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contro l'Argentina con alte voci, mentre tre o quattro brasiliani che s'erano avvicinati, tacevano contenti nel cuore. A un tratto si sentì la voce del Berènga chiamare:
— Bruna!
E il Buondelmonti scorse in un giardinetto che era sotto la terrazza, una forma femminile e sentì una voce che rispose ardita:
— Mi vuoi, zio?
— Vieni su.
La forma femminile balzò, volò, sparve, riapparve sulla terrazza. Era una giovinetta che aveva un volto asciutto e olivigno, le ardeva negli occhi il cuore, e un leggiero ansito le alzava il petto per la corsa fatta tutta d'un fiato dal giardino in su. Il Berènga l'attirò a sè e mettendole le grosse dita villose dentro i capelli e piegandole il viso verso il Buondelmonti le disse:
— Vedi là un bravo italiano.
Bruna fissò il giovane e gli occhi le ridevano sì forte che pareva lo deridesse. Ma ad un tratto le sue labbra dissero:
— È il signore che taglia?
— No! È il signore che scrive.
E il Berènga aggiunse a Piero:
— Le ho parlato di Lei e del professore.
Gli occhi di Bruna non lasciarono Piero, le sue labbra aggiunsero:
— Italiano!
E tacque con i capelli ancor nella branca dello zio, fremendo di riprender la corsa. Pure, teneva il capo fermo e aveva sotto le ciglia uno sguardo lungo che andava lontano. E di nuovo le uscì dall'ardor del riso:
— Italiano!
Lo zio disse al Buondelmonti:
— L'ho lasciata crescere in libertà questa polledra selvaggia, però!... dimenticar l'Italia no! Amare questo paese dov'è nata, sì, ma non dimenticare l'Italia! Ho voluto che studiasse bene l'italiano, la geografia, la storia d'Italia, e che conoscesse Dante; ho voluto che facesse quello che noi non potemmo fare alla sua età. Io non posso tornare in patria, ma ci torno così: cercando di tener vivo l'amore della nostra patria, in questa creatura del mio sangue.
Tacque, la fissò, le piegò il capo all'indietro con l'una mano, le attanagliò il mento tra il pollice e l'indice dell'altra, disse:
— Ma è proprio de' Berènga, vero?
La giovinetta strise e rise, la maschera de' Berènga guizzò sulla sua faccia. Lorenzo Berènga aveva, d'un rilievo straordinario, dalla fronte al mento, l'impronta de' veri uomini di lotta e di conquista: l'impronta della volontà risoluta, aggressiva e dura; egli aveva dal mento quadrato alla fronte quadrata una sagoma facciale diritta come il taglio d'una spada. Ei tenne ancora Bruna col capo riverso, la contemplò a lungo, poi impetuosamente la baciò e disse al Buondelmonti:
— È figlia d'un mio fratello ucciso nell'Uruguay durante l'ultima rivoluzione.
E prese a raccontare del fratello e di se stesso. Con questo fratello maggiore e con le braccia soltanto, a dodici anni era venuto nell'America del Sud e prima erano sbarcati a Montevideo dove il fratello era rimasto, e poi lui era venuto a Rio de Janeiro dove aveva lavorato anni e anni da muratore finchè era riuscito costruire per conto suo e più volte era stato buttato a terra da colpi di fortuna, ma s'era sempre rialzato e in vent'anni nella capitale del Brasile aveva fabbricato forse più di mille case e palazzi. Lorenzo Berènga concluse:
— Mio fratello Giovacchino a Montevideo ha fatto di tutto, ha provato tutto ed è morto nella strada d'un colpo di pugnale; ma in altri tempi sarebbe diventato un Napoleone. Io mi sentivo un cencio a petto suo.
Il Buondelmonti guardava il costruttore. Questi aveva una statura poco più alta della media e membra proporzionate, ma per effetto forse d'una mirabile giustezza di proporzioni, appariva più grande, un che di grandioso era in lui, appariva ancora fortissimo oltre i cinquant'anni, ed era in lui un che di formidabile. Il Buondelmonti guardava soprattutto i fasci di muscoli che avevan le sue ciglia di qua e di là dal naso largo, massiccio, diritto, senza scavo all'attaccatura frontale. Quando Lorenzo Berènga cessò di raccontare della sua vita e del fratello ucciso, aveva la faccia un po' in avanti e non guardava nessuno. Il Buondelmonti vide che quella faccia ora metteva paura. Qualcosa di terribilmente feroce stava nell'occhio torbido sotto i fasci de' muscoli cigliari contratti e fermi come se fossero stati di ferro. Il Buondelmonti guardò ancora e scorse in quell'occhio feroce qualcosa di doloroso. A un tratto queste parole uscirono dalle grosse labbra del Berènga:
— Si è in esilio qui, si lavora e si combatte in esilio.... altro clima, altra lingua, altra gente e famiglia nuova.... Dir l'inferno di chi è solo a combattere!
Furono pochi attimi. Riapparve l'uomo cordiale e festoso dell'«Atlantide», l'occhio rischiarato. Con la sua franchezza disse al Buondelmonti:
— Lei vuol andarsene, se ne vada; si ricordi che casa mia è casa sua.
E aprendo la mano aggiunse a Bruna:
— Vattene anche tu.
La fanciulla scosse la chioma liberata e fuggì. Ma lo zio la richiamò ancora, ed ella si voltò domandando:
— Mi vuoi?
Negli occhi le bruciava un fuoco di riso.
Lo zio le disse:
— Cogli de' fiori per il signore, quando passa. Ma intendiamoci! Non spogliare il giardino!
— Sì.
E fuggì. Il Berènga disse al Buondelmonti:
— Mio fratello quattro volte fece fortuna e quattro la distrusse. Una volta prestò tutti i suoi risparmi a un amico e non riebbe più nulla. Se io dico a Bruna di portarmi de' fiori, mi spoglia il giardino. Ha come mio fratello la mania di donare. Ultima fiamma del sangue nostro!
Il Buondelmonti quando lasciò la villa in compagnia di Quirino Honorio do Amaral, era ammutito. Rivedeva l'occhio del Berènga torbido di ferocia e di dolore, si ricordava dell'altro occhio del Tanno e della cicatrice del pugnale guizzante sotto il negror della barba. Gli ritornavano in mente le parole del Berènga:
— Altro clima, altra lingua, altra gente....
Era l'emigrante dell'«Atlantide». Lo rivide sopra un'altra nave, in mezzo all'oceano, a dodici anni, col fratello e le braccia soltanto.
Gli riapparvero gli emigranti con i quali aveva viaggiato, e, subito dopo, gl'italiani di San Paolo e di Rio de Janeiro con i quali aveva pranzato quella sera. E ancora risentì le parole del Berènga:
— Soli a combattere!
E a un tratto afferrò la condizione di quelli uomini: ognuno di loro era solo in mezzo alla vita collettiva del paese straniero; ognuno di loro valeva per la sua forza individuale, assente quella che centuplica tutti: la forza nazionale. Dispersi membra tronche.
Subito gli balenò e gli si fissò in mente la verità piena con queste parole:
— Sono così forti! Che avrebbero fatto, se ognuno avesse avuto con sè la forza nazionale? Invece, la patria li diminuisce.
Rivide la cicatrice sulla gota del Tanno, risentì l'insulto lanciatogli in faccia: — Evviva Menelik!
Il Buondelmonti gridò dentro di sè:
— Razza di cani! Quando vollero che l'Italia restasse sconfitta da un selvaggio, non pensarono a questo. Non pensarono che tagliavan le braccia a tanti milioni di disgraziati dispersi per il mondo! E ora l'Italia manda il medico sulla nave a pesar loro il cibo e l'aria e medicar le piaghe! Per quindici giorni, razza di cani!
A un tratto dal cancello della villa, nel buio, vide balzarsi dinanzi una forma femminile, Bruna con le mani piene di fiori. E dati questi, la giovinetta come presa da follia si mise a correre qua e là e a cogliere, a cogliere altri fiori. Il Buondelmonti diceva:
— Basta!
Ma Bruna continuava a coglier fiori senza parlare.
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