La lanterna di Diogene. Alfredo Panzini
alcune liriche tedesche che io intesi bene come egli intese le mie.
Suppongo, per altro, che anche le sue dovessero essere liriche patriottiche, giacchè la sua bocca, cinta dalla barba dorata, si apriva per mandar fuori certi boati solenni, certi rugghi di Vaterland, che in tutt'altra occasione mi avrebbero fatto ridere, e allora invece io lo stavo ad ascoltare pensosamente come se avessi compreso più che egli non dicesse.
Così parlammo a lungo con la lingua d'angelo de' nostri poeti e ci intendemmo come se, invece di recitare versi, avessimo cantato delle ariette musicali.
Non è però da nascondere che in quella osteria di Torino, ad aiutare la reciproca intelligenza di due linguaggi così diversi, molto giovò — oltre alla potenza della poesia — un raggio di sole che si era fatto Barolo entro il mistero di alcune bottiglie.
Il vino, inoltre, e l'amor di patria fecero sì che il tedesco ed io ci guardassimo fraternamente negli occhi.
Ciò non sempre avviene: questo nobile liquore e questo nobilissimo sentimento spingono sovente individui e popoli a guardarsi biechi come cani ed a picchiarsi senza pietà.
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Ma lì, a Rubiera, con chi dovevo io aprirmi? Perciò tu mi tornasti alla mente, onesto teutonico: e infine, trovandomi solo, tutte le mie espansioni mi convenne rivolgere a quella bottiglia di Lambrusco, ed essa in contracambio versò in me tutta la piena del suo spumante liquore.
L'ostessa mi faceva osservare che un Lambrusco come quello non si trova certo a Bologna; e a Modena che è Modena, due lire e più bisogna pagarlo alla bottiglia, chi lo vuole.
Ma io pensavo ad altra cosa che a questioni di enologia e di prezzi: io pensavo alla bella abitudine che i Greci avevano di premiare i loro più benemeriti ed illustri personaggi col dono di una Dea o di una graziosa vergine, come accadde ad Ercole che ottenne in moglie Ebe, una moglie che doveva in certo modo compensarlo della terribile Deianira che ebbe in terra: una moglie che non invecchiava, appunto perchè era la Dea della giovinezza (e forse — sottilmente pensando — i Greci antichi vollero con questo mito significare il solo caso in cui il matrimonio può essere giustificato). Era una specie di premio Nobel, ma più confortevole. Io non pretendevo certo a nessuna qualità illustre; e quindi a nessuna Dea, e nè meno ad intatte vergini. Ma è certo che il mio alto sentire della patria non era da tutti e meritava qualche piccolo compenso. Se quella ostessa, invece di essere così esperta del prezzo e delle qualità del Lambrusco, avesse conosciuto la storia greca, io avrei osato farle qualche parola in proposito.
Ma non era il caso.
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Tutti i galli del giardino dell'ostessa mi svegliarono all'alba, e poco dopo, il sole entrò nella camera così sfacciato, che mi convenne levarmi. Ma che mattino rugiadoso, silenzioso, ridente! Vi sono (è debito di giustizia confessarlo) dei momenti che è un gran piacere abitare in questo mondo! È una cosa di fatto, ed io, come positivista a mio modo, la constato. Non avviene spesso, ma avviene. Quando noi ci saturiamo di vita (nel modo stesso che un automobile elettrico si satura del misterioso fluido) noi godiamo. Me ne dispiace pel mio amico S.... Egli è un filosofo anarchico, ma mitissimo e dottissimo uomo; e mi venne in mente il suo nome quella mattina per il contrasto di questa mia con le sue affermazioni. Egli afferma dolcemente, ma con incrollabile convinzione, che la vita è un peso: che l'unica soluzione è quella di approfittare dei progressi chimico-scientifici e far saltare questo stupido satellite.
No! Amico S....! Vi sono dei momenti che la vita è bella, soltanto non basta profumarsi, come fate voi, amico S...., e vivere poi in mezzo alla folla. Allontanarsene ogni tanto bisogna.
Come io sentivo quella mattina la carezza, l'abbracciamento, quasi sensuale, femmineo, della materia!
Nel breve tragitto dalle Stiviere a Modena quante deliziose ville occultate nel verde dell'ubertosa campagna, come ninfe entro i boschi! Che lieto mattinare degli uccelli per i giardini silenziosi!
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Giunsi a Modena senza avvedermene, ed erano le ore sei.
III. Ebbrezza del latte.
A Modena un tabaccaio si offerse ad incollarmi egli stesso i bolli su le cartoline illustrate; un caffettiere mantenne la promessa di offrirmi un caffè senza cicoria.
Queste garbatezze non sono molto frequenti ed ebbero la virtù di farmi vedere soltanto il bello di Modena.
(Verum enimvero, considerando che le buone maniere non costano niente, eppure mutano in color roseo l'aspetto delle cose; e considerando, inoltre, che noi non ci possiamo sottrarre alle cattive azioni del nostro prossimo, preghiamolo di operare il male con bel modo. Sono consegnati alla Storia quei carnefici che fecero il loro ufficio con gentilezza.)
Io trovai dunque Modena meritevole di quegli epiteti di «ben costruita» e «felice» che Senofonte nell'«Anabasi» regala a tutte le città dell'Asia Minore; le sue contrade sono armoniche anche senza il geometrico, antipatico rettifilo moderno; decorose senza ostentazione di fasto architettonico; silenziose senza tristezza (e questa ultima qualità non può essere apprezzata al suo giusto valore se non da chi esce da una città come Milano, dove è necessario possedere un sistema nervoso fabbricato appositamente).
Un'amabile classicità ha ravvolto gli edificj in una lieta armonia; e se la torre della Ghirlandina è antica, ridono di giovinezza i visi delle donne fuori dello scialletto nero; e il mercato fa testimonianza della bella e fertile terra.
La vasta piazza Ducale non era in quell'ora popolata che dalla statua di Ciro Menotti. Eppure era molto! Questa statua è di marmo bianco, e il giovane martire della indipendenza d'Italia lì giganteggia, nell'atto di avanzare con fronte alta e pura, col vessillo in pugno e la spada. L'atto è risoluto e calmo; ma il volto imberbe e giovane, il suo vestir cittadino, lo stesso candore dei marmi sembrano simboleggiare la purità dell'eroe e insieme la paziente gentilezza latina che si ribella alfine per il diritto alla vita.
Non così, o buon tedesco, o Rudolf Meyer, sono effigiati gli eroi della tua terra! I recenti eroi della tua terra vestono il tetro abito della guerra, e pure essendo composti nell'aspetto, fanno pensare all'antico furore dei tuoi guerrieri feudali.
La spada che impugna Ciro Menotti è arma caduca nel tempo, necessità del momento: della qual cosa non seppi allora, nè so, se congratularmi o dolermi.
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Un vecchio e arzillo signore di Modena, mio compagno di tavola, fu quegli che mi indusse proprio a lasciar la pianura e prendere la via dei monti. — Come? non conosce la via Giardino? ignora Paullo? La Serra? Lama Mocogno? Barigazzo? Pievepelago? L'Abetone? Ma bisogna andarvi! già che è sulla strada. — Così mi disse.
Confesso la mia ignoranza; io non conoscevo molti di questi luoghi nè meno di nome e non trovo modo di confortare questa ignoranza se non pensando che io la condivido con molte persone.
Strana cosa! Questa piccola Italia, se ci mettiamo a studiarla secondo geografia, diventa grande come un continente; e se ci mettiamo a studiarla secondo storia, quest'umile Italia diventa superba come un impero.
La materia è vasta; ed è forse per questo che gli studi della storia e della geografia nazionale sono accuratamente evitati.
Dopo un sommario esame della carta del Touring, osservai al mio interlocutore che La Serra è a 800 metri; Paullo è più in basso, ma Barigazzo sale ancora a 1300; Pievepelago discende sino al fiume; però l'Abetone svaria con la sua selva a 1340, e la Lima si nasconde in fondo alla valle.
— Crede lei che io riuscirò a fare questa specie di montagne russe?
— Caspita, un giovane come lei!
Ciò mi lusingò moltissimo: ma tutto è relativo: per il mio interlocutore, che era vecchio, io apparivo ancora un giovinotto; nel modo stesso che un certo bambino dice sovente: «quando sarò vecchio come il papà», e non crede di offendermi.
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