La Signorina. Gerolamo 1854-1910 Rovetta

La Signorina - Gerolamo 1854-1910 Rovetta


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vedere quel tipo curioso che si chiamava «Nespola» e voleva godersi a mettere in imbarazzo l'amico, a intimidirlo, a confonderlo con la propria impudenza.

      — Depretis?... — Francesco ha la voce leggermente alterata. — Perchè Depretis?

      — Perchè mi batto per Depretis! Non te l'ho detto?

      — Tu?... Ma non fai il repubblicano?

      — Ho difeso Depretis a proposito della riforma elettorale. Con questa legge è Barbabianca, appunto, che viene a me; non sono io che vado a lui!

      — Con chi ti batti?

      — Col Bonaldi della Difesa Lombarda.

      Il Roero, sempre più seccato, si morde i baffi.

      — Ma io... sono in ottimi rapporti col Bonaldi.

      — A me invece è antipaticissimo con quel viso giallo-verde, sbarbato, che non sa decidersi fra il viso del prete e quello del servitore!... E poi io sarò più meno a spasso, ma lui è un giornalista più bestia di me!

      — E per questo vuoi batterti con lui?

      — Per questo non posso soffrire la sua aria d'importanza, la sua affettazione di volersi mettere in frac tutte le sere!... Vero Tony di sagrestia.

      — Ma io, ti ripeto, sono in ottimi rapporti col Bonaldi e non posso andarlo a sfidare a nome tuo, per simili... sciocchezze.

      L'altro guarda il Roero e sorride.

      — Ma è lui che sfida me!... L'ho mandato a rotolare sotto i tavolini del Caffè Manzoni: aveva dato del cinico, del traditore a Barbabianca, perchè, pur di rimanere al potere, non esitava a spalancare alla piazza le porte del parlamento. Io gli ho dato dell'imbroglione, della canaglia, e credo anche quattro pugni.

      — Ma... il Bonaldi avrà reagito, avrà risposto?

      — Quando lo pescarono sotto i tavolini e l'ebbero rimesso in piedi, mi rispose tranquillamente, accendendo la sigaretta e senza guardarmi in faccia, — non guarda mai in faccia quel falso baciapile!, — che se, per caso, avessi potuto trovare due persone appena rispettabili, disposte a rappresentarmi, alle sette e mezzo al Caffè dell'Accademia, due suoi amici le avrebbero aspettate: in caso diverso, una querela. Io subito ho pensato al deputato Traversa. — Scoppiando in una risata: — Più rispettabile di un onorevole!... Sono persino sinonimi! Ma poco fa, ho saputo che il Traversa è a Roma. Allora ho pensato a te: mi dispiace di doverti far alzare domattina alle sei, ma come si fa? — Nespola ride di nuovo e più forte. — Il Bonaldi vuole una persona rispettabile? E io gli mando, nientemeno, che l'amante della moglie d'uno dei suoi padroni.

      Francesco si ferma di colpo, lo fissa:

      — Come parli!

      — Volevo dire l'amico, il galante, il cicisbeo l'adoratore: per Dio, quanti nomi per lo stesso giuoco! Ma sì, che cosa credi? Che non si sappia? Lo dicono tutti!

      — Abbassa la voce! Dicono che cosa?

      — Dicono che Dalila è il pot-au-feu, ma che la moglie dell'Assessore Arcolei è la musa del commediografo, la donna romantica, il... piatto dolce! È bella, almeno? È clericale?.... Amica dell'Arcivescovo?... Farete prima il segno della croce?

      — Basta! Finiamola!

      Francesco, più che irritato, offeso, si sente ferito da tali parole.

      — Sono chiacchiere, falsità, ancora più stupide che maligne. E per quanto mi chiedi, sono dolentissimo, ma devo dirti di no, assolutamente no. Prima di tutto, non ho tempo. Stasera non posso, e domani vado a Venezia. Ho poi anche molti obblighi di buona cortesia verso il signor Bonaldi. La Difesa Lombarda, in ogni occasione, si è sempre occupata di me e delle cose mie, con molto interesse e con molta benevolenza. In fine... — L'ira di Francesco è sul punto di scoppiare, ma il suo tatto diplomatico riesce ancora a frenarlo: — Infine... io voglio essere rispettato e perciò rispetto gli altri e non posso e non voglio servire da comparsa, da burattino, da marionetta ne' tuoi colpi di scena per quanto falsi e grotteschi. Addio! Buona sera!

      Sono giunti in piazza del Duomo: Francesco vede passare un brum e fa una corsa per fermarlo.

      — Brum! Brum!...

      L'altro afferra Francesco per il polso: non ride più, la sua faccia è pallida, costernata:

      — Si tratta del mio onore!... Roero! Roero!.. Hai ragione!... Sono leggero, troppo impetuoso, matto, ho avuto torto; ma adesso si tratta del mio onore. È troppo tardi, ormai! Alle sette e mezzo bisogna essere al Caffè dell'Accademia. E adesso, a quest'ora, chi potrei trovare? Sono tornato dall'America da quindici giorni! Ancora non conosco nessuno su cui poter contare, e ho già tanti nemici! E poi un altro come te, stimato come te, dove lo trovo? E si tratta del mio onore! Si tratta del mio onore!

      Francesco è già con un piede sul montatoio del brum, ma gli manca il coraggio di salire e di andarsene:

       — T'ho detto che non posso, che ho un impegno per stasera.

      — Non hai altro che da passare dall'Accademia, e ti sbrighi in un attimo. Io accetto tutte le condizioni del mio avversario: anche quella, se vuole, di battermi in frac.

      L'amico Nespola è sicuro ormai che il Roero non gli scappa più e torna a ridere spensieratamente.

      In fatti Francesco fa cenno al brumista di aspettare un momento e torna vicino al suo terribile seccatore: lo manda al diavolo assai cordialmente, ma pensa anche, in cuor suo, che non può abbandonarlo.

      Certi amici sono come le malattie: capitano quando vogliono, e si può soltanto sperare che passino presto!

      Il Roero conosce Nespola già da vari anni. Lo ha incontrato la prima volta sul palcoscenico del teatro Manzoni. Adesso il Roero, nel bel mondo delle prime milanesi, è il giovane commediografo alla moda, dalla raffinata casistica bourgettiana: allora lo si credeva ricco soltanto di quattrini e di gusto. Non amava ancora il teatro, ma soltanto le attrici ed appunto ad una di queste, una sera, senza pensarci, avea promesso un proverbio per la beneficiata; senza quasi pensarci lo aveva scritto, lo aveva letto ai comici, agli amici, al club e in casa D'Orea; lo aveva dato a copiare e messo in prova, e soltanto alla vigilia di andare in iscena gli si erano aperti gli occhi e aveva cominciato a pensare con spavento, al pericolo e al ridicolo di fare un gran fiasco.

      — Ritirare la commedia?... Con tutto il teatro già venduto?... Che chiasso! Gli amici, gl'invidiosi, i rivali, gl'imbecilli, che già pregustano il piacere di fischiarlo e la voluttà della piccola distruzione!... Come si sarebbero vendicati!

      Nespola, il già terribile seccatore, si trova appunto sul palcoscenico alla penultima prova, e scopre nella nuova commediolina ciò che agli altri era passato inosservato: il talento dell'autore e una fresca e spontanea originalità.

      — La vostra commedia, signor Roero, ha un difetto solo; è troppo lunga e troppo corta. Fatevi dare il manoscritto, andiamo a far colazione e poi lavoriamo insieme un paio d'orette. Per domani sera, scommetto e giuro, avrete un grande successo!

       Nespola, in quel tempo, era pure un autore drammatico; soltanto faceva i suoi drammi colla forbice e colla gomma, tagliandoli dalle appendici del Secolo. Il Roero lo guarda mortificato, ma poi accetta, per disperazione. Invece di un paio d'orette, stanno insieme a fare, a disfare, a rifare e a mangiare e bere allegramente tutto il giorno, tutta la notte... ma la sera dopo il Roero ha un trionfo; il pubblico e la critica lo portano alle stelle!

      Potrebbe il Roero dimenticare tutto ciò? Potrebbe il Roero rifiutarsi al povero Nespola che ricorre a lui, in nome del suo onore? No, certo; tanto più che lo scrittore bohémien, sempre in collera col pranzo e sempre in caccia di quattrini con chi non gli deve nulla, a lui, a Francesco Roero che invece gli deve pur qualche cosa, anzi appunto per questo, non ha mai domandato nemmeno cinque lire in prestito.

      No, non lo può abbandonare! Assolutamente, no.

      Una seccatura, per altro!... Una grande seccatura!... Fare da padrino a un repubblicano, lui, Francesco Roero?

      Che


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