Col fuoco non si scherza. Emilio De Marchi

Col fuoco non si scherza - Emilio De Marchi


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come se fossi in casa tua. L'Angiolina è ai tuoi ordini e tu le dirai quel che fa bene e quel che non fa bene al tuo stomaco, se vuoi il caffè alla mattina o la cioccolata.

      Cresti non aveva mai detto tante parole in un mese quante ne disse quel giorno, in cui sentiva moversi dentro e ronzare tutto uno sciame di memorie di cose pensate e non dette, di sensazioni rimaste chiuse e come sprofondate nei crepacci più oscuri della sua coscienza d'uomo solitario e irritabile. A Massimo aveva scritto d'un certo suo progetto in aria e Massimo era venuto per aiutare un povero uomo a tirare abbasso questo grosso pallone, in cui viaggiava una sublime speranza.

      Flora, quella Flora dai folti capelli rossi, quella bambina che in dodici anni si era fatta un donnone aveva ormai preso possesso del suo cuore…. L'idea ch'egli potesse essere per Flora qualche cosa di più d'un vecchio amico andava prendendo da un anno in qua sempre più consistenza: e più ci pensava e più gli pareva di ribadire quell'uncino nel cuore. E batti e batti, ormai se lo sentiva così conficcato quell'uncino che levarlo da sè non avrebbe saputo senza lacerarne tutta la carne. Ecco perchè aveva fatto venire un amico dalla mano medica e delicata. Era strano, quasi inesplicabile alla sua età (trentasette anni e mesi); ma ormai non c'era più dubbio: egli era innamorato. Innamorato, egli, Cresti, d'una figliuola di ventidue anni, di quella figliuola là? egli che si sentiva non vecchio fisicamente, ma esteticamente vecchio e giunto a quella sazietà della vita che fa parere tutto finito? Eppure era così, cari signori! e questa passione era per lui molto più formidabile in quanto si presentava al vecchietto con un'attrattiva nuova e sorprendente, non come un ritorno d'un'antica primavera, non come un bel giorno di tardo autunno, ma come un fenomeno non mai nè provato, nè previsto, con tutti gl'incanti e con tutte le seduzioni d'un amore di sedici anni. Egli non aveva mai amato così, a suo tempo, colpa sua, forse: ma il rimorso di non avere saputo amare non faceva che aggiungere uno stimolo di più a questo amore in ritardo e di riparazione.

      Qualche volta egli si rimproverava questa debolezza nei frequenti soliloqui con cui istigava se stesso.—Che vuoi che faccia di te quella ragazza? che cosa vuoi ch'ella trovi in te, vecchio e rustico coltivatore di cavoli? ha ben altri ideali per la testa la signorina del Castelletto: o se per non saper far altro, si rassegnasse a sposarti, non ci sarebbe pericolo che s'ingannasse sulle sue stesse intenzioni e che vi trovaste ingannati a vicenda? Nel giuoco d'amore una sola è la partita e a chi tocca lo scacco matto è suo danno.

      Mille volte erasi già ripetuto queste considerazioni, stando tutto solo le lunghe sere d'estate sotto il portichetto del Pioppino coll'occhio fisso alla torretta merlata del Castelletto, finchè le case alla riva s'immergevano nelle tenebre e nella luce d'una finestra vedeva passare o credeva di veder passare un'ombra. Di questi suoi scrupoli aveva riempite le ultime lettere a Massimo Bagliani che s'era mosso anche per questo, uscendo da un esilio che, secondo il decreto, doveva essere perpetuo.

      La stanza assegnata al signor commendatore era la più grande della casa, forse fin troppo sfogata e larga, con quattro finestre che davano sul lago e sul monte, arredata di vecchi mobili nei quali sì specchiava la luce. Le pareti erano dipinte a calce con strisce rosse intrecciate a rombi in ciascuno dei quali era scarabocchiato un fiorellino celeste, lavoro paziente del vecchio Bargella di Bellano, un imbianchino celebre di cinquant'anni fa, annegato, chi dice nell'acqua chi dice nel vino, un giorno di sant'Anna dopo una famosa baldoria.

      Quantunque una vasta tavola rotonda occupasse il mezzo di quello spazioso ammattonato a spina di pesce, c'era ancor posto in giro per una processione. Molti quadri e vecchie stampe occupavano le pareti, tra gli altri il ritratto d'un altro Beniaminus Crestus, notaio camerale, morto a Como nel 1771, che sotto una zazzera imponente accusava anche lui un musetto di buon cane barbino.

      Una grande incisione della scuola del Piazzetta rappresentava Amore nella fucina di Vulcano nell'atto che ritrae la mano scottata dalla vampa.

      O che non sapeva il piccolo tormentatore dei cuori che il fuoco scotta? il Dio e i ciclopi ridono di lui mentre le lagrime scendono sul bel volto del più crudele dei numi.

      —Un per volta ci si scotta tutti…—disse il Cresti, indicando a

       Massimo la vecchia stampa, a cui attribuiva qualche valore.

      —Col fuoco non si scherza—commentò l'amico.

      —Eh…. lo so—disse l'altro, tirando lungo il respiro.

      Le due ragazze avevano preparato un magnifico letto coi lenzuoli che sentivano di lavanda, col famoso piumino stato messo insieme a pezzi e bocconi dalla povera signora Caterina durante l'ultima sua malattia coi frastagli del suo vestito da sposa. Ai piedi era un soppedaneo immenso, tutto verde come un prato, su cui spiccavano due pantofole d'un rosso fiammante.

      Beniamino corse a spalancare la finestra e:

      —Guarda—disse con un sentimento d'orgoglio, come se ci avesse qualche merito nella bella vista.—Ecco Lenno, Azzano, Mezzegra e là in quel verde, villa Serena.

      —Dove, dove? chiese subito l'amico, facendo canocchiale col pugno.

      —Laggiù alla riva, quel gran giardino colla balaustrata. Infandum, regina, jubes renovare dolorem. Ci andremo domani.

      —Domani no; è troppo presto.

      —Andremo quando ti sentirai in forze. Non la troverai molto mutata, perchè queste donne tranquille non invecchiano. Sono i nervi che fanno soffrire.

      —Mio nipote sa che devo arrivare?

      —Glie l'ho detto: e non desidera che di abbracciare il suo caro zio d'America.

      —Credi ch'egli sia a parte di quel che è passato tra me e suo padre?

      —Ho tutti i motivi per credere che non sappia nulla: a meno che non abbia trovato qualche lettera tra le carte del defunto.—E guarda un po' anche da questa parte—disse il padrone di casa, aprendo l'altra finestra verso levante. I più grossi paesi di Tremezzo e di Cadenabbia eran lì immediatamente sotto i piedi, coi loro alberghi, coi loro tetti accostati e sovrapposti, congiunti da una sottile collana di ville incastonate nei verdi giardini, tra cui, sopra un minuscolo promontorio, il Castelletto colla sua brutta torretta dipinta,

      La colazione servita nel salotto che dava sulla parte più fiorita del giardino fu veramente degna di un diplomatico, e le ore passarono come un sogno nel riandare le centomila cose passate, quelle morte, quelle che non avevan potuto nascere e che avrebbero dovuto nascere meglio. Dopo aver fatta una visita alle pere e alle rose, all'ombra di due grandi cappelli di paglia, il signor commendatore accettò volentieri il consiglio di ritirarsi in camera a fare un sonnellino. C'era a questo scopo una poltrona grande come un bagno, aperta come la misericordia di Dio, nella quale Massimo si raccolse per prendere il volo verso riposati lidi, mentre le foglie delle piante battute dal vento mandavano un barbaglio di ombre attraverso alle gelosie sopra il soffitto e sulla rosicchiata cornice del vecchio notaio.

      Le cicale cantavano a tutto cantare nella lenta e calda quiete di quella giornata di agosto.

       Indice

      Due amici giovani.

      Sonava la mezzanotte a S. Giovanni di Bellagio, quando Ezio Bagliani e il contino Andreino Lulli, detto anche Lolò, sfuggendo alla baraonda, scioglievano il canotto dagli anelli della darsena e si staccavano dal piccolo molo del Ravellino.

      Dal Ravellino a Villa Serena, a lago tranquillo, è una traversata di una mezz'ora o poco più; ma per i due giovani, che uscivano caldi dalla baldoria e che avevano da mettere d'accordo l'acqua un po' grossa del lago col vino bevuto a tavola, fu impresa alquanto più complicata.

      —Vuol dare a intendere che è Sciampagna di dodici lire…. brontolò

       Ezio Bagliani, continuando un discorso già avviato nel giardino.

      —È del vin d'Asti malvestito in carta d'argento—soggiunse don

       Andreino, che andava cercando suoi remi in fondo


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