La Patria lontana. Enrico Corradini
Tre giorni dopo, l'«Atlantide» entrò nella baia del Guanabara dove sorge Rio de Janeiro. Il console d'Italia, i maggiorenti della colonia e le rappresentanze de' sodalizi, una commissione della città e del governo brasiliano si portarono a bordo a dare il benvenuto al professor Jacopo Axerio. Questi gongolava vedendo che il console stesso si occupava di far trasportare i suoi bagagli a terra per mezzo d'un giovane del consolato. Era sceso sul ponte basso ed era andato incontro alle commissioni sino alla scaletta d'imbarco e lì tra il pigiapigia degli emigranti e de' passeggieri delle classi che anelavano di mettere il piede a terra dopo tanti giorni di navigazione, faceva riverenze agl'italiani ed ai brasiliani e mandava scintille dalla barba a sentire che i brasiliani gli portavano il saluto del presidente della repubblica, del ministero, del ministro degli affari esteri, della camera, del senato, della prefettura della città, d'istituti scientifici e d'accademie, e a vedere che gl'italiani se ne commovevano patriotticamente insieme con lui. Si vedeva la sua barba china come quella d'un capro spostarsi qua e là saltando, via via che i saluti gli venivano da più parti, e la sua mano stringere ora questa ora quella mano, e i suoi occhi cercare in giro gli occhi de' connazionali intenerendosi sempre più della loro tenerezza sempre maggiore, mentre dalla bocca tremolante gli usciva un continuo balbettio di ringraziamenti a mo' di bava. I brasiliani guardavano il grand'uomo d'Europa con occhi curiosi. C'erano fra loro deputati, senatori, capi de' varii uffici, professori, giornalisti, studenti e medici in abbondanza; gente quasi tutta magra e secca, che diceva soltanto parole rade e piano, con una certa timidezza che pareva provenire da un'eccessiva sensibilità non scevra di diffidenza; e alcuni di loro avevano ancora sulla faccia l'impronta dell'origine: il teschio forte con gli zigomi in fuori e un che d'ultima ombra del sangue negro tra pelle e pelle. Tutti si dicevano onorati d'ospitare nel loro paese il professor Jacopo Axerio e si ripromettevano immensi vantaggi per la chirurgia brasiliana dalle sue lezioni e dalle sue operazioni, e il professor Jacopo Axerio si trangugiava a una a una tutte le lodi. A un certo punto gli studenti mandarono un evviva rinforzato dagl'italiani sì che ne rintronò la baia, e uno di loro parlò inneggiando, come se fosse stato in Europa, al progresso della scienza, all'amicizia dell'Italia e del Brasile, all'unione latino-americana e in fine alla solidarietà de' popoli. Il professore rispose ringraziando e dichiarandosi commosso dell'onore fatto non alla sua povera persona ma alla scienza e così dicendo si credeva di essere più modesto che se si fosse dichiarato commosso dell'onore fatto non alla scienza ma alla sua povera persona. Infine inneggiò anche lui al progresso della scienza, alla amicizia del Brasile e dell'Italia, all'unione latino-americana, alla civiltà e alla solidarietà de' popoli. E altri gli risposero, professori, deputati, giornalisti, mentre poco discosto gli emigranti del vecchio mondo sgranavano gli occhi sulla cerimonia che veniva loro offerta al limitare del nuovo mondo.
La signora Giovanna Axerio stava vicino al marito e aveva accanto il Buondelmonti e il Porrèna. Il quale faceva musetto con le labbra come se zufolasse e guardava intorno la baia, le alture dai disegni bizzarri e la città. Si chinò verso la signora e le disse:
— Lei dev'essere superba delle accoglienze trionfali che riceve il professore.
— Infatti — rispose la signora seccamente. Le sue labbra si sporsero contro il velo, la sua mano inguantata corse in quel punto e lo rialzò. Dopo poco il Porrèna ripetè la frase al Buondelmonti:
— Lei dev'essere superbo delle accoglienze trionfali che riceve il suo connazionale.
Il Buondelmonti che sorrideva tra sè e sè a capo basso, rispose:
— Certamente.
Subito aggiunse:
— Ma per fortuna la scienza non ha patria.
E sorrise al Porrèna affabilmente, rallegrandosi dentro di sè che il viaggio fosse terminato e che quegli s'allontanasse per sempre dalla compagnia sua e di Giovanna.
Allora, o avesse afferrato qualche parola intorno, o ci ripensasse da se stesso, il professor Axerio si rammentò che sua moglie l'aveva accompagnato attraverso l'oceano, la prese per mano e avanzandola un poco disse con quel tanto di solennità che gli parve conveniente:
— La mia signora.
Tutte le fronti s'inchinarono.
Tosto una voce maschia, una bella voce sonora e franca, si levò e disse:
— Ci deve essere a bordo un altro nostro valoroso compaesano.
— Chi? — si lasciò cadere giù per la barba il professore Axerio.
— Lo scrittore Piero Buondelmonti. L'ho letto in un giornale di Roma che ho ricevuto la settimana scorsa.
L'Axerio girò a malincuore gli occhi e accennò il Buondelmonti che stava nella calca. Allora l'italiano di Rio de Janeiro il quale si chiamava Lorenzo Berènga ed era il capo morale della colonia, si fece avanti e andato incontro allo scrittore gli strinse la mano gagliardamente come ad un vecchio amico e disse forte:
— Signor Buondelmonti, io voglio dare un pranzo per festeggiare il suo arrivo e quello del professore Axerio. Lei è invitato per doman l'altro sera.
Tutta la colonia, quantunque il nome di Piero Buondelmonti fosse noto a ben pochi degl'italiani di Rio de Janeiro, seguì com'un uomo solo il suo capo morale, tanto era il rispetto che questi incuteva, e fece atto d'omaggio. E la fama di lui si sparse subito anche fra' brasiliani i quali lo complimentarono. Uno fra gli altri appena ne sentì il nome, drizzò gli orecchi e accorse, perchè le sue opere gli erano note. Era un giovanissimo letterato e giornalista di Rio de Janeiro a cui la natura aveva dato due orecchi aguzzi e due occhi fatti apposta per esprimere l'avidità d'apprendere. Si chiamava Quirino Honorio do Amaral. Da sè medesimo si presentò al Buondelmonti e gli parlò dell'ultimo suo libro con un impeto come se da anni e anni avesse avuto la gola serrata dalla commozione per quell'incontro. Gli occhi gli ridevano come la bocca mentre parlava, e pareva che gli venissero fuori dal teschio, sì aveva il volto ridotto a pelle e ossa e gli occhi a fior di testa orlati di nero e rotondi fra gli orecchi aguzzi.
Fornite le pratiche del porto, i passeggieri dell'«Atlantide» furono liberi di scendere a terra. E quando il professor Axerio e Piero Buondelmonti ebbero posto il piede sulla scaletta di sbarco, qualcuno gridò:
— Evviva l'Italia!
Tutti fecero coro, la scaletta brandì fortemente, la baia rintronò e dall'alto qualche italiano scendendo lacrimò sul mare.
I brasiliani condussero gli Axerio alla villa che la repubblica aveva scelto per loro sul colle di Santa Teresa.
E sul medesimo colle due giorni dopo ci fu nella villa di Lorenzo Berènga il pranzo al quale erano invitati brasiliani e italiani di Rio de Janeiro e di San Paolo. Quando il Buondelmonti giunse alla villa del Berènga, questi lo condusse sulla terrazza dove già stavano il professor Axerio e molti altri. Alcuni si fecero incontro al Buondelmonti, e primo un letterato di Rio de Janeiro il quale gli mostrò il panorama che si godeva di lassù, la valle, la città e le isolette nella baia che già incominciavano a illuminarsi al cader della notte. Il direttore d'un grande giornale di Rio de Janeiro, un signore d'alta statura con una faccia ossuta, grigiobarbuta e un po' insaccata in due spalle strette e montanti, era accanto a loro, guardava con un sorriso di bontà un po' attristita e punteggiava di quando in quando con qualche monosillabo d'assentimento le descrizioni del letterato. Il quale si chiamava Francisco de Faria Lemos e parlava benissimo l'italiano con una voce nasale dolce, lenta e un po' strascicata, e congratulandosi con lui il Buondelmonti, gli raccontò che aveva viaggiato molto in Italia e che aveva avuto sempre tante amicizie fra gl'italiani per via del padre che era stato avvocato del consolato italiano. Accostatosi un signore di aspetto grave e delicato, il Berènga lo presentò al Buondelmonti.
— Il nostro pastore.
Un calabro, di nome Giorgio Tanno, piccoletto e forte, tutto negro d'occhi e di pelame e con una cicatrice che gli scendeva giù dallo zigomo per la gota destra rompendogli la barba, spiegò al Buondelmonti che il Berènga era protestante. Il quale poco dopo presentò un altro invitato.
— Giacomo Rummo, testa calda!
Il presentato, un uomo asciutto e solido,