Il Vino: Undici conferenze fatte nell'inverno dell'anno 1880. Autori vari

Il Vino: Undici conferenze fatte nell'inverno dell'anno 1880 - Autori vari


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Dei; ma tale non è l'opinione di chi si finge nel XII secolo faccia la strana professione di fede contenuta in quei versi famosi:

      Meum est propositum in taberna mori.

      Vinum sit appositum morientis ori,

      Ut dicant cum venerint angelorum chori

      Magia credunt Juvenali

      Quam doctrinae prophetali,

      Vel Christi scientiae.

      Deum dicunt esse Bacchum,

      Et pro Marco legunt Flaccum,

      Pro Paulo Virgilium.

      Seigniez-vous et recommandez

      A Dieu, et grâce demandez

      A sains Bacchus si qu'il la face.

      In un Dis de la Vigne di Giovanni da Douai, si paragonan le cure che si debbono alla vite con il culto dovuto a Dio.

      A questa singolare letteratura potrebber servir di motto i due versi in che Margutte compendia la sua professione di fede:

      Or queste son le mie virtù morale,

      Così onorato nel medio evo, Bacco non decadde certo dall'antica sua gloria quando il Rinascimento ebbe ristorato nella fantasia, se non nella fede, il paganesimo. Quanti poeti non inneggiarono allora, come Maffeo Vegio, al più amato degli dei:

      Ma di ciò io non voglio parlare più a lungo; bensì vo' ricordare come nelle feste carnovalesche e nei Trionfi, che già solevano sfoggiare nelle nostre città, Bacco fece sempre gloriosa mostra di sè. Gli esempii soperchiano, e mi basta di citarne un pajo. Tutti conoscono il Trionfo di Bacco e d'Arianna composto da Lorenzo de' Medici: nel Carnovale del 1710 si fece con grande pompa in Ferrara una mascherata rappresentante il trionfo di Bacco. Quando nel 1498, per istigazione di Gerolamo Savonarola, si fece un solenne bruciamento delle vanità del carnevale, usci fuori una canzone, dove si finge che un cittadino dica a Carnovale che si fugge:

      Dove è Giove Iuno e Marte,

      Vener bella tanto adorna,

      Bacco stolto con le corna,

      Fiumi di burro a tutte le stagioni

      Scorrendo vanno e dilagando i prati,

      Dove nascon per erba i maccheroni,

      E per ghiaia ravioli maritati;

      Ed anitre e pollastri, oche e capponi

      Di frittelle pasciuti e saginati,

      Che penne avendo di lasagne intorno

      Volano al quietissimo soggiorno.

      Sorge un colle nomato ivi Bengodi

      Dove di latte una fontana spiccia;

      Ombra vi fan le viti in varii modi,

      Altre erranti, altre avvinte di salsiccia,

      Che mettono un salame a tutti i nodi

      Ed in luogo di foglie han trippa riccia:

      A concimar la vigna e il colle tutto

      Quivi il lardo s'adopera e lo strutto.

      Le quercie che del sol frangono il raggio,

      Hanno per ghiande ritondetti gnochi,

      I quali giù tornando nel formaggio

      (Ch'altra sabbia non usasi in que' lochi),

      invitano ciascuno a farne il saggio,

      Nè v'ha mestier di guatteri e di cuochi,

      Perchè d'un ventolino al caldo fiato

      Tutto cotto ivi nasce e stagionato.

      Ma lasciamo in disparte oramai Bacco e la sua interminabile leggenda, e volgiamoci, ch'è tempo, a Noè. Il patriarca contende al nume la gloria di avere inventato il vino; per questa invenzion capitale accade quello che per molt'altre invenzioni di minor conto, dove si veggono più pretendenti concorrere ad appropriarsene il vanto. Per non dar torto a nessuno diciamo che Bacco e Noè hanno tutt'a due inventato il vino senza sapere l'uno dell'altro.

      «Curvo sul ferro, tutto


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