Una sfida al Polo. Emilio Salgari

Una sfida al Polo - Emilio Salgari


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quasi ad ogni ora.

      — Mi pare che sarebbe pericoloso per voi tornare ora sul territorio canadese. Non dovreste dimenticare che siete voi una delle cause principali della rivolta contro la polizia.

      — O sono stati invece i vostri begli occhi, miss?

      — Ah!... Non nego che possano averci avuto una certa parte, ma non si arrestano due occhi, siano essi neri od azzurri.

      — Ben detto, miss, — disse mister Torpon, ridendo.

      — Dunque, signor di Montcalm volete proprio lasciarci?

      — Pel momento sì, miss. Non abbiamo più nulla da fare per ora, è vero, mister Torpon?

      — Non so, — rispose l'americano, facendo un gesto vago.

      — Che cosa vorreste tentare? Dove riprendere la nostra partita di boxe?

      — Dove? Lo so io.

      — Potremmo andarci subito? Io sono pronto a lasciar andare ancora dei fist-shoke.

      — Ed io non meno di voi, signor di Montcalm, — rispose l'yankee, quasi con ferocia, — però questo non è il momento.

      Riprenderemo questo discorso quando saremo giunti ad Oswego, se non vi rincresce.

      — Benissimo, mister Torpon, — rispose il canadese.

      — Vi chiederei solo di fermarvi fino a domani.

      — Ad Oswego?

      — Sì.

      — Accettato. —

      Miss Ellen aveva prestato orecchio attento a quello scambio di parole, non nascondendo una certa inquietudine. Anche i partners, ai quali non era sfuggita una sillaba del dialogo, si erano guardati l'un l'altro con un po' di ansietà.

      — Mister Torpon, — disse la giovane americana, — mi avete l'aria d'un cospiratore. Voi tramate certamente qualche cosa.

      — Non un tradimento, in tutti i casi, — rispose l'americano, con un sorriso un po' grossolano. — Anche fra i yankees si trovano dei gentiluomini, più gentiluomini di quei grandi europei ed anche dei loro discendenti.

      — Ed infatti vi hanno chiamati orsi grigi, — disse il signor di Montcalm.

      — Chi? — gridò l'americano, rosso di collera.

      — I gentiluomini europei.

      — Perchè noi siamo più ricchi di loro e dei loro blasoni malamente dorati.

      — Vorreste alludere anche a me? — chiese il canadese.

      — Eh!... Anche il blasone dei Montcalm non vale quello dei re del petrolio, del ferro, dell'acciaio, delle ferrovie e nemmeno quello del re dei porci salati di Chicago.

      — Che bei blasoni!... — esclamò il canadese, ironicamente. — Sicchè sul vostro avete fatto dipingere in oro, in campo azzurro, una lucerna accesa. —

      Il yankee fece un gesto d'ira e non rispose a quella mordace canzonatura.

      D'altronde la barcaccia era già giunta sull'altra riva e l'automobile si preparava a rimettersi in corsa.

      I barcaiuoli assicurarono fortemente il galleggiante, tolsero la trave, presero al volo un paio di dollari gettati loro dai due campioni, e l'automobile salì d'un colpo solo la riva, guadagnando la larga e comoda via che costeggiando il lago Ontario conduce ad Oswego, una delle più ridenti cittadine delle estreme frontiere settentrionali degli Stati dell'Unione.

      Miss Ellen, che conosceva benissimo i dintorni di tutti i grandi laghi, aveva lanciata la sua macchina alla velocità di ottanta chilometri all'ora, facendola quasi volare dinanzi alle fattorie che sorgevano lungo i margini della larghissima via, una delle più belle e delle migliori del Canadà.

      Quantunque vi fosse un buon palmo di neve, le ruote, fornite di robuste pneumatiche, scorrevano velocissime senza slittare.

      In capo a pochi minuti, l'automobile, uscito di fra la campagna, si trovò sulle rive del lago.

      L'Ontario scintillava superbamente, incastonato fra gigantesche foreste di pini bianchi, enormi vegetali che raggiungono una circonferenza di cinque ed anche sei metri, ed un'altezza di più di trenta, che le scuri dei boscaiuoli, quantunque da qualche secolo poderosamente manovrate, non erano ancora riuscite ad abbattere.

      Delle grosse barche da pesca, colle vele variopinte, si cullavano graziosamente fra le onde che un freddo vento del settentrione sollevava, e dei piroscafi lunghi e sottili, filavano rapidamente, lanciando in aria turbini di fumo e fischi interminabili.

      Dei grossi falchi pescatori, grandi distruttori di pesci, che attirano, a quanto pare, rigettando delle materie oleose, volavano via, ora alzandosi quasi a perdita d'occhio ed ora lasciandosi cadere, quasi a corpo morto, sulla superficie del lago, per rialzarsi poco dopo con qualche grossa trota stretta fra il robusto becco.

      Panorami splendidi si succedevano senza posa, ma gli automobilisti pareva che non se ne interessassero affatto, specialmente la miss, la quale concentrava tutta la sua attenzione sul volante e sulla interminabile via che le si apriva dinanzi, serpeggiando fra immensi filari di alberi della cicuta, piante preziosissime, poichè il loro legno serve alla costruzione delle palizzate costeggianti i laghi ed i fiumi, essendo incorruttibile, anche se immerso da centinaia d'anni.

      In quanto ai due campioni avevano ben altro da pensare in quel momento che starsene a contemplare le acque del lago o le navicelle che lo solcavano, e fors'anche i loro partners avevano troppe preoccupazioni.

      Le parole pronunciate poco prima da mister Torpon avevano gettato nei loro animi un certo sgomento.

      Con un'altra fulminea volata l'automobile girò intorno alle varie e profonde insenature che l'Ontario descrive presso l'imbocco del S. Lorenzo, poi verso le cinque di sera, nel momento che il sole autunnale stava per scomparire dietro le gigantesche foreste, infilò la gran via maestra di Oswego, arrestandosi dinanzi ad un grande albergo di sette piani.

      — È qui che volete fermarvi, mister Torpon? — chiese la giovane, arrestando la macchina.

      — Sì, miss, — rispose l'americano. — Vi fermate a cenare con noi o proseguirete per Albany?

      — Ho fretta di giungere a casa mia, signori miei.

      — Gli è che si fermeranno con noi anche i partners.

      — E così?

      — Volete partire sola, di notte?

      — Forse che non ho la mia rivoltella?

      — La vostra macchina potrebbe guastarsi lungo la via. Avete fatto male a non condurre con voi il vostro meccanico. —

      Miss Ellen alzò le spalle.

      — Forse che non vi è la cassetta, contenente tutti gli ordigni necessari per fare una riparazione, e forse che io non ho fatto un corso di meccanica? Non inquietatevi per me, mister Torpon e nemmeno voi signor di Montcalm.

      Arrivederci presto, signori miei, e quando avrete deciso qualche cosa di nuovo, avvertitemi subito.

      Il destino che vi perseguita finirà di stancarsi e l'uno o l'altro avrà la mia mano, purchè sia il più forte.

      Buona notte!...

      — Buon viaggio, miss, — risposero i quattro uomini.

      L'indiavolata ragazza fece colla mano un ultimo gesto d'addio e lanciò nuovamente la sua splendida automobile a corsa sfrenata, facendo scappare i curiosi che si erano affollati sui due margini della via.

      Un minuto dopo non era più visibile.

      — Io credo che quella fanciulla abbia il sangue del demonio nelle sue vene, — disse mister Torpon. — Che cosa ne dite voi, signor di Montcalm?

      —


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