Una sfida al Polo. Emilio Salgari
più morti che vivi, balzando e rimbalzando sopra le tube lucide degli spettatori, andarono a rotolare sul banco d'un bar, fracassando bottiglie, vasi, bicchieri e facendo scappare il proprietario ed i suoi garzoni.
Un'idea infernale era sorta in un cervello esaltato.
— Diamo loro da bere!...
— Sì, sì!... Ubbriachiamoli!... — urlarono mille voci.
— Sì, ubbriachiamo la legge!... — risposero altri mille, sghignazzando.
— No, rimpinziamoli di crab-meat cocktail fino a farli scoppiare!...
— No, no!... Diamo loro del gin cocktail!... Farà meglio!
— E del wisky!...
— Bene!... Presto!... —
Sette od otto bookmakers, i più furibondi di tutti, poichè in quell'inaspettato intervento della polizia vedevano compromessi i loro interessi basati esclusivamente sulle scommesse e sulle quotazioni dei due campioni, piombano sui cinque disgraziati, e li inchiodano, per modo di dire, al suolo, tenendoli ben fermi.
Altri prendono delle bottiglie, le poche rimaste intatte, bottiglie del contenuto d'un litro, e le introducono a forza nelle bocche dei policemen.
I poveri diavoli stringono disperatamente i denti e fanno degli sforzi sovrumani per liberarsi dalle mani di ferro che li tengono inchiodati?
Tutto è inutile. Delle dita brutali afferrano e stringono i loro nasi. Non vi è altro da fare: o bere, o morire asfissiati.
— Giù!... Giù!... — urlano gli spettatori che si sospingono furiosamente. — Date da bere alla giustizia!... Ubbriacate la legge!... —
Le bottiglie vengono alzate e cacciate a forza. I policemen bevono, bevono disperatamente, sbuffando, contorcendosi.
I loro occhi si gonfiano e pare che da un momento all'altro debbano schizzare dalle orbite; i loro denti stridono sui colli delle bottiglie, tentando, ma invano, di sgretolare il vetro.
Il wisky ed il gin gross gorgoglia entro le loro gole e scende negli intestini.
Una ubbriachezza fulminante coglie i cinque rappresentanti della legge, i quali finiscono per rimanere immobili come se fossero morti.
— Basta!... — gridano i bookmakers. — Per ventiquattro ore la legge non ci darà fastidio. Gentlemen!... I campioni ci aspettano!... Teniamo le scommesse!... —
CAPITOLO II. Una partita di «boxe».
Durante quella baraonda, il campione canadese e quello americano non si erano scostati dall'automobile che si teneva sempre nel centro della pista e sul quale si trovava miss Ellen Perkins, appoggiata graziosamente al volante.
I relativi partners avevano tenuto loro compagnia, conversando tranquillamente cogli allievi e non cessando di fare loro delle raccomandazioni per fare una bella figura dinanzi ad un pubblico così imponente che doveva, alla stretta delle cose, giudicare della superiorità della scuola americana o della inglese.
Vedendo la folla rovesciarsi in massa verso il centro della pista, il signor di Montcalm e Torpon si erano affrettati a denudarsi fino alla cintola, malgrado il freddo ancora intenso che regnava sull'immensa regione canadese.
Era necessario sbrigare la faccenda, poichè il brigadiere dei policemen, quantunque vigorosamente inseguito da una dozzina di buoni corridori, era riuscito a scavalcare la cinta prima di poter essere acciuffato, ed era scomparso in direzione del fiume, per raggiungere forse qualche ufficio telegrafico.
— Signor di Montcalm, — disse Torpon, dopo di essersi ben stiracchiato e di essersi battuto rumorosamente il largo petto. — Volete che cominciamo? Sono curioso di vedere se il destino si stancherà di mantenerci sempre al medesimo livello. By-good!... Qualcuno di noi deve ben essere il più forte e strappare la vittoria.
— Quando vorrete, signor mio, — rispose il canadese, il quale si stava facendo stropicciare i muscoli delle braccia dal suo partner, che era stato anche il suo maestro.
— Miss Ellen, aprite gli occhi allora e non perdete un colpo, poichè voi sola sarete giudice competente. —
La giovane abbozzò un sorriso di soddisfazione, staccò le mani dal volante e dopo essersi ravviata, con una mossa brusca, i biondi capelli, s'alzò in piedi.
— Miss Ellen, — disse a sua volta il canadese, — voi mantenete sempre il vostro giuramento?
— Più che mai, — rispose la giovane americana. — La mia mano apparterrà al vincitore.
— Grazie, miss. Signor Torpon, vi aspetto. —
I due partners si trassero da parte e levarono dalla tasca il loro cronometro d'oro, per la ripresa dei cinque minuti.
Il canadese e l'americano s'inchinarono dinanzi a miss Ellen e si mossero incontro stringendosi la mano all'americana, vale a dire a rischio di disarticolarsi le braccia, mentre i diecimila spettatori prorompevano in un ultimo e più rimbombante hurràh.
Si erano messi in guardia, coi pugni ben postati all'altezza del viso, fortemente appoggiati sulla gamba destra, in una posizione la quale dimostrava come entrambi dovessero conoscere profondamente la terribile e pericolosissima arte della boxe.
Gli hurràh erano bruscamente cessati. Un profondo silenzio regnava nella pista, rotto solo dal soffio affannoso dell'automobile di miss Ellen Perkins.
Si sarebbe detto che tutte quelle persone non respiravano più. I due campioni si guardarono per alcuni istanti nel bianco degli occhi, poi l'americano fece il primo passo tirando al canadese un formidabile fist-shoke che, se l'avesse colto giusto, gli avrebbe fracassata almeno una costola o mandati alcuni denti a passeggiare nella pista.
L'avversario, quantunque in apparenza sembrasse molto meno robusto, aveva parata la botta con tale velocità e maestria da strappare, agli spettatori, un vero urlo d'entusiasmo.
Perfino miss Ellen si era degnata di approvare con un gesto del capo.
— By-good!... — brontolò l'americano, sconcertato. — Non vi credevo così forte, signor di Montcalm.
Mi tenevo sicuro di spazzarvi via subito, mentre ora mi accorgo d'aver di fronte un boxer di prima forza.
Bah!... Vedremo la fine!... —
Il canadese si limitò a sorridere ed a lanciare uno sguardo rapido verso miss Ellen.
La giovane americana, in piedi dietro al volante, conservava una immobilità assoluta. Solamente i suoi occhi pareva che si fossero accesi.
— Attento, signor di Montcalm, — riprese l'americano, il quale si era rimesso prontamente in guardia. — Vi avverto che io proverò contro di voi un colpo terribile, insegnatomi dal mio maestro, che se riesce vi spaccherà la fronte e vi farà, nel medesimo tempo, schizzare gli occhi dalle orbite.
Lo chiamano il colpo di Tom Powell.
— Chiacchierate meno e agite di più, signor Torpon, — rispose il canadese. — Non sentite dunque quest'aria frizzante?
— Bah!... Noi yankees siamo ben corazzati contro il freddo e anche contro il caldo. Non per niente ci chiamano mezzi uomini e mezzi coccodrilli.
Sfondate le mie scaglie, se ne siete capa.... —
.... fu il primo ad assalire.... (Cap. II).
La frase fu bruscamente strozzata da un urlo di dolore. Il pugno del canadese gli era giunto, con velocità fulminea, in mezzo al petto, facendolo risuonare come