta, e condannatolo a stare in prigione per qualche giorno, gli ordinò un altro gran pranzo per la ventura settimana; poi rimediato alla meglio al disappunto de' convitati, li accomiatò. Il coco, uscito di prigione, stava apprestando un altro pranzo reale e con premura badava alla misura del sale: ma allontanatosi per qualche necessità dalla cucina, Giovanna, che stava alle vedette, gli fece la medesima burla; per cui il pranzo del Re riuscì un'altra volta disgraziato. Il Re, imbestialito, fatto chiamare il coco, gliene disse delle nere ed era risoluto che gli si tagliasse la testa in piazza. Il coco, sentendo questo, si buttò in ginocchioni e assicurava il Re della propria innocenza con tante lacrime, che il Re si commosse. Allora il coco, preso animo, parlò così:—«Maestà, c'è di certo qualcheduno che mi vol male e mi fa questi dispetti: perchè bisogna sappiate che anche delle pietanze mi sono sparite, e non so come. Ordinate un altro pranzo per la ventura settimana, e se non iscopro il birbone malestroso, allora vada pure la mia testa.»—Al Re la proposta garbeggiò, ed anzi egli stesso volle rimpiattarsi nella cucina per vedere chi v'entrava di nascosto a sciupare i piatti. Ed ecco il coco acciaccinato intorno al focolare: il Re frattanto si era messo in un armadio. Quando il coco fece le viste di allontanarsi dalla cucina, Giovanna che stava in sull'intese, schizza giù dalla solita finestra e commette i medesimi malestri: ma nel mentre risaliva per rientrare in camera, il Re sbucò fori del nascondiglio e l'acchiappò per una gamba.—«Ti ci ho chiappato!»—esclama:—«Eri tu dunque la ladra e la salatora! Adesso si faranno i conti!»—Giovanna però senza sgomentarsi gli rispose:—«Maestà, non sono una ladra, chè graziaddio non mi manca nulla. Quel che ho fatto era per beffa a questo coco e per divertirmi del vostro disappunto a mensa. Per cui perdonatemi e non se ne parli più.»—Disse il Re, che già cominciava a infocolarsi nel core alla bellezza di Giovanna:—«I patti li fai tu, a quel che pare. Io ti perdonerò dove tu mi palesi chi sei, di dove vieni e che arte è la tua.»—Allora Giovanna l'accontentò raccontandogli la sua storia sino a quel momento. Riprese il Re:—«Ebbene, giacchè ho fatto così la tua conoscenza, te e le tue compagne verrete al palazzo e desinerete con me e co' miei cortigiani.»—«Io, per me non rifiuto,»—disse Giovanna,—«ma prima bisogna che la mia padrona me lo conceda, e chi sa se lei ci vorrà venire. Ritornate domani, Maestà, a questa finestra; e vi darò la risposta.»—E il Re:—«Così farò. Addio.»—Quindi Giovanna risalì nella camera, e il Re andò tutto allegro per la scoperta nel proprio appartamento. Non ci fu verso di tenere più nascosto alla Principessa e alle sue compagne quel che era intravvenuto. Al racconto di Giovanna, quale delle ragazze rideva, quale la rimproverava delle sue mattie. La principessa poi si addimostrava scorruccita di molto e si temeva compromessa. Ma Giovanna, con quei suoi garbi e con bone parole, le persuase così, che finalmente restò fissato di accettare l'invito reale, a condizione però che a mensa non fossero più di dodici giovani, compreso il Re, in maniera che ogni ragazza avesse il suo compagno. E perciocchè Giovanna stava in sospetto che il Re gli usasse qualche sopruso per rifarsi delle beffe patite, macchinò di recar seco dodici bone bottiglie del reame della Principessa e alloppiarle e poi darle a bere a' convitati. A tal effetto fu spedito un messo con una lettera, e in capo a pochi giorni Giovanna ebbe fra mano le bottiglie. Venuto il giorno di andare al pranzo reale, la Principessa, Giovanna e le dieci compagne si vestirono tutte eguali con gran sfarzo[10] e poi si recarono a Corte, dove il Re le aspettava con gli undici suoi giovanotti, trascelti fra i meglio signori della città. Si sedettero a mensa coppia per coppia, e Giovanna era col Re: ma quantunque parlasse più specialmente con lui, occupava tutta la brigata co' suoi scherzi e le sue novelle piacevoli. Alle frutta i giovani e il Re, avendo trincato, cominciavano a dirne delle belle: per cui Giovanna, temendo qualche brutto tiro, fatte portare le dodici bottiglie alloppiate, si alzò e disse:—«Signori, questo vino viene di lontano ed esce dalla cantina del Re mio padrone e padre di questa Principessa. Se siete cavalieri cortesi, io vi sfido a votarne una per ciascuno alla salute nostra.»—Detto fatto: le bottiglie furono votate, e di lì a poco il Re ed i giovani cominciarono a cascare dal sonno e si addormentarono sopra le loro poltrone, che parevano ghiri d'inverno. Ma non contenta Giovanna della burla, tirato fuori un par di forbici, tagliò a tutti e dodici un solo mostaccio, e quindi via per le scale in fretta seguita dalle compagne, e a casa: dove giunte, messe le robe ne' bauli[11], se ne partirono colle vetture fermandosi ad una villa fuor di mano, distante qualche miglio dalla città. Il Re e i compagni suoi non si destarono che all'alba, ma rotti e sfracasciati pel disagio e pel vino bevuto; gli era come se avessero del piombo dentro il cervello. Cominciarono a stiracchiarsi e a scionnarsi, e guardavan qua e là a similitudine di smemorati. A un tratto disse uno a un altro:—«Oh! tu hai un mostaccio solo».—E quello:—«Anche tu n'hai un solo».—«Poffareddina!»—esclamò il Re:—«Siam tutti conci in simil modo! Ce l'hanno fatta. Su su, vendichiamoci, perchè l'è troppo grossa. Burlare un Re! Non son più Re, se a quella malestrosa Giovanna non gliela faccio pagar cara».[12]—Inutilmente però cercarono le ragazze per la città: ma il Re ben presto col mezzo delle sue spie seppe dove s'erano ricoverate, e quindi risolvette sorprenderle sotto mentite vesti. Pure, bisogna notare che il Re era rimasto un po' cotto di Giovanna, e non era soltanto la bramosia di vendicarsi che lo spingeva a corrergli dietro. Il Re immaginò trasfigurarsi da pellegrino: e preso un paniere, ci messe dentro dodici mele cotte e s'avviò fuor della porta, seguito alla lontana dagli undici suoi compagni. Giunse in sull'abbujare alla villa dov'erano le dodici ragazze e picchiò ammodino. Giovanna scese e visto chi fosse e sentito che voleva un po' di ricovero per la notte, perchè era di buon core, introdusse il finto pellegrino. E menatolo in cucina, lo fece sedere al focolare a riscaldarsi. Disse allora il Re:—«Signora, mi sono smarrito pe' dintorni mentre andavo alla città per portare queste mele cotte a un mio vecchio conoscente. Oramai da qui a domani saranno ite a male; e siccome[13] non ho altro da darvi per rimunerarvi dell'accoglienza, se le volete, ve le offro. Son mele francesche e come bone!»—Giovanna accettò, e volendone far parte alle compagne, lasciato il pellegrino lì al focolare, andiede nel salotto. Ma scoperte le mele cotte, gli venne un po' di sospetto nell'accorgersi che fossero appunto dodici; per cui, rifatti