La sua compagna vergine. Grace Goodwin

La sua compagna vergine - Grace Goodwin


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Von

      Allungai una mano e la strinsi a me fino a quando i nostri fianchi non si toccarono. Il suo sussulto mi assicurò che aveva sentito quello che volevo che sentisse, che avevo bisogno che sentisse, il mio cazzo duro e pronto a reclamarla. Abbassò lentamente le palpebre, il suo corpo si sciolse e i suoi occhi si fecero tenebrosi per la passione.

      Dèi, era perfetta. Così innocente, eppure così sensuale. Me lo aveva detto la notte scorsa, durante il nostro primo incontro, che era vergine, non reclamata. Risvegliare la natura passionevole del suo corpo sarebbe stato un autentico piacere. Non vedevo l’ora di reclamarla in modo tradizionale – prima la bocca, poi il culo e, infine, quando avrebbe accettato la mia reclamazione, la fica, la fica che avrei riempito con il mio sperma. E così mi avrebbe dato un figlio. La volevo piena di seme, volevo che il suo corpo fosse maturo e sensibile. Erano anni che speravo di poter trovare una compagna, di avere un figlio, ma non mi ero mai considerato abbastanza fortunato perché accadesse una cosa del genere. Per così tanti anni, non avevo fatto altro che concentrarmi sul mio dovere, sull’onore, sulla sopravvivenza. Ma ora? Ora vedevo i suoi occhi scuri, i suoi neri capelli scintillanti, e li volevo. Volevo tutto.

      “Guardami.” La misi alla prova, avevo bisogno di conoscere la sua vera natura. Avrebbe accolto di buon grado il tono autoritario della mia voce? O mi avrebbe sfidato?

      Lei sussultò, si morse il labbro e il suo fianco si mosse contro il mio. Ma i suoi occhi erano aperti, il suo sguardo fisso sul mio. E ciò che vi scorsi mi fece quasi venire. Desiderio. Fiducia. Bisogno.

      La mia piccola compagna provava quello che provavo io. Grazie agli dèi.

      Sapevo che se avessi potuto infilarle una mano in mezzo alle cosce l’avrei trovata bagnata. Desiderava essere dominata, voleva essere comandata. Sapere che si sarebbe arresa tanto dolcemente mi costrinse a lottare per soffocare un ruggito.

      “Dimmi come ti chiami, piccola.”

      Lei scosse il capo, negandomi una cosa tanto semplice. Mi sporsi in avanti e la baciai, le morsi le labbra. “Io mi chiamo Von. Dimmi il tuo nome.”

      Non era reale. Dèi, sapevo che non era reale, ma ora l’avevo assaggiata, e non riuscivo più a fermarmi. Le baciai il mento, il collo. Poi più in basso. Lei inarcò la schiena, premette i fianchi contro i miei e inclinò la testa da un lato, per accogliermi.

      “Von.” Il mio nome sulle sue labbra fu un respiro ansimante. Il mio corpo reagì come se mi avesse preso il cazzo in mano.

      La baciai sul collo, leccandola e succhiandola e assaporandola. Le baciai l’orecchio e le chiesi di nuovo: “Come ti chiami?”

      Il suo silenzio mi eccitava e mi allettava. Non volevo una compagna scialba, docile. Io volevo una donna che aveva il fuoco dentro di sé, una compagna che avrebbe protetto i miei figli con ferocia. Una che avrebbe tirato fuori gli artigli in caso di bisogno - ma che, allo stesso tempo, si sarebbe sottomessa dolcemente a me quando eravamo a letto.

      Mi misi sopra di lei e reclamai la sua bocca. La baciai. La reclamai. Strofinai il cazzo in mezzo alle sue cosce. I nostri vestiti e la sua mente innocente mi impedivano di penetrarla. Strofinai la mia asta dura su di lei, ed era la sua mente a permettere il contatto. Non era completamente sopraffatta, o scioccata.

      Le misi la mano sul fianco e afferrai l’orlo della sua veste per infilarle le dita nella fica calda, ma fu allora che incontrai resistenza, una barriera invisibile che non potevo oltrepassare.

      Ringhiai dentro di me. Non potevo toccarla. Non ancora. Nel sogno, non poteva accadere nulla che non fosse già successo nella realtà. E nessun altro uomo aveva mai toccato la parte più dolce del suo corpo, nessuno l’aveva mai assaporata, né l’aveva mai sentita gridare di piacere. Quel pensiero mi trasformò quasi in un animale. Gli istinti protettivi del Cacciatore si innalzarono come una marea pronta ad inghiottirmi.

      Questa donna era mia. Avevo pensato che dovevo comportarmi con onore, che dovevo lasciarle la possibilità di scegliere. Ma ora, vedendola, assaporandola, toccando la sua mente, capii che avrei smosso i cieli pur di riuscire a tenerla per me. Niente avrebbe potuto impedirmi di sedurla, di guadagnarmi il suo amore.

      La sua pelle era più soffice di quella di un neonato. I suoi sospiri erano musica per il mio cuore di guerriero. Non stava lottando con me. Era innocente. La sua mente era incapace di fabbricare cose che non conosceva, una passione menzognera.

      La baciai di nuovo, fino a quando il suo corpo non cominciò a tremare per il bisogno, fino a quando il suo respiro si fece frenetico.

      “Il tuo nome, compagna?”

      “Io non sono la tua compagna.”

      “Per il Divino, tu sei mia. La mia compagna marchiata.” Le strinsi le mani e gliele bloccai sopra la testa. Abbassai la bocca sul suo seno destro. Lì, avrei trovato il suo marchio. Lo sapevo per certo. Così come sapevo che io il mio ce lo avevo sulle costole. Era mia. Spinsi il naso contro il suo seno, e poi la bocca, il mento, strofinando la mia barba vecchia di due giorni sulla sua carne sensibile. E poi la baciai e la morsi attraverso la sua veste setosa. “Hai una voglia qui, compagna. Proprio qui.”

      Lei sussultò e cominciò a lottare, ma io le tenni le mani bloccate e lei fece presto a sciogliersi, a dimenare la testa a destra e a sinistra sul cuscino.

      Baciai il suo marchio. Afferrai la veste con i denti e la tirai via così da poterle baciare il seno nudo. Non appena le mie labbra entrarono in contatto con la sua pelle nuda, lei gemette. Tra di noi si scatenò una tempesta di fuoco e bisogno. Le baciai e le succhiai la voglia che aveva sul seno, il sacro marchio che ci univa. Che la rendeva mia. Ne era la prova. L’avevo vista. L’avevo sentita.

      “Sto arrivando per te, compagna.” Aspettami. Non scegliere un altro.”

      Le succhiai un capezzolo e lei scalciò. La sua voce si era ridotta a un sussurro. “Treva mi ha detto che ci saranno ottanta maschi tra cui scegliere domani. Ha detto che posso sceglie chi voglio.”

      Le passai la lingua sul capezzolo fino a quando non urlò. Sollevai la testa e la baciai di nuovo prima di risponderle. “Sì. È la legge, puoi scegliere chi vuoi. Ma sappiamo entrambi che non lo farai.”

      “Perché no?”

      “Perché loro non saranno in grado di darti ciò di cui hai bisogno.”

      Il suo battito accelerò. Abbassai la testa e le diedi un bacio sulla gola che pulsava.

      “E di cosa ho bisogno?”

      “Delle mie mani che ti stringono i capelli e della mia lingua che ti scopa la bocca. Della mia lingua sul clitoride, che ti riempie la fica fino a quando non mi avvolgi le gambe attorno alle spalle e mi implori di non fermarmi mai. Fino a quando non reclamo ciò che è mio. Fino a quando tu non reclami me.”

      Adesso stava ansimando, ma non avevo ancora finito. Nient’affatto. Mossi i fianchi e le strofinai la mia lunga asta dura contro la clitoride. Lei gemette. Abbassai la testa e le sfiorai l’orecchio con le labbra.

      “Hai bisogno di me che ti allargo il culo, che ti prendo con forza mentre riempio la tua fica con le dita, mentre ti faccio venire, ancora e ancora. E poi di nuovo ancora. Hai bisogno del mio cazzo dentro di te, che ti scopa, che ti riempie con il mio seme fino a quando non urli e mi implori di farti venire.”

      “Oh, mio Dio.”

      Scalciò sotto di me, gli occhi annebbiati dalla lussuria. Per me.

      Ma ora era tempo di andare. Volevo continuare, ma non potevo fare nient’altro. Avevo fatto abbastanza, l’avevo fatta eccitare. Era eccitata per me. Mi desiderava. Poteva anche vedere gli altri uomini, ma non avrebbe desiderato che me. Dovevo esserne certo.

      “Tu sei mia, compagna. Aspettami. Ti troverò.”

       Alexis, pianeta Everis, la Pietra Miliare

      “Come sapete, oggi gli uomini e le donne


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