La sua compagna vergine. Grace Goodwin

La sua compagna vergine - Grace Goodwin


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nell’unità per il riciclo nel muro. Senza dire una parola, uscì dalla sala mensa e scomparve.

      La conversazione era terminata. Il suo strano umore mi fece accigliare.

      Non che mi preoccupasse. Io avevo un sonnifero ad aspettarmi nella mia camera da letto, così da poter addormentarmi subito. Stanotte, nei miei sogni, sarei andato a caccia. Di lei. Avrei scoperto come si chiamava. Forse sarei riuscito persino a vederla in faccia.

      I Cacciatori e gli altri residenti della fortezza continuarono a fare avanti e indietro, conversando, mangiando, ridendo, vivendo.

      Mi ero dimenticato di come si faceva. Di come si viveva. Avevo passato troppo tempo a combattere contro lo Sciame, a vedere il caos e la distruzione. Speravo che la mia compagna potesse tirarmi fuori dall’oscurità che circondava il mio cuore. Quattro anni di battaglie. Non sembravano molti, ma mi ci voleva del tempo per riadattarmi al ritmo rilassato della vita da civile. Sarei mai stato di nuovo in grado di sentire un urlo senza temere il peggio? Di sentire un ramo spezzarsi senza aspettarmi di dover affrontare il nemico? Senza che il ronzio dei ventilatori mi tormentasse facendomi ricordare il sistema di ventilazione della corazzata?

      “Cacciatore Von, signore. Ho nuovi rapporti per lei. Dobbiamo dare indicazioni ai Cacciatori prima di partire per la Pietra Miliare.” A parlare era un Cacciatore junior. Era seduto dall’altra parte del tavolo. Annuii per fargli capire che lo avevo sentito. Il mio sonno avrebbe dovuto aspettare. La mia compagna avrebbe dovuto aspettare. Ma era l’ultima volta che anteponevo il lavoro alla mia compagna.

      Domani, lei sarebbe diventata mia.

      “Dammi un momento.”

      Il ragazzo girò i tacchi e si allontanò per dirigersi verso la stanza di comando. Lì avremmo sbrigato gli ultimi impegni, avrei assegnato un compito a ogni uomo. Alcuni si sarebbero occupati di prestare aiuto a chi ne aveva bisogno, altri avrebbero investigato eventuali crimini.

      Le guardie della fortezza erano i Cacciatori dell’élite. Era un lavoro importante, affidato solamente a pochi uomini Everian. Eravamo i Cacciatori più forti, più veloci e più abili. La maggior parte di noi erano soldati addestrati che avevano combattuto per la Flotta della Coalizione e, dopo essere stati congedati, erano stati assegnati alle fortezze sparse per tutto il pianeta. Il nostro compito era di vitale importanza per mantenere la pace e la stabilità su Everis. Assumere quest’incarico era stato un privilegio per me, un privilegio che mi ero guadagnato dopo anni passati a combattere contro lo sciame. Non lo prendevo a cuor leggero. Il mio ruolo era di fondamentale importanza.

      Lo sapevo. Ma, per la prima volta, che il mio popolo avesse bisogno di me non bastava più.

      Che sia dannato il mio debole cuore per desiderare dell'altro. Ma era così. Volevo quello che avevo visto, udito, odorato, sentito nel mio sogno.

      Non vedevo l’ora di ritornare nei miei alloggi. Andai al centro di comando e assegnai velocemente un compito a ciascuno dei miei uomini. Un forte gruppo di guerrieri sarebbe rimasto qui a proteggere la fortezza, ma i Cacciatori più forti e fedeli di tutti sarebbero partiti come l’indomani.

      Stanotte... Avrei sognato.

      Sbrigato il mio dovere, andai nei miei alloggi privati e tirai fuori il sonnifero dal cassetto. Lo assunsi e mi distesi. Volevo vederla di nuovo. Volevo toccarla. Anche se era solo un sogno. Domani - sarebbe stato reale.

       Von, Mondo dei sogni

      I suoi lunghi capelli neri erano sparsi sulle lenzuola bianche che ricoprivano il letto, offrendo un netto contrasto sotto la luce pallida della luna. La brezza faceva ondeggiare le bianchissime tende che ornavano la finestra aperta. La camera da letto era ampia, con un divano e un tavolo e due sedie dove si poteva riposare, leggere o scopare. D’improvviso, mi venne voglia di piegarla a novanta su quel tavolo e di scoparla fino a farla implorare. E allora l’avrei posizionata sul bordo del tavolo in modo tale che la dura superficie di legno colpisse la sua clitoride ogni volta che la penetravo con il mio cazzo. Il tavolo avrebbe oscillato mentre la prendevo, mentre la facevo urlare di piacere. Ma tutto ciò doveva aspettare.

      L’avrei presa rispettando il sacro ordine delle tre verginità. Una alla volta. Avrei visto la sorpresa risvegliare il suo corpo, la sua mente. Avrei reclamato ognuno dei suoi buchi come mio. Prima, sarebbe toccata alla sua bocca. L’avrebbe spalancata per prendermi fino in gola, per ingoiare il mio seme. Poi sarebbe toccato al suo culo. Un buchetto stretto, e sarebbe stata una sensazione dolcissima vederla che si sottometteva a me mentre la prendevo in un modo così intimo, e il nostro legame sarebbe riuscito ancora più rafforzato dalle sue grida di piacere. Infine, mi sarei preso la sua fica, l'avrei sentita contrarsi e pulsare attorno al mio cazzo. Avrei visto i suoi occhi appannarsi in preda all’eccitazione, avrei sentito i suoi umori sul mio cazzo. E allora l’avrei riempita, avrei riempito la sua pancia con il mio seme, l'avrei reclamata in modo ufficiale - e permanente - come mia.

      Sì.

      Il grande letto rivestito di bianco. Le luci soffuse che mi permettevano di studiare il bellissimo volto della mia compagna mentre dormiva. Era distesa su un fianco, le braccia piegate e le mani accoccolate sotto al mento, in una posa tanto innocente quanto stuzzicante - le sue braccia stringevano i suoi ampi seni gonfiandoli e spingendoli all’insù. Conoscevo questa stanza. Era una delle suite assegnate alle nuove spose appena arrivate al centro della Pietra Miliare. Mi sentii sollevato.

      Qui sarebbe stata al sicuro, protetta, fino a domani, quando l’avrei trovato. Sempre se non sceglieva un altro.

      La sfida mi fece indurire il cazzo. Volevo unirmi a lei nel letto, passare le dita nella massa abbagliante dei suoi capelli neri, bloccarle le mani e baciarla e introdurla al piacere. Era mia. Nessun altro poteva toccarla. Non se volevano vivere. Dovevo solo convincerla che io ero il suo compagno marchiato, che ero il suo destino. Che ero perfetto per lei.

      Mi avvicinai al bordo del letto e mi distesi di fianco a lei. La sua pelle emanava il profumo fresco dei fiori di primavera e del miele caldo. Ma questo era solo un sogno. Era la mia mente a riempire le mancanze, a convincermi che l’avevo toccata, stretta, assaporata - ma era tutta una bugia, un trucchetto della mia immaginazione.

      Qualunque cosa fisica sarebbe stata un’illusione.

      Ma le sue parole sarebbero state vere. E così anche le mie.

      Disteso su un fianco, allungai la mano e le passai il pollice sul labbro inferiore. Ah, era così morbido. Non vedevo l’ora di avere quella bocca innocente avvolta attorno al mio cazzo.

      Passai le dita sopra le sue curve, dalla spalla al fianco. Le poggiai la mano sul fianco e diedi una leggera strizzata per farle sapere che ero lì. Questa bellissima femmina era mia. La mia unica compagna in tutto l’universo. Le nostre menti si erano toccate così come solo quelle dei compagni marchiati potevano fare. Volevo esplorarla. Cosa la faceva sorridere? Cosa la faceva arrabbiare? Volevo conoscere il sapore del dolce miele che sgorgava dalla sua fica, il sapore della sua pelle. Quali suoni avrebbe emesso mentre la scopavo? Dove le piaceva essere toccata?

      Aprì gli occhi, e il suo sussulto fu dolcissimo. Il suo battito accelerò.

      “Sei tornato.” Il suo sussurro sexy mi fece pulsare il cazzo. La mia mente cominciò a muoversi per conto suo, accarezzandole la spalla, i fianchi, la schiena. Ancora e ancora. Mi assicurai di accarezzarle il seno. Sapevo che lì, sotto la vestaglia da notte color crema, si celava il suo marchio. Il tessuto rilucente si avvinghiava attorno alle sue curve. Era bellissimo, ma non vedevo l’ora di strapparglielo di dosso. Avevo bisogno di vederla. Di sentirla Di reclamala.

      “Certo che sono tornato Tu sei mia.”

      Lei tremò, ma non distolse lo sguardo. “Questo è solo un sogno. Tu non sei reale.”

      La guardai negli occhi, abbassai la mano e le strinsi il seno. Strizzai gentilmente il capezzolo turgido. “Sono reale. Eccome.”

      4

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