Il Vino: Undici conferenze fatte nell'inverno dell'anno 1880. Autori vari
a considerare la cosa, nelle origini del vino ci si scopre sempre alcun che di soprannaturale e d'arcano.
Volgiamoci all'Asia, alla gran madre dei miti e dei popoli. Che cosa troviam noi negli antichissimi libri dell'India che possa soddisfare alla curiosità nostra? Noi troviamo un licore inebbriante, amrita, soma[I-2], dotato di maravigliose virtù, dispensatore di vita e d'immortalità, oggetto di venerazione fra gli uomini, cagion di contesa e d'invidia tra' numi. La poesia dei Vedi n'è tutta madida e profumata. Delle sue origini celesti e terrestri si dicono maraviglie, che van crescendo come il tema glorioso migra dai libri sacri alle vaste epopee. Nel Râmâyana udite che cosa si narra.
I figliuoli di Diti e di Aditi desideravano l'immortalità: che fare per conseguire l'intento? Consigliatisi insieme essi risolvono di frullar l'oceano; l'acque frullate daranno l'amrita. Si pongono all'opera: traboccan nell'onde il monte Mandara, ci ravvolgono attorno il serpente Vasuki a guisa di corda, e cominciano a tirar dall'un capo con quanta n'han nelle braccia. Si svolge la fune viva, il monte ruota sopra se stesso come una trottola e diguazza l'oceano a quel modo che si fa del latte nella zangola per levarne il burro. Dopo mill'anni il serpente, venutogli a noia il giuoco, si mette a sputare un veleno che consuma il mondo; il dio Siva soccorre trangugiando le pestifere bave. Dopo mille altri anni escon dall'onde portenti precursori dell'agognato trasmutamento: il medico Dhanvantari, le ninfe Apsarase, Surâ o Varuni, la dea del vino e dell'ebbrezza[I-3], il cavallo Uccaihçravas, la gemma Kaustubha, il dio Soma, la dea Çrî. Dopo un terzo frullamento l'acque coagulate danno l'amrita; i figliuoli di Diti e di Aditi, cioè i demoni Asuri e gli dei combattono pel suo possesso. Da ultimo gli dei trionfan dei demoni[I-4].
Al soma e all'amrita degl'indiani corrispondono l'haoma degl'Irani e l'ambrosia dei Greci sino nel nome, e corrisponde per molti caratteri l'ôdhörir della mitologia germanica; ma se il tempo ci concedesse di allargar tale esame noi potremmo trovare nelle memorie religiose di molti popoli questa mitica immaginazione di una bevanda inebbriante che fa trionfare della morte e del tempo, sino a quella famosa fontana di giovinezza di cui tutto il medio evo sognò, e che al Prete Gianni fortunato suo possessore, prolungava senza misura la vita[I-5].
Dall'India alle coste occidentali d'Europa corrono da circa cento gradi in longitudine, e pure su tutta questa vasta parte di mondo si stese un tempo il culto di Dioniso, o Bacco che dir lo vogliate. Io non vi rinarrerò la storia del più giocondo e amabile Dio dell'Olimpo greco. Chi non sa ch'egli è figliuolo di Giove e di Semele, che uscito anzi tempo dall'alvo materno il padre lo custodì entro la propria coscia tutto il tempo che ancora mancava alla gestazione perfetta, che sottratto all'odio della gelosa Giunone crebbe in bellezza e fortezza, che sposo d'Arianna generò figliuoli e per l'indole e per il nome degni di lui? Naturalmente benevolo alla razza degli uomini egli volentieri disertava per la terra l'Olimpo, ed erano sue compagne le Muse e le Grazie. Chi vi potrebbe ridir tutti i nomi onde lo chiamarono e lo celebrarono i mortali da lui beneficati? Udite come un nostro poeta ne pone insieme parecchi:
Un Dio, non mica un Dio
Della plebe selvaggia degli Dei,
Ma fra i più furibondi il più indomabile.
Il più fiero e formidabile:
Vidi il nume Bassareo,
Euchioneo, Dirceo, Melleo,
Semeleo, Cadmeo, Briseo,
Nittileo,
Agenoreo,
Il feroce, l'indomito Lieo[I-6].
Il più bello dei suoi nomi è Lieo, cioè Liberatore.
Molto si favoleggiò delle sue origini, più delle peregrinazioni. A dir di alcuni egli aveva passato la fanciullezza in un'isola incantata, degno principio di vita così gloriosa[I-7]. Varii paesi si disputarono il vanto d'avere proprio da lui appresa l'arte di spremere il vino dall'uve, e in Tiro si celebrava ogni anno una festa in memoria solenne del benefizio. Che venisse in Italia sarebbe da credere senza bisogno di prove, quando non si trovasse detto e confermato da scrittori gravissimi, tra gli altri da Sofocle[I-8]. Del resto egli corse da conquistatore presso che tutta la terra allora conosciuta, imponendo senza fatica ai popoli la grata sua signoria ed il culto giocondo. In ciò egli si rassomiglia all'egizio Osiride, il quale anch'esso inventò il vino e corse la terra. Nè la somiglianza si ferma a tanto, ma si stende a molt'altre operazioni, a molti caratteri. Così Dioniso, come Osiride, si vantano della invenzion dell'aratro, dell'agricoltura, di molte industrie profittevoli all'uomo; essi sono gl'iniziatori della civiltà[I-9]. Considerate il senso profondo di tuttociò: le divinità inventrici del vino istituiscono il genere umano; la storia civile è una propaggine della vite. Potrei confortare quest'asserzione d'innumerevoli esempii e di convincentissime prove; mi contenterò di ricordare che l'iranico Scemscid, l'epico eroe di Firdusi, è a un tempo medesimo l'institutore della civiltà e l'inventore del vino, secondochè dallo storico persiano Mircondi, con critica inappuntabile, si afferma, si documenta e si prova.
Ma il vino d'onde uscì, d'onde uscì la vite? Nelle origini di queste cose è egli possibile che non vi sia alcunchè di stravagante e di recondito? Non debbono cose di tanta eccellenza trascendere i poteri della natura? Arduo problema che suscitò molte disparate opinioni.
Che l'amrita stillasse dalle nuvole raffigurate nel mito quali vacche celesti, o si formasse dell'acqua del mare sbattuta da braccia divine, io non ci ho nulla in contrario; ma nessuno potrà farmi credere mai che altrettanto accadesse del vino. Nè varrebbe citarmi i luoghi di poeti dove si afferma che dall'Oceano profondo uscirono tutte quante le cose create; nè varrebbe allegarmi l'opinione di quel linfatico filosofo Talete che sosteneva l'acqua esser l'ottima delle cose e principio primo di tutte; opinione da cui forse recedette alquanto un giorno che, per guardar troppo al cielo, e non abbastanza ai suoi piedi, capitombolò in un pozzo. Principio di tutte le cose, si può concedere; del vino, si nega.
Tra il vino e l'acqua fu sin dalle origini una sorda rivalità, che, con l'andar degli anni si mutò in nimicizia acerba e rabbiosa. Per tutto dove si affrontano, la contraddizione prorompe. Noè inventa il vino dopo il diluvio, e Diodoro e Nonno affermano lo stesso di Bacco; così che si può dire ch'esso viene al mondo per ragion di reazione, quando gli uomini stanchi e fastiditi di quella insipida e soperchiante umidità, ne bramano un'altra più gradita e più rara. Nel medio evo i due rivali vengono a guerra aperta, e non v'è contumelia, non calunnia, non ischerno di cui non si servano per discreditarsi a vicenda, per farsi segno l'un l'altro all'abominazione dei popoli. La poesia è tutta piena dei loro clamori; non v'è letteratura in Europa che non possegga nelle dispute, nei contrasti e nelle contenzioni, i documenti autentici di quell'epica nimistà. In un contrasto latino del secolo XIII, il vino afferma d'essere dio:
Ego Deus, et testatur
illud Naso, per me datur cunctis sapientia;
e vitupera l'acqua chiamandola feccia e sentina delle cose:
Tu faex rerum et sentina[I-10].
Indarno la caritatevole premura degli osti cercò in tutti i tempi di comporre queste antiche discordie; la coscienza umana protestò contro la violenza che da essi per fin di bene si volle fare alla natura. Tutta l'umana famiglia, tolta la sola specie o varietà degli osti, favorì la separazione, e parteggiò per il vino, lasciandosi andare a immaginar qualche volta la totale disfatta dell'acqua e l'allargamento della potestà del vino sopra gli antichi dominii di lei.