La lanterna di Diogene. Alfredo Panzini

La lanterna di Diogene - Alfredo Panzini


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mi venne la voglia di farle piacere a scivolare giù anche con la testa.

      «Ma si muore, così!» le risposi infine.

      «E dove vuoi sperare di fare una morte più divertente? Va là, caro, non ti lasciar scappare questa bella occasione», pregava la maga tenerina.

      «Capisco, ma è che ho degli affari in corso; e, così subito, lì per lì, non mi posso permettere il lusso di morire. Sarà per un'altra volta».

      I muscoli del braccio allora si tesero nervosamente, quando capii che il sorriso della maga mi rendeva fievole: Sancio Pancia mi aiutò per le ascelle a venir fuori dalla vasca.

      — Un bel rischio, — mi disse,

      — Altrochè!

      Ma egli alludeva alla idroterapia; io pensavo, invece, all'invito della maga; chè per poco non le ubbidiva.

      «E chi lo sa, — meditava poscia vestendomi e contemplando l'acqua, ricomposta in pace, profonda e bruna, — che io non mi deva pentire un giorno di aver perso l'occasione di trapassare così dolcemente?»

      Del resto non era il caso di tornarci sopra: e avendo rifiutato i vantaggi che l'acqua mi offriva per la morte, accettai quelli che mi offriva per la vita.

      Nè questi erano pochi; una gran leggerezza, intanto, per tutte le membra; una gran letizia di riempire i polmoni d'aria, e anche una certa purità di spirito.

      O che l'idroterapia abbia anche un'azione morale?

      Ma oltre al parroco Kneipp, oltre a Pindaro, c'è stato anche San Francesco a lodar l'acqua. O non la chiamò con meravigliosi, umani nomi «humile et pretiosa et casta» nel suo canto del Sole?

      È inutile: non ci sono che i santi ed i poeti che capiscano veramente le cose, un po' più in là della scorza!

      Dopo ciò non rimaneva che pregare il carrettiere che eseguisse sul mio dorso un poco di massaggio. Egli non capì lì per lì che volesse dire questa ostrogota parola; ma quando gli spiegai di fare su me l'istesso esercizio che eseguiva sulla sua bestia quand'era sudata, capì benissimo: — Ah, strigliare! — disse, e afferrò una bella manata di strame.

      — Amico mio, tu spingi all'eccesso la simiglianza fra me e la tua bestia; adopera la coperta che hai sul carro.

      Egli fu ben volonteroso, e poco dopo gli uscii di mano, rosso come un mattone.

      Allora sentii anche un prepotente bisogno di riempire lo stomaco: e Paullo era troppo lontano!

      — Ma c'è la Serra che è vicina, — disse il carrettiere. — In quanto? In un quarto d'ora lei ci arriva.

      — Allora ci troveremo a bere una bottiglia.

      — Vada avanti che la raggiungo subito.

      Ed infatti dopo poco, ecco in cima alla salita una fila di casette di montagna che segnavano nella vivida luce della strada il profilo frastagliato delle loro ombre. Una meridiana segnava le ore dieci. Dentro una porta, sopra tre gradini, vidi l'ombra di una stanza con alcuni tavoli apparecchiati, e dalla porta usciva un odore di arrosto. Fu dunque specialmente il naso che mi avvertì che io era giunto ad un'osteria, perchè gli occhi erano ancora abbarbagliati dal sole e non distinguevano bene nè insegna nè frasca.

      Quando quel barbaglio scomparve, mi accorsi che il naso non mi aveva ingannato ed io mi trovavo in una grande, bella cucina antica, una di quelle cucine patriarcali che sono il centro della casa; dove, nei tempi antichi di Roma, Vesta teneva acceso il focolare, e c'era il Penus e c'erano i Penati. Lì c'era in basso un gran camino, dove un vecchio sapientemente regolava il fuoco sotto una schidionata di uccelletti; in alto su la parete pendeva una Madonna, circondata da molti santi fra rame fiorite; e sotto un lumino faceva il suo fungo.

      Oh, divina provvidenza! Essa accanto all'acqua ha collocato il vino; accanto alla ginestra ha messo i funghi; e dopo la maga viene la cuoca, che vi domanda: «Che cosa desidera, signore?» L'uomo ingegnoso alla sua volta brucia la legna, caglia il latte, ne fa il burro ed il formaggio; questo cade sui gnocchi, quello fa soffriggere i funghi; la quercia artistica fa bollirei la pentola; lo spiedo fa girare gli uccellini. Tutte queste cose deliziose si trovavano in quell'ora, in quella cucina, come se avessero saputo del mio arrivo; cioè dei gnocchi e della cacciagione di uccelletti, la cui testolina ad ogni giro di spiedo cadeva giù disperatamente.

      Certo essi erano fratelli dell'uccellino bel verde che cantava sulla muschiosa quercia.

      Avevano avuto anche loro troppa fiducia nella tutela della legge contro la caccia abusiva che fanno gli uomini, ed ora scontavano la pena della loro buona fede.

      Ma io non sentii rimorso di accettare l'offerta di quella cacciagione e di trovarla buona. Del resto anche l'uccellino distrugge e divora la vita di altri esseri; e la storiella della reciproca divorazione e distruzione è continua come un cerchio. Ringraziamo la divina provvidenza che ci ha fatti nascere in quell'ordine privilegiato delle bestie, che mangia tutte le altre; ed è tanto intelligente che sa distinguere quando è meglio mangiare vivi e palpitanti i propri simili, come avviene per le ostriche; quando è meglio lasciarli un poco putrefare, come avviene per le pernici e per le quaglie; quando è meglio mescolare insieme molti animali, come avviene per il salame.

      Del resto è un errore di giudizio semplice il supporre che i piccoli animaletti non esercitino una loro vendetta. I microbi si uniscono a milioni, edificano le loro città mortifere nei nostri corpi orgogliosi; ed altre miriadi di microbi preparano sotto terra accuratamente la nostra distruzione completa.

      Anche essendo asceti e vegetariani, non isfuggiremo a questa sorte dolorosa e fatale. Divoriamoci, quindi, senza rimorso e senza pietà! conclusi contemplando uno di quei bipedi infilzato nella forchetta.

      In quella occasione feci conoscenza di un vino locale, vino di montagna che non conoscevo neppure di nome ed è chiamato vino tosco. È un vinello lieve, roseo, acidulo. Il carrettiere, che mi aveva raggiunto, mi assicurò che di quel vino se ne può bere sino a mutare lo stomaco in un otre; e non fa male. Dev'essere così, perchè esso non turbò menomamente il dolcissimo profondo riposo di cui mi gratificai dopo il pasto.

      O frescura delle lenzuola di bucato, o voluttà del buio nella stanza, con la coscienza che lentamente si spegne (vedendo però attraverso un tenue spiraglio della finestra l'imagine del gran sole!) o sonno senza sogni, senza visioni, senza sussulti! Quante poche volte mi accadde di dormire così!

      Un breve sonno, se profondamente e lievemente dormito, vale una lunga notte di sonno sognato e agitato; e in vero quando mi destai, credetti aver dormito come una notte, e già tramontato credevo il sole. Ma come ebbi spalancati gli scuri, vidi che il sole si distendeva in pieno meriggio per la piazza deserta e faceva barbagliare le verdi piramidi lontane della Serra. Erano appena le tre.

      In quelle due ore io mi ero rinnovato nel sonno: ma certo in questo tempo gli operai del corpo, i lavoratori della vita, avevano lavorato alacremente mentre il cervello riposava: avevano restaurata e pulita la gran macchina umana. Non avevano fatto come i lavoratori della terra, della officina, ecc., i quali — se il padrone non vigila — s'addormentano o scioperano.

      L'umile stomaco, la spregiata bile, le pazienti glandole si erano messi all'opera quando io chiusi gli occhi al sonno; e quando li riapersi, bene capii che i gnocchi, gli uccellini, i funghi, il vino tosco erano passati rapidamente per tutti gli stadi della lavorazione.

      Questa organizzazione operaia dell'umile corpo è cosa sempre più sorprendente; ma più sorprendente è la letizia che inonda il cuore allorchè questa funzione si compie in modo normale.

      E come un grande scultore può trarre un'opera d'arte da un vile pezzo di legno, così agli armonici operai del corpo poco basta per bene lavorare. Chi lo direbbe? Gli umili operai del corpo umano non domandano per condimento alle vivande gli artificj dei superbi cuochi e delle ricche mense, ma domandano il condimento della sanità e della letizia dello spirito.

      Io voglio molto bene all'Ariosto; ma oltre che pe' suoi sogni sereni, molto io l'amo per le sue verità buone: fra cui questa:

      In casa mia mi sa meglio


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