Storia dei musulmani di Sicilia, vol. I. Amari Michele

Storia dei musulmani di Sicilia, vol. I - Amari Michele


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d'altronde tenea tanti altri poderi in tutta Italia e fuori. Al dir di papa Adriano I, il patrimonio di Sicilia proveniva da donazioni non meno d'imperatori che di privati. Vaste erano le possessioni e sì sparse in tutta l'isola, principalmente presso Siracusa, Catania, Milazzo, Palermo, Girgenti, che talvolta i vescovi di Roma preposero all'amministrazione due rettori che sedeano a Siracusa e a Palermo, come al tempo antico i questori nelle due province, siracusana e lilibetana. Del rimanente un autore bizantino della fine dell'ottavo secolo fa montare il ritratto in Sicilia e in Calabria a tre talenti e mezzo d'oro,125 classica e incerta cifra statistica. I poderi, come ogni altro dell'isola, si coltivavano da conduttori e rustici, delle quali condizioni di persone tratteremo a suo luogo; notando sol qui che la Chiesa Romana riscuoteva una tassa nei matrimonii dei suoi rustici: strano transatto tra l'antica ragione che avea negato il nome di matrimonio ai congiugnimenti degli schiavi, e la nuova fede che costituivali in sacramento. Molte altre orribili avanie anco pativano i conduttori e rustici della Chiesa; avanie forse comuni a tutta la popolazione rurale della Sicilia, e per lo più aggravate dalla negligente amministrazione di mano morta, com'oggi ben si chiama.126 Così fatti abusi furono mitigati da San Gregorio al tempo di cui dicevamo in su la fine del capitolo precedente, ed al quale convien che torni la narrazione.

      La chiesa di Roma non si potea sottomettere di queto ai Longobardi, flagello della gente latina, e, oltre a ciò, incapaci ad occupare tutta la Penisola com'avean fatto i Goti. Donde, invece di piaggiare i nuovi Barbari, dovea la Chiesa far opera a scacciarli con le armi che fosse in poter suo di muovere, le bizantine cioè e le italiane; dovea rinforzare le bizantine con la riputazione sua in Italia e fuori. Sopratutto, non bastando l'impero a difendere Roma minacciata dai Longobardi e dalla fame, dovea la Chiesa salvar dassè sola la città eterna, le cui tradizioni politiche e religiose faceano aspirare il vescovo al primato in Italia e in tutta cristianità.

      Così fatto intento, consigliato al paro dalle passioni e dagli interessi, ma debolmente procacciato dai papi nei primi venti anni del conquisto longobardo, par che infiammasse l'animo di San Gregorio. Uomo di illustre sangue, grande avere, illibati costumi, indole gentile inchinata alla mestizia, dotta a mo' dei tempi ancorchè nemico della letteratura classica che gli puzzava di paganesimo, facile scrittore ancorchè inelegante, pronto parlatore, posato e robusto ingegno, perseverante, saldo nei proponimenti, pieghevole nei mezzi, operoso, insinuante, sottile ricercatore dei fatti altrui, buon massaio dei denari ma non per sè stesso, caritatevole e liberale con accorgimento anzi con astuzia, destro a usare le altrui debolezze e fino gli altrui vizii, ma a buon fine; e pieno il generoso petto di giustizia, di umanità, di religione e di zelo per la Chiesa di Roma: i quali sentimenti diversi gli pareano un solo; sì che in ultimo lo zelo ecclesiastico predominò e soffocò tutti gli altri quando gli si opponeano. Gregorio, primo del nome tra i papi, santo nel calendario romano e grande nella storia, fu specchio di virtù cristiana con quelle macchie di ruggine connaturali per la umana debolezza a tal virtù, le quali crescendo in certi tempi e in certi luoghi hanno occupato e guasto tutto il terso metallo; e n'è nata la bruttura che si chiama volgarmente gesuitismo. Gregorio, pria che il pontificato lo abilitasse a mandar ad effetto il disegno politico che accennai, disperando della vittoria, volle apparecchiare, com'e' parmi, un sicuro asilo alla Chiesa ortodossa di Roma e d'Italia. La virtù delle armate bizantine e il genio dei Longobardi, alieno sempre dalle cose del mare, gli designarono a ciò la Sicilia.

      Donde, lasciato appena l'uficio municipale di prefetto per cercare più certa via di potenza in un chiostro di Roma (a. 575), Gregorio fondava del proprio sette monasteri: uno in quella città e sei in Sicilia. Tal disuguaglianza di liberalità non può apporsi a capriccio. Sendo Gregorio nato a Roma, di famiglia romana e amorosissimo dei concittadini suoi che viveano in necessità e angustie spaventevoli, si è cercato di spiegare il fatto in varii modi. Altri ha imaginato ch'ei possedesse beni nell'isola, il che non pare, nè basterebbe. Altri che Silvia sua madre fosse siciliana,127 il quale supposto è gratuito al par che insufficiente a sciogliere l'enimma. A me pare che il bandolo si trovi negli scritti di San Gregorio stesso. Non prima esaltato al pontificato, lo veggiamo provvedere con estrema sollecitudine che si raccogliessero a Messina i frati calabresi testè cacciati in Sicilia da un novello romore d'armi longobarde; i quali andavano per l'isola miseri e vagabondi.128 Ora ognun sa che più numero assai di Italiani s'era rifuggito in Sicilia parecchi anni innanzi (a. 576), quando i Longobardi corsero le province di mezzo della Penisola; nel quale scompiglio i chierici recaron secoloro gli arredi delle chiese che poi non voleano rendere:129 e non è mestieri di citazioni per provare quanta povertà straziasse tutti quegli esuli. Però San Gregorio non potea largire le proprie facultà in opera più caritatevole, nè più utile all'Italia e a Roma stessa, che di aprir loro un ospizio. Quella mente, in quella età, non poteva imaginare altro ospizio che il monastero. I sei che ne fondò bastavano a ricettare, se non tutti gli esuli, almeno i più degni e capaci a disciplinare e agguerrire questo nodo di frati che combattessero su i dubbii confini della religione e della politica; tenessero in Sicilia una propaganda romana contro la sede di Costantinopoli, la quale attraea le popolazioni di linguaggio greco; apparecchiassero séguito alla Chiesa di Roma, venendo alla dura estremità di riparare in Sicilia cacciata dai Barbari; e potessero in fine, secondo gli eventi, ripassare in terraferma a gridar la croce contro gli Ariani. San Gregorio mentr'era privato, com'ei pare, coltivò a questo medesimo intento l'amistà di ragguardevoli famiglie siciliane.130

      E quand'egli, sforzato o forse secondato dallo amor dei Romani, salì alla cattedra di San Pietro, il disegno su la Sicilia si allargò, come tutti gli altri della sua mente. Non è del mio subietto discorrere di quanto momento fosse stato questo gran Romano sul secol suo con le azioni e con gli scritti; nè ricorderò la conversione di popoli lontani; la riverenza e terrore della religione aumentati; l'autorità civile arrogatasi tra per la influenza che gli usi dei tempi davano ai vescovi e per la lontananza e impotenza dell'impero bizantino; il nome della sede romana esaltato; le arti assiduamente adoperate a ciò or con animo sincero, or con malizia: la morale, cioè, la filosofia, la teologia, la disciplina e ambito del clero, la solenne liturgia, il grave canto, le leggende superstiziose; senza lasciare intentato veruno argomento che potesse scuotere l'intelletto, cattivare l'animo, illudere i sensi. L'effetto generale del pontificato di San Gregorio fu che, aspirando al primato spirituale, ei si accostò necessariamente alla dominazione temporale; dove più dove meno secondo gli ostacoli. Così a Roma e nell'Italia di mezzo il patrocinio suo con l'andare dei tempi divenne principato. Così in Sicilia l'influenza ch'ei volle esercitare ebbe men libero campo, e nondimeno lasciò tante vestigia che i papi, molti secoli appresso, con quella loro prodigiosa tenacità, si provarono a mutarla anche in signoria. L'influenza di San Gregorio in Sicilia passò al certo la più larga misura che potesse darsi al primato ecclesiastico, e si volse a due particolari intendimenti. Un fu lo antico, rincalzato ed esteso, cioè di render la Sicilia cittadella del clero italiano, nella quale il papa fosse padrone degli animi, poichè i corpi li tenea l'impero bizantino. L'altro intendimento sembra di cattar favore, perchè l'amministrazione del patrimonio papale, secondata dai governanti, dagli ottimati e dall'universale, rendesse maggior frutto, da sovvenirne largamente il popol di Roma, chè meglio si difendesse dai Longobardi e sempre più s'affezionasse ai papi.

      Quanto premessero a Gregorio le cose di Sicilia si scorge dalla prima epistola che ci rimane di lui per la quale provvide a far adunare ogni anno i vescovi dell'isola a Siracusa o Catania.131 Seguiron da presso un'altra ad amici suoi siciliani,132 una che confortava i vescovi siciliani a mescolarsi nelle cause secolari per difendere i poveri,133 e una che dettò profonde e diligenti riforme nell'amministrazione del patrimonio.134 Noveransi inoltre più di dugento lettere toccanti la Sicilia, donde appariscono a chiunque i disegni suoi, e la coscienza più sollecita dei disegni che scrupolosa nei mezzi. Indi si vede che San Gregorio diè la caccia a qualche avanzo di Pagani, e allettò al cristianesimo i Manichei e gli Ebrei senza perseguitarli; anzi, quanto agli Ebrei, con una tolleranza mondana al certo, non filosofica.


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<p>125</p>

Theophanis Chronographia, p. 631. Supponendo che si tratti di talenti attici e ragionando il peso in oro puro, i tre talenti e mezzo varrebbero circa 300,000 lire italiane; ragionando i prezzi delle cose, circa un milione d'oggi.

<p>126</p>

Vedi le autorità citate dal Di Giovanni, Codex Siciliæ Diplomaticus, Dissertazioni V e VI.

<p>127</p>

Pirro, Sicilia Sacra, p. 25, nota del D'Amico.

<p>128</p>

Divi Gregorii papæ, Epistolæ, lib. I, nº 39, indiz. IX.

<p>129</p>

Ibid., lib. III, nº 15, VII, 27, VIII, 65.

<p>130</p>

Divi Gregorii papæ, Epistolæ, lib. I, nº 3, indiz. IX.

<p>131</p>

Lib. I, ep. 1, indiz. IX.

<p>132</p>

Lib. I, ep. 3.

<p>133</p>

Epistola di San Gregorio del 16 marzo 591, presso Di Giovanni, Codex Siciliæ Diplomaticus, LXVI, pag. 106, la quale manca nella edizione delle opere di San Gregorio che ho per le mani.

<p>134</p>

Lib. I, ep. 42.