La Signorina. Gerolamo 1854-1910 Rovetta

La Signorina - Gerolamo 1854-1910 Rovetta


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Fáni, lentamente, fa un sospiro di ammirazione profonda, mentre cerca di liberar la mano che il giovine le ha presa e che stringe troppo forte:

      — Segantini e Favretto!... La mia passione!

      — Venite, dunque, venite! Io vi aspetto dietro l'uscio.

      — Chi sa che maraviglia?

      — Il quadro del Segantini Dopo un bacio è una scena alpestre, nell'alta Engadina: un pastore e una pastorella, un branco di pecore; in fondo la catena delle montagne, la cima nevosa dei ghiacciai: un gran riposo, una gran pace. — Quello del Favretto, Venezia, Le ciacolone sul Liston: giocondità, calore, clamore, fervore di vita...

      La Fáni, con un altro sospiro più profondo:

      — Segantini pensa: Favretto ride! Che grandi artisti, tutti e due!

       — Venite, dunque, venite! Parlerò io alla portinaia. Non domanderà niente, non vedrà niente! Voi passate di volo.

      Segantini! Favretto!... Che grande tentazione!

      La baronessa Stefania è una raffinata: ama tanto discorrere e discutere d'arte! Si accalora, si appassiona, si entusiasma. Essa pure dipinge, e tra le signore e i suoi amici è in fama d'essere una buona dilettante. Dipinge bestie, soltanto. S'è provata una volta, anche a fare il ritratto di don Giulio, suo marito e c'è quasi riuscita.

      Segantini e Favretto!.... Che gran tentazione!

      E soltanto per amore di Segantini; per amore di Favretto ha finito a cedere e a promettere.

      — Ma... vengo per un minuto, un lampo e... dopo mai più! Giurate?

      — Giuro.

      Invece... sono le sei. Il Roero, nell'angoscia muta dell'attesa le sente battere a tutti gli orologi e perde ormai ogni speranza. È sempre in ascolto, dietro l'uscio, ma ha la faccia pallida, rabbuffata. Di solito quando non si pettina troppo e non porta i solini troppo alti è piuttosto un bel giovane e molto simpatico, ma a furia di aspettare e di arrabbiarsi è diventato perfino livido e brutto.

       — Sempre bugiarda, sempre civetta e nient'altro!

      Ha un impeto di collera, di rivolta, contro Stefania, contro la propria debolezza, contro la propria dabbenaggine e già si allontana dall'uscio dopo averlo sbattuto con ira, quando sente sotto l'atrio ripercuotersi il tic-tac, quel tic-tac che aspetta da un'ora.

      — Cara! Cara! Mia!

      E Stefania, appena dentro, lì, dietro l'uscio, si sente presa, stretta fra le braccia dell'innamorato, in quel punto reso più ardito e più ardente dalla lunga attesa, dal dubbio atroce, e dalla gioia insperata; e il viso di Stefania, il viso morbido, odoroso dal nasino rosso e diaccio sotto la veletta, è coperto, è divorato da una furia ingorda di baci.

      — Che cosa fa?... Non sono i nostri patti... Mi aveva promesso...

      — Ti amo! Ti amo! Ti amo!...

      — La credevo un gentiluomo!... Mi sono affidata alla sua parola... d'onore... Ha giurato...

      — Ti amo! Ti amo!

      Le braccia, i muscoli di Stefania diventano d'acciaio; le manine nervose graffiano anche sotto i guanti. In un impeto più forte d'ira, di sdegno, riesce a sciogliersi da Francesco e a spingerlo, barcollante, in mezzo della stanza.

      — È così, è così che mi rispettate?... Che mi date prova di rispettarmi e di stimarmi?... Non mi vedrete mai più!

      Stefania si slancia sull'uscio per fuggir via, ma non può: la serratura inglese, a sdrucciolo, s'è chiusa.

      Francesco, a tale rimprovero, a tale minaccia, si calma repentinamente, rientra in sè e comprende l'errore commesso, la propria pazzia.

      — Perdonatemi, perdonatemi...

      — Aprite! Subito! Aprite!

      Francesco balbetta sempre più confuso, mortificato, senza osare di avvicinarsi:

      — Più che rispetto... è devozione, adorazione che sento per voi...

      — Bel modo di provarmi questi sentimenti!... Aprite, ho detto, subito!

      Francesco, sempre più pallido, balbetta sempre più forte:

      — Perdono! Vi supplico!... Vi domando perdono, adorandovi umilmente, come una regina... Adorandovi in ginocchio, come una santa... come la mia santa.

      La voce tremante dell'innamorato, quella pronta sommissione, quella parola «santa» acquietano la bella baronessa. Da buona moglie ella segue i principî del marito clericaleggiante, don Giulio Arcolei: ed è persino accusata, d'essere un po' bigotta.

      Un istante di silenzio: Stefania si volta, si scosta dall'uscio, si avvicina d'un passo a Francesco:

      — Voi, signor Roero, mi avete dato una lezione...

      — No, ma no!

      — La lezione che mi merito, per essermi troppo fidata di voi, della vostra parola, delle vostre promesse, dei vostri giuramenti più sacri! Colpa mia, colpa mia! — Levando i begli occhi al cielo con un sospiro doloroso: — Ma vi credevo tanto mio amico!... Il solo in cui credevo, in cui mi fidavo. — La voce di Stefania ha una velatura di lacrime; ella non comanda più; ella prega a sua volta.

      — Aprite, siate buono; lasciatemi andar via! E... non vediamoci più! Non dobbiamo vederci mai più!... Vi perdono! Ho già detto è colpa mia, tutta colpa mia; voi non avete fatto altro che darmi la lezione che mi son meritata!... Adesso, ai vostri occhi... — Stefania ha un singulto e si copre il viso colle due mani: — Dio, Dio, che vergogna!

      Francesco l'osserva bene... esita un istante, poi si avvicina, continuando ad osservarla e pensando fra sè:

      — O non è andata tanto in collera come credevo, la collera comincia a passare.

      Le prende i polsi, fa un po' di violenza e le scopre la faccia.

      — Tutta la mia vita. Prendetevi tutta la mia vita in cambio di un po' di bene...

      Stefania, di nuovo fiera, minacciosa:

      — Tornate da capo?

      Francesco rassicurandola, vivamente:

      — No! No! No! — E così dicendo alza la portiera del primo salottino.

      — Perchè?

      — Non siete venuta per vedere i miei quadri?

      — È troppo tardi!

      — Un momentino, appena; in fretta!

      Stefania è perplessa. Vorrebbe e non vorrebbe. La tentazione per i quadri c'è, e diventa forte a vista d'occhio.

      Francesco insiste colla sua bella voce calda, appassionata:

      — Un momentino appena; in fretta!

      — Ma... molto in fretta! — Stefania cede.

      — Dev'essere molto tardi!... Giulio è buono, ma non posso farlo aspettare a pranzo. È l'unica cosa che lo faccia infuriare.

      — È presto ancora. Sono appena sonate le sei. E poi oggi c'è Consiglio comunale. Si discutono i bilanci; la seduta terminerà tardissimo. Un'occhiata!... Due minuti!

      — Allora, soltanto il quadro del Segantini.

      — E quello del Favretto. Sono tutt'e due nel mio studio.

      Stefania è assalita da una nuova curiosità:

      — Nel vostro studio?... Dove lavorate, dove scrivete, dove pensate tante belle cose?

      — Dove penso tanto a una cosa sola bella... a voi.

      — Zitto, finiamola; o vado via!

      — Venite qui; è qui, subito.

      Francesco attraversa il primo salottino, poi alza un'altra portiera, a diritta:

       — Entrate.

      Stefania


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