Una sfida al Polo. Emilio Salgari
americana. — Usciremo dall'altra parte della pista. —
I quattro uomini si arrampicarono sull'automobile, coprendosi frettolosamente coi loro soprabiti bene impellicciati e si misero dietro alla miss impugnando quattro grosse rivoltelle Colt.
— Avanti!... — gridò mister Torpon.
L'automobile ebbe un sussulto, poi si scagliò attraverso la pista verso il lato sgombro, filando colla velocità d'una rondine marina.
Il passo era libero, poichè tutti gli spettatori si erano rovesciati verso l'entrata del recinto che stava per essere forzato dai poliziotti e dai dragoni del 3.º Reggimento della Regina.
In un lampo l'automobile raggiunse l'uscita che si trovava verso l'estremità meridionale e si scagliò, sbuffando e rumoreggiando, sulla strada che conduceva verso il fiume S. Lorenzo, avvolgendosi in un turbinìo di nevischio.
In quel momento dall'altra parte giungevano i tre automobili montati dai poliziotti. I due squadroni li seguivano a cinque o seicento passi, lanciati a corsa sfrenata.
— Ecco la battaglia che comincia, — disse Torpon. — Che peccato non potervi prendere anche noi parte attiva!
I miei compatriotti lavoreranno per bene di pugni.
— Lasciate che se la sbrighino loro, — disse miss Ellen, la quale manovrava il volante con una sicurezza meravigliosa, facendo aumentare sempre più la velocità della sua splendida macchina. — Io non desidero affatto di vedervi arrestare. —
Un urlìo spaventevole coprì le sue ultime parole. I diecimila spettatori avevano impegnata la lotta contro i rappresentanti della legge, con uno slancio ed un coraggio degno d'una causa migliore.
Una bordata di bottiglie aveva accolto gli automobili, inondando le guardie d'ogni sorta di liquori e spaccando qualche testa.
— A morte!... A morte!... — urlava la folla. — Indietro o vi uccidiamo!... —
Qualche colpo di fuoco si era confuso fra il fragore dei vetri che si fracassavano contro le macchine. Gli americani sopratutto non scherzavano.
I policemen, malgrado quella pessima accoglienza, che d'altronde si aspettavano, erano balzati rapidamente a terra impugnando le loro robuste mazze.
Le legnate grandinano sulle prime file della folla e senza veruna misericordia, rompendo teste e costole in buon numero, ma un'altra bordata di bottiglie colpisce in pieno i rappresentanti della legge mandandone a terra un bel numero.
— A noi, dragoni!... — urlano i disgraziati che gocciolano come se fossero stati appena tratti da delle vasche piene di gin, di brandy, di wisky e di coktail.
Un odore acutissimo di alcool si spande dovunque e pare che ubbriachi di colpo la folla, poichè invece di dare indietro si caccia animosamente innanzi, prende d'assalto i tre automobili e li rovescia l'uno accanto all'altro, improvvisando una formidabile barricata tutt'altro che facile ad espugnarsi.
I due squadroni, che hanno udito le grida d'aiuto dei policemen, giungono ventre a terra. I cavalleggieri, rossi di collera, fanno descrivere alle loro sciabole dei molinelli minacciosi, ma sono costretti a rompere bruscamente la furiosa carica dinanzi ai tre automobili che ingombrano l'entrata del turf.
— Piede a terra!... — comandano i due capitani che li guidano.
I soldati non hanno nemmeno il tempo di lasciare le selle che una tempesta di bottiglie li scompagina. Sono le ultime, poichè ormai i bars sono stati completamente vuotati, però la tempesta è tale che i cavalli, spaventati, s'impennano, tirando calci in tutte le direzioni.
Dei dragoni sono sbalzati violentemente al suolo e si rotolano sotto le zampe degli animali, facendosi schiacciare gli elmi.
Ne rimangono ancora però molti in sella e da abili cavalieri tentano, aizzati dai loro ufficiali, di superare la barricata. Che diamine!... Montano dei cavalli di razza e sopratutto di razza inglese.
Ad un tratto però le povere bestie che puzzano di liquori, indietreggiano, poi si sbandano, malgrado i colpi di sperone dei cavalieri.
Delle detonazioni echeggiano e delle fiammate altissime si alzano dinanzi a loro. I serbatoi di benzina degli automobili sono scoppiati e le magnifiche macchine ardono rapidamente.
È un altro colpo della folla inferocita o meglio di un gruppo di audaci americani i quali hanno sfidato valorosamente le mazze dei policemen.
Una barriera di fuoco divide gli assaliti dagli assalitori, barriera che diventa di momento in momento più gigante, poichè dei volonterosi l'alimentano, scaraventandovi in mezzo non più delle bottiglie, ormai esaurite, bensì dei fiasconi pieni di liquori, l'ultima riserva dei bars.
È troppo!... Un'altra volta la legge sta per essere soprafatta da quegli ostinati ed il pericolo è gravissimo poichè policemen, dragoni e cavalli sono inzuppati di gin, di brandy, di wisky e d'altri liquori infiammabilissimi.
I dragoni del 3.º Reggimento della Regina non devono indietreggiare. Non sono dei poliziotti.
Fra i crepitii dell'incendio si odono i comandanti a urlare:
— Armate i moschetti!... —
Quel comando fa l'effetto d'una doccia gelata. I diecimila spettatori lasciano il campo libero alla legge e si scagliano attraverso il turf, scappando, colla velocità di tante lepri, dall'altra uscita.
CAPITOLO III. Un duello all'americana.
Mentre la folla fuggiva, udendo crepitare i primi colpi di moschetto, fossero pure sparati in aria pel momento, l'automobile di miss Ellen Perkins, giungeva felicemente sulla riva di quel fiume gigante che si chiama il S. Lorenzo, il maggiore che solca il Canadà e che è così vasto e così profondo da permettere alle navi di spingersi, senza correre alcun pericolo di arenarsi, fino a Montreal ed anche molto più sopra.
Un gran numero di ferry-boat e di pontoni, noleggiati dagli spettatori americani giunti da Boston, da New-York e da altre città più lontane, stavano ancorati lungo la sponda.
Il signor di Montcalm si era alzato e dopo d'aver accostato le mani alla bocca come per fare porta-voce, aveva gridato con voce stentorea:
— Presto: un pontone!... I policemen del Canadà ci danno la caccia!... —
L'automobile, guidato dalle piccole e bianchissime mani di miss Ellen, dotate però di una forza straordinaria per una fanciulla della sua età, si era arrestato bruscamente dinanzi ad un vasto barcone, coperto da un largo ponte, che ondeggiava lievemente sotto la spinta della fiumana.
— Eccoci a voi, gentlemen!... — avevano gridato i dieci barcaiuoli che lo montavano, afferrando rapidamente i lunghissimi e pesanti remi.
L'automobile, che russava minacciosamente, spiccò quasi un salto e si arrestò sul ponte della barcaccia.
— Passa!... — gridò il signor di Montcalm, mentre due barcaiuoli gettavano dinanzi alle ruote anteriori della macchina una grossa trave, pel timore che riprendesse la corsa e che precipitasse nel fiume che in quel posto era molto rapido e probabilmente molto profondo.
Miss Ellen si era voltata verso il canadese, sorridendogli graziosamente.
— Comandate come un capitano d'un transatlantico, — gli disse. — Spero però che non ci farete naufragare.
— Per oggi no di certo, — rispose il signor di Montcalm, con una sottile punta d'ironia.
— E contate di venire con noi ad Albany?
— No, signora. La mia casa non si trova sul territorio americano, lo sapete bene.
— Volete tornare ad Ottawa?
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