La sua compagna vergine. Grace Goodwin

La sua compagna vergine - Grace Goodwin


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meravigliosa efficienza che mi rendeva difficile staccarle gli occhi di dosso. Tutti gli Everian che avevo conosciuto sembravano umani, ma c’era qualcosa in loro, qualcosa che non riuscivo a definire e che me li faceva vedere come se fossero... di più. L’officiante Treva sembrava di dieci anni più vecchia di me, Dani e Katie e, a differenza nostra, sprizzava autostima da tutti i pori. Aveva i capelli del colore dell’ebano che le arrivavano alle spalle. I suoi occhi erano color ambra, come il whiskey. Era alta come Katie, poco più di una normale terrestre. La sua uniforme era blu scura, e i gradi che portava sul braccio erano argentati. Non sapevo niente di come funzionassero certo cose qui, ma lei e le altre ufficianti erano di certo di grado elevato. Nessun Everian osava contraddirla, uomini o donne che fossero. Il suo portamento e la sua confidenza non facevano altro che farmi sentire ancora più insicura, come un bambino che prova a giocare con i più grandi. E, a giudicare dai gesti agitati di Katie e Dani, era chiaro che si sentissero allo stesso modo.

      Ci trovavamo su un altro pianeta, e stavamo aspettando un gruppo di sconosciuti. Eravamo come dodici innocenti agnellini che stavano per essere giudicati da una stanza piena di lupi. Nessuna di noi era un Everian, e nessuna di noi aveva mai lasciato il proprio pianeta. E nessuna di noi sapeva niente di tutta questa faccenda dell’essere compagne.

      L’ufficiante Treva, tuttavia, ci aveva detto che, dopo aver combattuto contro lo Sciame, si era sottoposta ai test e che era stata abbinata. Sembrava felicissima. La sua uniforme le dava un aspetto compito, ma sembrava lo stesso molto rilassata. Se anche lei avesse avuto uno sconosciuto che le appariva in sogno per due notti di fila e le diceva tutte le cose oscene che aveva intenzione di farle, forse allora non sarebbe stata così calma. Se l’ufficiante avesse avuto un compagno, il suo uomo non avrebbe perso tempo a parlarle, avrebbe agito e basta.

      Mi sistemai sulla sedia. Von. Così si chiamava. E mi aveva detto delle cose oscene. Per la prima volta in vita mia i vaneggiamenti arrapati di un uomo non erano riusciti ad offendermi. Anzi, volevo sentirne degli altri. No, questa volta volevo fare tutto.

      Avevo visto altri soldati Everian - si chiamavano così - intorno a noi, che ci proteggevano e quant’altro, ma erano tutti così seri. Come i Servizi Segreti che proteggono il presidente. Sempre all’erta. Ma noi non correvamo nessun pericolo. La minaccia più grande erano i maschi Everian un po’ troppo eccitati. Forse non ci avevano detto tutto tutto. O, forse, eravamo molto più preziose di quanto non credessi.

      Le Spose Interstellari erano davvero desiderate così tanto? Guardai Katie, si stava mordendo il labbro. Eravamo arrivate qui insieme, ci eravamo risvegliate insieme nell’unità medica. Nude, coperte solo da un lenzuolo, mentre i dottori agitavano una strana bacchetta sopra di noi, eseguendo degli strani test per assicurarsi che fossimo arrivate tutte intere. Una volta soddisfatti, ci avevano consegnato delle vesti fluttuanti, ci avevano fatte vestire e ci avevano mostrato le nostre suite. Al momento c’erano quattro suite occupate. Tre spose per appartamento. Katie, Dani e io avevamo chiesto di poter stare insieme. Volevamo tenere fede al nostro patto. Tutto questo era successo due giorni fa.

      Da allora, la nostra amicizia non aveva fatto altro che rafforzarsi. Andavamo dappertutto insieme, imparavamo a conoscerci a vicenda, cosa facevamo sulla Terra, ecc. Non potevamo lasciare il palazzo, ma potevamo esplorarlo liberamente. Era un posto enorme, mi ricordava una chalet di montagna con le suite per gli ospiti, le sale riunioni e dei ristoranti a cinque stelle. Era meraviglioso. Eravamo solo noi ragazze – e le guardie che non ci rivolgevano mai la parola. Anche se una di loro, un uomo grosso e bellissimo vestito con un’uniforme blu, non aveva fatto altro che guardarmi. Era ovvio che tutti lo rispettassero, forse era un ufficiale o qualcosa del genere, ma non era l’uomo che volevo.

      Non era Von.

      Nessuno degli ottanta uomini che erano arrivati questa mattina era Von. Quando anche gli altri uomini si erano palesati, avevamo fatto presto a capire che le uniforme blu erano quelle indossate dagli ufficiali, mentre tutti gli altri indossavano quelle marroni. Sembravano tutti dei militari. Il controllo completo esercitato dagli Ufficianti e il senso di ordine mi aiutarono a calmarmi.

      Nelle ultime ore, non avevo fatto altro che guardarmi intorno alla ricerca di quelle uniformi blu, sempre grata di vedere intorno a noi, all’erta. In tutta la mia vita, non mi ero mai sentita così osservata. Katie e Dani erano d’accordo con me, ci sentivamo come carne fresca. La maggior parte degli uomini ci salutavano con un cenno del capo e ricambiavano i nostri sorrisi, se gliene offrivamo uno. Nessuno provava a imporsi su di noi, né provava a parlarci. A quanto pareva, non gli era ancora concesso farlo.

      Ma quell’uomo, quello biondo, continuava a fissarmi con insistenza. E fissava solo e soltanto me. All’inizio, mi ero sentita nervosa. Ma ora non sapevo cosa fare. Non stava nascondendo il proprio interesse, non faceva finta di essere indifferente. No, non faceva finta nemmeno di essere cortese. Mi fissava come se potesse spogliarmi con gli occhi. Come se sapesse qualcosa che io ignoravo.

      E non mi faceva sentire come mi aveva fatto sentire Von nel mio sogno. Quest’uomo mi faceva venire i brividi, mi faceva tremare le mani. E non in senso buono. Era potente. Grosso. Forte. E mi stava guardando come fossi la sua preda.

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