La Signorina. Gerolamo 1854-1910 Rovetta
si avvicina alla portiera, la scosta un pochino e rimane in ascolto.
Più niente!... Tutto silenzio.
Spinge il capo nell'anticamera e ascolta ancora per meglio assicurarsi, poi, tranquillato realmente, torna sorridendo vicino all'amica.
— Ho avuto ragione sì o no? Quel seccatore s'è persuaso: — Nessuno risponde! — Ed è andato via!
— Se domanda in portineria? Se incontra qualcuno?
— Per tutti sono a Lodignola, sino a domani.
— E il vostro servitore?
— L'ho lasciato in libertà più presto. Non torna che stasera, dopo le nove. Vi supplico, non abbiate più alcun timore!
— Vado, vado, vado!... Lasciatemi andar via subito, per carità.
È inutile insistere. Stefania è ormai troppo agitata, troppo nervosa.
Ritta dinnanzi uno specchio, sta appuntandosi di furia la veletta, studiando di coprirsi bene il viso.
Francesco è di nuovo diventato pallido, ma adesso di rabbia, di veleno, di collera! Avrebbe ammazzato «quel seccatore», avrebbe voluto strozzare la portinaia!
Con tante raccomandazioni, con tante ingiunzioni: — Ricordatevi che sono a Lodignola per tutti! Venisse anche il Padre Eterno!
— Non ci sarà nessuno?... Non ci sarà proprio nessuno? — Continua a domandare Stefania che, quando diventa nervosa, non ragiona più.
L'altro risponde sempre stizzito, la voce bassa, reca:
— Ma no! Ma no! Se vi dico di no! No! Non avete nemmeno scale da fare... Siamo a terreno... Siete subito fuori!
E la giudica affatto senza cuore e senza sangue, e pensa nel suo dispetto, studiandola, fissandola cogli occhi torvi quanto ci sia proprio di vero e quanto, forse, di meditata civetteria anche in tutto quel suo spavento, in tutti quei tremiti!
— Il mio manicotto?
— Eccolo.
La baronessa, che ha finito di tirarsi su i guanti, caccia una manina nel manicotto e fa per correr via quando è arrestata all'improvviso da un gran colpo d'ombrello o di bastone dato contro le imposte.
— Dio!
Il Roero, trasalendo, muove un passo verso la finestra, poi si ferma aggrottando le ciglia e stringendo i pugni.
Quasi subito, un secondo colpo più forte del primo, e una voce che lo chiama:
— Roero! Roero!... Francesco!... Cecco!
— Ah, mio Dio! Chi è?... Ma chi è?...
Stefania, atterrita, cerca istintivamente cogli occhi ove nascondersi.
L'altro, intanto, continua a gridare dalla strada, a squarciagola:
— Cecco! Cecco!... Cecchino!... Sono io!... Nespola!...
— Nespola? — Ripete Stefania guardando Francesco, interrogandolo cogli occhi stupiti.
Francesco ripete appena, sottovoce:
— Il più terribile dei seccatori!
— Roerooo!... Rispondi!... So che ci sei!... Vedo il chiaro della lucerna!... Se hai da scrivere, da lavorare non importa! Ho da parlarti!... Sul momento!... Ho fretta!... Roerooo!
— Ma che cosa sarà mai successo?... Che cosa vorrà?
— Chi sa? Non può essere niente di serio! Una sciocchezza, certo! Magari... vorrà condurmi a pranzo con lui! Ma se intanto non gli rispondo è capace di buttar giù la casa! È fatto così! Quando capita è una disgrazia!... Una tempesta!
— Nespola? — Ripete Stefania, rasserenandoci a quelle parole e sorridendo per quel nome.
— Un chiacchierone, un sussurrone qualunque!... Un giornalista...
Stefania torna subito ad oscurarsi.
— Un giornalista a spasso! Vivaddio! Stava tanto bene in America!
— Roerooo! Roero!
— Ma come si fa? Come si fa?
— Vado io; lo piglio per il petto o per il collo. Non dubitate; lo porto via con me! Voi spiate dalla finestra. Quando ci vedete lontani uscite pure, senza timore. Prendete la chiave!... Dov'è?...
La cerca affannato in tutte le tasche; la trova.
— Eccola! A voi! — E fa per correr via.
Ma la Fáni, prendendo la chiave, lo trattiene lei, adesso, per una mano, fissandolo con un sorrisetto arguto e seducente.
— Venite stasera?...
— Sì.
— Roerooo!
Stefania continua a fissare il giovine commediografo e continua a sorridere.
— Sentite, — bisbiglia sottovoce, — il vostro terribile seccatore!
Poi, d'improvviso, mentre lo spinge fuori è Stefania che gli sfiora una guancia più col fiato che colle labbra.
II.
Il terribile seccatore.
Francesco, piombando addosso all'amico Nespola che continua a chiamarlo sotto la finestra:
— Via! Via!... Vieni via!
— Sei in collera?... Invece di lavorare alla commedia, di' la verità, c'era Dalila con te? M'è venuto in mente adesso. — E l'amico scoppia in una grande risata.
Francesco è furibondo: afferra Nespola per un braccio e lo trascina giù lungo la strada, verso piazza del Duomo.
— Vieni con me! E finiscila!
— Che viso! Che occhi!... C'è proprio Dalila? — E l'importuno ride ancora più forte.
Dalila è una divetta della compagnia Scalvini, così chiamata dalla parte che fa in un'operetta-parodia — La Mascella d'asino — la gran novità del giorno che spopola alla Canobbiana.
— E ricordati che sia la prima e l'ultima volta che ti prendi con me simili licenze! In casa mia, comando io; e quando non ci sono, non ci sono per nessuno, e tanto meno per te, ricordatelo bene!... Non sei nè mio fratello, nè mio padre! Non sei altro che un seccatore!
Nespola sorpreso, mortificato, fa forza e si ferma:
— Se ti arrabbi così, piuttosto torno indietro! Torniamo indietro!
— Avanti! Avanti! E in fretta! E spicciati! Che cosa vuoi? Perchè sei venuto?... Perchè?... Che cosa c'è di tanta premura?
— Ho un duello.
— Al solito!... Lo troverai un giorno o l'altro quello che ti spaccherà la testa!
— Grazie dell'augurio. I rappresentanti del mio avversario si troveranno al Caffè dell'Accademia alle sette e mezzo.
— Che cosa c'entro io?
— Tu mi servirai da testimonio e mi aiuterai a trovarne un altro. Adesso in piazza del Duomo saltiamo in un brum e andiamo a pescarlo. Uno qualunque. Non c'è tempo da perdere! Son quasi le sette!
— Io non posso! Sai del resto che i duelli, i tuoi pasticci non sono cose che mi divertano.
A questo punto si sente stringere il braccio dall'amico: si volta.
— Che cosa c'è?
— Guarda, per Dio, che bella donna!... Per lei mi batterei volentieri, altro che per Depretis!
Era la baronessa Arcolei, che passava loro dinanzi svelta, diritta, con quel suo tic-tac misurato,