Col fuoco non si scherza. Emilio De Marchi
ma sans-gêne; due uova, due fette di salame e un caffè nero. Vedremo di leggere insieme qualche pagina di questo malaugurato scarabocchio.
—Va bene: alle nove?
—Alle nove. Addio, Flora…
—Addio—rispose Flora, alzando la voce per seguire il canotto che si allontanava come una freccia: e le parve che un piccolo eco nascosto in qualche crepa del monte opposto ripetesse di là del lago;—Addio….
* * * * *
Villa Serena nel seno più interno della riva spiccava solitaria nel giardino vasto e oscuro, che l'abbracciava tutta nelle sue ombre profonde. Era una casa aperta sul lago con terrazzo a lunga balaustra di pietra bigia, ornato di grossi vasi di sasso, colla facciata d'una gravità signorile senza pompa e senza leziosaggini, una casa ancora senza storia, che Camillo Bagliani, il padre di Ezio aveva acquistato poco prima della morte della sua prima moglie. Vi aveva poi condotta la seconda moglie, Vincenzina, vi aveva raccolto le sue memorie e vi era morto anche lui da poco tempo, dopo aver passato gli ultimi anni di vita in uno stato di lenta paralisi sul balcone della camera che prospetta il piano più vasto del lago.
Ezio vi era, si può dire, cresciuto negli anni più belli della sua giovinezza e dopo la morte del babbo considerava Villa Serena come il rifugio delle sue idee migliori. Per rispetto a donna Vincenzina, sua seconda madre, l'eco dello gazzarre del Ravellino non vi doveva nemmeno arrivare e dagli amici suoi, tranne questo contino Lulli, che aveva una specie di salvacondotto nel titolo e nell'onorabilità del nome, nessuno altro era mai stato introdotto tra le ombre oneste e tranquille di quell'angolo invidiato. Ezio sapeva e voleva che gli altri avessero a distinguere tra il compagnone allegro e il padrone di casa. I piaceri della vita non l'ubbriacavano mai fino al punto di fargli perdere il sentimento de' suoi doveri, e in questa specie di governo di se stesso era la sua forza e la sua superiorità su tutti gli altri che gli facevano la corte. Questo senso di orgoglio lo faceva parere molte volte duro e aristocratico ai democraticoni della gazzarra, pei quali lo stravizio non ha bisogno di guanti e nemmeno di brache: ma Ezio voleva essere aristocratico, e sapeva di esserlo, magnificamente, quando era il caso. Quarantamila lire di rendita ben amministrata gli potevan concedere questo lusso.
Il canotto con una giratina magistrale imboccò l'arco oscuro della darsena e andò ad arrestarsi ai piedi della scala che mena al giardino. Ma il luogo era così buio che lo sbarcare non fu cosa facile. Ezio saltò a terra per il primo, tirò il legno a riva, lo legò, a tastoni, colla catena, bestemmiando contro quell'animale di Moschino che non era venuto incontro colla lanterna. Accese un zolfanello per rompere l'oscurità e alla fiamma che rischiarò l'antro vide il ragazzetto seduto sulla scala, addormentato, colla lanterna morta tra le gambe.
—Aspetta, lazzarone!—brontolò, frenando con fatica la voglia di farlo rotolare nell'acqua. E presa uno ciotola di legno, di quelle che servono a vuotar le barche, la riempì fino all'orlo e versò tutta l'acqua sulla testa di Moschino, che gettò un urlo di spavento. Il battesimo discese e serpeggiò fresco fino in fondo alla schiena.
—È così che tieni il lume acceso, pigro animalaccio?—gridò il padroncino, mentre il disgraziato si dibatteva nei panni bagnati.—Alza il lampione, se non vuoi che con un calcio ti butti dentro.—Il ragazzo che conosceva per prova le furie del signorino, si alzò grugnendo, levò il lampioncino di vetro: ma l'acqua aveva così bagnato il lucignolo che si dovette rinunziare a ogni tentativo di accenderlo.
Bisognò far di necessità virtù, arrabattarsi al buio e persuadere Andreino a uscir dalla barca: ma nel frattempo Lolò s'era beatissimamente addormentato nel fondo e giaceva come un sacco di cenci. Abbruciandogli due o tre zolfanelli sotto il naso, Ezio potè richiamarlo un poco ai sensi e persuaderlo a lasciarsi tirar fuori: ma il contino che sentiva la zampa dell'aragosta grattargli l'ugola, cominciò a piangere sulla sua sventura e a dichiarare d'essere il più vile vermiciattolo che si nutra di fango e altre di quelle melanconiche amarezze, da cui son presi i nobili spiriti che hanno un'aragosta e del cattivo Sciampagna sullo stomaco.
Colle buone e colle brusche Ezio, che in queste tragedie non era alle sue prime prove, potè finalmente schiodarlo dall'asse, impedì che il più infelice degli uomini tuffasse le scarpette nell'acqua buia della darsena, lo tirò sulla scala e a urti e a spintoni lo condusse per l'oscura galleria alla luce del giardino. Era un peccato che don Andreino non fosse in grado di ammirare la mite bellezza e l'incanto della luce lunare, che stendevasi come un lenzuolo bianco sul piazzaletto ghiaioso e gocciolava in vaghissime falde di neve nell'ombra dei viali senza riuscire a dissiparne l'oscurità,
Tra una massa densa di cupe conifere e una parete di mimose, d'aloè, di bambù, l'oscuro e tortuoso sentiero conduceva alla casa dove tutti, fortunatamente, dormivano in quell'ora piccina, nella calma profonda in cui il batter lento dell'onda pare anch'esso il respiro della notte addormentata.
Don Andreino un po' sostenuto, un po' trascinato dalla mano robusta dell'amico, non cessava di ripetere quel che aveva già detto le cento volte, cioè, ch'egli era il più miserabile degli uomini, più vile del più vile vermiciattolo che mangi il fango della terra: e ogni qual tratto faceva il tentativo di fermarsi per dichiararsi indegno di riporre il piede sotto il tetto ospitale del più generoso degli uomini. Alle parole seguivano teneri abbracci, singhiozzi e vere lagrime di tenerezza, a cui Ezio non sapeva opporre che frasi sorde come queste: Sta zitto, asino: non svegliare quei di casa. Sì, vermicciattolo, taci che ora ti mettiamo a letto.
Moschino corse in cucina a prendere un lume e per la scaletta di servizio venne fatto a tutti e due di spingere il giovine ubbriaco fino a una stanzina, che di solito serviva al guattero di casa. Lolò cadde sul letto, su cui Ezio distese un coltrone e lo lasciò mormorando: Ora ne hai fino a domani sera.
Moschino accompagnò il padroncino fin sulla soglia della stanza e tornò a cercare il suo letto. Nello strapparsi di dosso i vestiti bagnati, che mandavano un forte odore di pesce, mormorava:—E dicon porci a noi!—Ma il sonno scese presto a dissipare ogni rancore. Anche Ezio si addormentò presto, rotto com'era dalla fatica: e non sognò che un chiarore vago di luna in cui una voce, la voce di Flora, andava leggendo qualche cosa ch'egli non riusciva a capire.
III.
Studi severi.
Non si svegliò prima delle sette e il suo pensiero corse subito alla promessa fatta a Flora.
Sonò. La vecchia Bernarda gli portò l'acqua ed il caffè.
—Dirai a don Andreino, quando si sveglia, che mi raggiunga verso le due alla Boliviana, dove si radunerà il comitato delle regate.
Saltò dal letto e compiè la sua toeletta, dopo aver deterso colla spugna nell'acqua diacciata tutto il suo corpo di elegante atleta, che strofinò colla canfora e coll'aceto profumato. Quando si sentì ripulito da tutti i fumi dell'orgia, si vestì della biancheria fresca di bucato, che mandava un buon odore di ireos, spalancò le gelosie verso il lago per lasciar entrare tutta l'aria e tutta la luce della mattina,
Il lago era un tranquillo raso celeste senza una piega da questa all'altra sponda. Per la china dei monti scendeva a pezze disuguali il sole dorato a illuminare il vario verde dei boschi e le capanne più alte, mentre una rara nebbiolina vagolava sui fianchi più bassi e sulle rive che sentivano ancora qualche brivido della notte. Poche barche di pescatori parevano immobili nello specchio, tra cui veniva sbuffando il battello della mattina, che lasciava indietro un pennacchio di fumo.
Il giovane respirò a grandi fiati la freschezza dell'atmosfera e mentre si spazzolava i capelli corti alla repubblicana, sentì il bisogno di far eco zufolando ai gorgheggi delle capinere e dei merli che popolavano i boschetti. Il profumo caldo dell'Olea fragrans veniva dagli sterrati del giardino, che tocco dal primo raggio del sole, che sul lago sorge tardi, schiudeva i suoi verdi, da quello scuro dell'abies nigra, al verde smunto del deodara, a quello paglierino del bambù e al verde luccicante e bagnato del lauro ceraso e della magnolia. E tutta questa festa di verde veniva sbattuta dal riflesso del lago, che faceva luminello sulle