La cattiva strada. Autori vari

La cattiva strada - Autori vari


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lasciarla in pace, ma cercò di non indietreggiare più. Lo guardò meglio. Ora anche lui aveva paura.

      «Te la fai sotto, vero?» lo pungolò.

      Il ragazzo si fece ancora più bianco.

      «Sei proprio una troia!»

      La prese per il collo. I suoi occhi erano pieni di furia, una furia ottusa e pericolosa.

      Oddio, ti prego non un’altra volta. Se anche avesse urlato non l’avrebbe sentita nessuno, suo padre era in paese e suo nonno nel bosco. Tentò il tutto per tutto. «Vuoi fare anche tu la fine degli altri?» Il ragazzo strabuzzò gli occhi e la lasciò di scatto, come se si fosse scottato. «Sei stata tu? Cosa gli hai fatto? Sai qualcosa?» Franz si mise a piagnucolare.

       Ora capisci cosa vuol dire avere paura.

      Sentirono un rumore. Che suo nonno fosse già tornato?

      «Non dire stronzate. Non so niente e non ho fatto niente. E ora vattene.»

      Lui si morse il labbro e senza aggiungere altro se ne andò, infilandosi nel bosco. Viviana lasciò andare il fiato. Le gambe le tremavano.

      «C’è nessuno?»

      La voce del maresciallo. Che ci faceva ancora qui? Lo vide voltare l’angolo del ristorante. Sembrava un folletto, brutto e mingherlino com’era. Viviana si asciugò sui jeans le mani sudate.

      «Buongiorno, maresciallo.»

      Pino la guardò. Quello che aveva ascoltato non gli era piaciuto per niente, sapeva tanto di movente. Ma una ragazza così giovane, tre omicidi... che bestialità.

      «Chi era quello che hai minacciato?»

      Viviana deglutì.

      «Franz Planchesteiner. Posso spiegarle. Volevo solo che mi lasciasse in pace. Non c’entro niente io con gli omicidi.»

      «Quindi secondo te sono stati assassinati?»

      «L’ha detto lei ieri» balbettò lei.

      «E perché Franz crede che sei stata tu?»

      Silenzio.

       La signorina va persuasa. «Allora? Vuoi che ti arresti subito per minaccia aggravata, articolo seicentododici del Codice Penale?» Fu come se le avesse dato uno schiaffo. Gli rispose quasi con rabbia: «Si sente solo in colpa. Per quello che mi ha fatto. Hanno fatto.» Viviana iniziò a piangere. «Ma non voglio parlarne. Per favore, mio padre non sa niente, non voglio che lo venga a sapere, mi vergognerei troppo.»

      Lui la scrutò. Aveva solo pochi anni meno della sua Caterina, ma sembrava ancora più giovane, con quello sguardo smarrito di chi non riesce a credere fino in fondo che le sia successa una cosa tanto brutta. Sicuramente quelle merde l’avevano violentata. Un fiotto di rabbia calda e violenta gli ribollì dentro. Se l’avessero fatto a sua figlia lui li avrebbe ammazzati. Ammazzati, sì cazzo.

      «Perché non li hai denunciati?»

      La ragazza scosse la testa, asciugandosi le guance.

      «Metà della gente avrebbe creduto a loro e metà mi avrebbe compatito. Sarei stata marchiata a vita. In un modo o nell’altro.»

      De Carolis annuì. Non aveva tutti i torti.

      Che mondo di merda. Ma il punto ora era un altro. Viviana si era forse fatta giustizia da sola? Sentì un formicolio in mezzo alle scapole. Si voltò di scatto. Il vecchio Giuliano lo stava fissando, in silenzio. Nella mano destra, stesa lungo il fianco, un’accetta per spaccare la legna. Pino rabbrividì. «Buongiorno.» Il vecchio non rispose e avanzò di un passo, senza togliergli gli occhi di dosso. Forse dopotutto era meglio pensarci un po’ su e andarsene. Magari in fretta anche. «Se ti dovesse venire in mente qualcosa... Arrivederci.» Salutò e rischiando di inciampare sui propri piedi prese le distanze dal vecchio. Viviana sollevò il palmo, in saluto. Sul suo polso sinistro apparve una figura nera a cavallo di una scopa. Bel tatuaggio, Viviana. Si allontanò in direzione del paese, quasi correndo. Sentiva davvero il bisogno di qualcosa di dolce.

      -

      Il cadavere di Franz Planchesteiner fu ritrovato la mattina seguente nel lavatoio vicino alla provinciale.

      Pino ne fu informato dall’appuntato che aveva preso la telefonata sconvolta della fornaia che aveva appena trovato il corpo. Si vestì di corsa e uscì di casa, maledicendo Planchesteiner, le streghe e tutti i montanari.

      Arrivò sul posto che alcuni colleghi stavano ripescando il corpo dalla vasca di acqua gelata.

       Abbiamo vinto un’altra bella autopsia!

      Era fondamentale capire come era morto. Annegato o buttato lì post mortem? Fece qualche domanda in giro ma nessuno aveva visto nulla. La fornaia l’aveva trovato lì mentre tornava a casa dalla notte di lavoro. Si era spaventata a morte nel veder quella sagoma nell’acqua e aveva cercato di tirargli fuori la testa, nel caso fosse ancora vivo, ma si era resa conto subito che non c’era nulla da fare. Lo conosceva? Sì, lo conoscevo, era un compagno di scuola di mia figlia. Arrivederci, grazie e tante belle cose.

      Tornò in ufficio di pessimo umore.

       Mannaggia a me, mannaggia al giorno che ho deciso di venire in questo buco di culo di posto.

      Il rumore di un fax in arrivo lo distolse dai suoi pensieri risentiti. Lo prese e lo guardò. L’autopsia sul cadavere di Bertacco. La lesse con avidità.

      “Morte sopraggiunta per traumi multipli da schiacciamento”

      Grazie, una mandria di mucche gli è passata sopra.

      Polmoni, viso, bla bla bla... ecco! Trauma pre mortem da corpo contundente alla nuca.

       Tombola!

      Quindi ufficialmente non è stato un incidente. Qualcuno per lasciarlo lì steso nella stalla e ridurlo a tappetino per mucche l’aveva prima colpito per bene.

      Magari con un’accetta? Si alzò e uscì dall’ufficio. Doveva parlare di nuovo con i Soraperra. Ma prima una puntatina al forno non gliela toglieva nessuno. Dopotutto non aveva ancora fatto colazione.

      Si assicurò di non avere briciole agli angoli della bocca e suonò il campanello dell’appartamento dietro al ristorante. Si era appena sbafato un enorme biscotto con la marmellata e si sentiva leggermente meglio.

      Tramestio dall’interno e poi Giovanni Soraperra gli aprì la porta.

      «Cosa vuole a quest’ora?»

      «Buongiorno anche a lei. Devo parlare con sua figlia.»

      Senza tanti complimenti entrò in casa e fece capire che non era il caso di mettersi a fare storie, la situazione era seria. Nel giro di dieci minuti Viviana era davanti a lui. Aveva chiesto di lasciarli soli, così Giovanni e Giuliano, che nel frattempo si era alzato, si erano relegati nella cucina, dove di sicuro stavano a orecchie tese. Lui la aggiornò rapidamente sul ritrovamento di quella mattina e del risultato dell’autopsia. La ragazza sembrava morta, tanto era pallida.

      «Capisci che con quello che mi hai raccontato ieri, mi suona un po’ strano che anche Franz sia morto. No?»

      Lei strinse le labbra. Si vedeva che stava cercando di darsi un’aria da dura.

      «È strano sì. Ma io non c’entro niente. E poi non so cos’abbia immaginato, ma io ieri non le ho detto niente di che.»

      «Ah no?»

      «No.»

      «Lo sai che se collabori potresti avere delle attenuanti? Dopotutto avevi i tuoi motivi. Non che questo ti consenta di andare in giro ad ammazzare la gente, ma sicuramente gioca a tuo favore.»

      «Non so di cosa sta parlando.»

      Il maresciallo sospirò. Non sembrava disposta a facilitargli il lavoro.

      «Viviana, sono venuto qui da te per una chiacchierata diciamo... informale, per ora. Speravo mi permettessi di aiutarti. Non mi costringere a fare lo stronzo. Se mi fai procedere ufficialmente con un mandato, eccetera


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