Quartetto. Alfredo Oriani

Quartetto - Alfredo Oriani


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delle quali la migliore non è certo la parola? Tutto non parla nel mondo? L'universo non è come un discorso, nel quale ogni individuo rappresenta una sillaba? La solidarietà misteriosa, che unisce tutti i viventi, non lega forse le loro voci, e non sarebbe strano, che mentre tutti si scaldano al medesimo sole e respirano la medesima aria, non parlassero un medesimo linguaggio, e non componessero un coro? Se invece di restare in questo gabinetto discendessimo in giardino, come voi udite senza avvertirla la voce del grillo, egli udrebbe senza badarvi la mia, ascoltando la voce di qualche sua compagna. Fra la moltitudine degli effluvii e dei discorsi ciascuno sceglie quello che gli si indirizza, e vi risponde; ma la sinfonia, che risulterà inevitabilmente dall'accordo di tutte le voci e dalla innumerevole partitura di tutti gli strumenti noi non possiamo sentirla più del moscerino, che ronza, o del bue, che mugge. Se vi fosse una montagna, dalla cima della quale abbracciare tutto il paesaggio della terra ed intenderne il concerto infinito, v'inviterei meco a salirla, e fosse pure alta o scoscesa, vi terrei sempre per mano ripetendovi: salite! Quando l'aria diventasse troppo rada, per impedirvi di accorgervene, vi direi: guardate come la luce è pura! Se l'altezza vi desse le vertigini, vi mostrerei la cima, ripetendovi: salite! Se il freddo vi gelasse la fronte, allora forse, solamente allora oserei dirvi: non sentite, signora, come la mia mano brucia nella vostra! E saliremmo: l'aquila vi vedrebbe senza paura passare rasente il proprio nido, perchè voi, signora, avete la più dolce fisonomia di questo mondo: dalla vetta di un pinacolo il camoscio ci indicherebbe con un fischio il sentiero più sicuro e più breve; la rosa delle alpi, questo mistico fiore, che vive di neve e di sole, di bianco e di azzurro, tremerebbe di confusione vedendovi, perchè voi siete più bianca della sua neve, perchè i vostri occhi sono più azzurri del suo cielo, perchè i vostri capelli sono più biondi del suo sole. E saliremmo sempre: gli abeti bruni come la folla degli uomini ed egualmente clamorosi stormirebbero al basso; i ghiacciai arderebbero in alto con un incendio di colori e di scintille, di raggi e di baleni. Non vi pare che sarebbe una bella ascensione? Talora guadagnando un monte si guadagna un cuore. Invano la montagna sarebbe levigata come uno specchio o irta come una lima: le nostre mani avrebbero una presa più fina di quella di una mosca, e più forte di quella di un artiglio: io vi farei arco delle spalle e vi ripeterei sempre: avanti, excelsior! Se ci siamo alzati più in su dell'aquila, saliamo ancora, perchè i raggi della luna si posano dove non arrivano i piedi dell'aquila, e i raggi discendono invece di salire: il sole passa al disopra della luna, le stelle migrano al disopra del sole, il pensiero vola al disopra delle stelle, Dio sta al disopra del pensiero. Ormai tocchiamo la vetta; salite meco e fidatevi, perchè ho giurato di riaccompagnarvi nel mondo quale ne siete uscita, e la mia parola è sicura come voi siete bella.

      Poi arrivati sulla vetta mi sederei ai vostri piedi e guardandovi negli occhi vi direi: eccoci giunti, o signora; chinate pure lo sguardo ed ascoltate la musica, che si innalza fino a noi coi vapori attratti dal sole. I vapori ricadranno in pioggia, ma la musica svanirà lentamente nel silenzio dell'azzurro. Benchè soli come Satana e Cristo, non temiate che vi tenti. Il mondo non parve bello al Nazareno, poichè il mondo non è bello se non da vicino come tutte le piccolezze: da questa cima i suoi imperi fanno appena una macchia di paesaggio e le sue più enormi città un mucchio di ghiaia. Siamo soli, signora, ma talmente in alto che non ci resta più che l'orgoglio dei nostri cuori, e la serenità dei nostri pensieri. Non vi sentite più grande così? Ma se credendo alla mia parola e accettando la mia mano acconsentiste a seguirmi su questa cima così perigliosa ed eterea: se almeno questa volta desideraste ciò che desiderai, voleste ciò che volli, faceste ciò che feci, qui nell'azzurro, che le nubi non hanno mai contaminato, dove l'aria non svia più i raggi del sole, e nessuno ci ascolta, perchè gli uomini sono troppo in basso e le stelle troppo in alto; questo secreto che porto da lunghi anni come una luce nella mente, come un tesoro nel cuore, come una catena alle mani, sul quale avete tante volte soffiato e non si è spento, nel quale cacciaste tante volte le dita gettandone all'aria le perle e non è scemato, sotto la quale i miei polsi hanno tante volte sanguinato strappando, e non l'hanno rotta... ve lo dirò, qui, solo, senza lagrime, senza parole, con uno strido acuto, supremo:

      Ah!

      Il cantino si è rotto, signora, ma un violino come una barca non si arresta per la rottura di una corda. Poichè siamo soli in questo gabinetto mettetevi là, su quella poltrona, ed ascoltatemi. Oramai è notte: il cielo è opaco come un mare e silenzioso come un deserto. Avete mai riflettuto a questi due infiniti, che rinchiudono l'orizzonte creandolo? Eppure l'orizzonte è la cornice di ogni quadro. Nella indefinibile unità del suo colore trema una confusione di tinte indefinibili. Da lui il zaffiro ha preso il turchino, lo smeraldo il verde, l'ametista il violetto, il topazio il biondo, il rubino il lampo sanguigno, la perla il pallore, l'opale le iridi; voi, signora, lo splendore e la mobilità, la leggerezza e le nuvole. — Fatti un abito di taffetà, poichè la tua anima è cangievole come i suoi colori — disse una volta Shakespeare ad una donna, ed ella forse gli rispose con un sorriso più ricco di espressioni, che non di tinte il taffetà. Riso e sorriso, ecco la vita, signora. Se il sole fosse così bello, perchè gli uomini avrebbero inventato gli ombrelli, e Dio ne avrebbe loro suggerita l'idea colle nuvole? Se il cielo ci fosse destinato, perchè gli avrebbero negato l'aria, rendendolo sordo? Se il genio non fosse una colpa, perchè sarebbe costantemente infelice, e se l'amore non fosse una brutalità, come tutti gli animali vi si accorderebbero? La poesia è una noiosa menzogna, e la prova ne sta in questo, che le signore vi si annoiano. Invano si è voluto spiegarlo col paragone del flauto, il quale della musica, che gli fanno suonare, non sente se non la incomoda ripienezza del soffio, giacchè nella poesia dell'amore, chi dei due sia l'istrumento, se l'uomo o la donna, si debba ancora sapere. E poi gli strumenti non si giudicano sempre con facilità. L'asino non è mai passato per un eroe, e nullameno colla sua pelle si coprono i tamburi, e coi tamburi si indicono le battaglie. Le pecore, che belano così poco, benchè il belato sia uno dei linguaggi più facili, prestano le loro viscere ai violini, che se ne fanno le corde. E quando un grande suonatore vi suonerà un pezzo di Beethoven, o io stesso col singhiozzo nell'anima vi parlerò col mio violino per dirvi così tutto quello, che non oso; e voi forse cesserete per un istante di sorridere — le mie lagrime saranno forse sincere, ma i miei lamenti saranno di un altro povero morto: voi non potrete ancora comprendermi, ed io sarò un pazzo, perchè bisogna essere pazzo per sperare che una budella esprima ciò cui non basta una lingua, e una corda possa altrimenti giovare che ad impiccarsi. Se i Romani avessero conosciuto il violino, forse vi avrebbero fatto le corde con budella di schiava; e chissà se non fossero stati migliori dei nostri, e la storia dell'arte non vantasse uno Stradivarius di più. Come le lettere avevano gli schiavi per i dizionari, la musica avrebbe avuto gli schiavi per gl'istrumenti; la scienza, compiacente come sempre a tutte la tirannie, avrebbe forse trovato nelle fanciulle circasse la fibra migliore per i cantini; e voi, signora, ascoltandoli avreste sorriso come adesso col vostro bel sorriso di corallo, perchè il corallo è colore di sangue. Riso e sorriso, ecco la vita. Il sole fa sorridere le labbra delle nuvole, che avventano la folgore, come le goccie di rugiada, che incoronano le rose: le stelle sorridono di tutti i miopi, che le puntano coi telescopii, e ridono di tutti i ciechi, che piangono non vedendole: i vecchi sorridono dei giovani, che hanno la saggezza di essere folli, e i giovani ridono dei vecchi, che hanno la follia di essere saggi: il credente sorride dell'ateo, che ha la sventura di essere solo in questo mondo, e l'ateo ride del credente, che avrà la disgrazia di essere male accompagnato nell'altro. Riso e sorriso, che mostrano sempre i denti, perchè dopo il bacio vi è quasi sempre il morso. E voi, signora, preferite mordere o baciare? Forse l'uno e l'altro, forse baciare quando vi mordono, e mordere quando vi baciano, per contraddire sempre, perchè la contraddizione è il primo sintomo della forza e il primo beneficio della libertà. Se così non fosse, perchè i piccoli negherebbero sempre i grandi, e le donne avrebbero sempre ingannato gli uomini? Poichè la contraddizione è l'essenza della vita individuale, l'amore, che la perpetua, è costretta a servirsi egualmente del bacio e del morso. Solo negli animali morde il maschio, e negli uomini la femmina: variante misteriosa, che indica forse negli uni il pudore di quella, e negli altri la debolezza di questo. E poichè la debolezza conduce spesso alla tirannia, gli uomini dopo i ginecei inventarono gli harem, come dopo il vino i liquori; invenzione sciagurata, che toglieva la conquista all'amore, ed impediva il bacio per evitare il morso. L'amore ha d'uopo di libertà, come la luce di ombra per produrre il colore; giacchè non è vero che l'ombra sia nemica della luce, come afferma Mefistofele, e dovesse appiattarsi nella profondità dei corpi, quando raggiò la


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