L'Imperatore Giuliano l'Apostata: studio storico. Gaetano Negri

L'Imperatore Giuliano l'Apostata: studio storico - Gaetano Negri


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io non fui pronto ad arrendermi, ma resistetti finchè mi fu possibile, e non accettai nè il titolo nè la corona. Se non che, mentre a me non riusciva di acquietare nessuno, gli dei, i quali volevano che tutto ciò avvenisse, eccitavano i soldati sempre di più, e ammollivano, invece, la mia risoluzione, così che, verso l'ora terza, non so qual soldato, strappandosi una collana, me ne circondò il capo, ed io entrai nella reggia, sospirando, come lo sanno gli dei, dal profondo del cuore. Io ben sapeva che doveva affidarmi al segnale divino, ma mi doleva assai il parere di non serbarmi, sino alla fine, fedele a Costanzo.

      «V'era, intorno alla reggia, molto turbamento. Gli amici di Costanzo, pensando di cogliere una buona occasione, mi tendono un'insidia, e distribuiscono del danaro ai soldati, nell'aspettazione di una di queste due cose, o di vederli dividersi gli uni dagli altri, o gittarsi tutti quanti apertamente contro di me. Essendosi [pg!70] accorto di questo segreto maneggio uno degli ufficiali di servizio di mia moglie, me ne dà tosto notizia, e, quando vede che io punto non me ne incarico, infuriato come un epilettico, si pone a gridare sulla piazza: — Soldati, stranieri, cittadini, non tradite l'imperatore! — Ed ecco che i soldati si esaltano, e tutti, con le armi, corrono alla reggia. Vedendomi vivo, lieti come chi, contro ogni speranza, ritrova un amico, mi circondano, mi abbracciano, mi portano sulle spalle, ed era cosa degna di vedersi, tanto parevano pieni di entusiasmo. Quando mi ebbero in mezzo, mi chiesero di consegnar loro gli amici di Costanzo, onde punirli. Quale lotta io dovetti sostenere per salvarli, lo sanno gli dei!»84.

      Era proprio completamente sincero Giuliano in queste sue dichiarazioni di innocenza, in queste sue affermazioni di sorpresa e di meraviglia? Si può dubitarne, senza fargli gran torto. La condotta di Costanzo verso di lui era tale da non lasciargli alcun dubbio sulla sorte finale che lo aspettava. Se avesse fatto partire i suoi soldati, egli era un uomo perduto. A lui non restava altra difesa che la ribellione agli ordini ricevuti. Onde salvarsi, doveva dimostrare a Costanzo di avere a sua disposizione una forza maggiore della sua. Che, in tutte quelle esitazioni, in quelle suppliche agli dei, in quelle ripetute proteste, ci sia un po' di commedia, è naturale il supporlo. Ammiano ci racconta, e Giuliano ci conferma con gran calore, che gli dei gli avevano chiaramente manifestato il loro volere con un miracolo. Ma questi miracoli così opportuni non si verificano se non per [pg!71] coloro che li aspettano, onde sanzionare ciò che già hanno risoluto di fare. I soldati adoravano questo mistico filosofo al quale i gravi studi non impedivano di essere sempre il primo nei pericoli e negli stenti, e che li aveva condotti di vittoria in vittoria. Già, sul campo di battaglia di Strasburgo, avevan voluto proclamarlo imperatore85. Allora recisamente rifiutava perchè le circostanze non erano tali da costringerlo all'alternativa di ribellarsi o di perire. Ma i suoi continui successi, in guerra ed in pace, anzichè attenuare, avevano inviperiti i sospetti e la gelosia di Costanzo, così che, per salvarsi, l'eroico Cesare si trovò trascinato ad incoraggiare, se non a provocare, quella proclamazione ad Augusto, a cui, due anni prima, si era risolutamente opposto.

      Che Giuliano nutrisse il presentimento ed il desiderio del suo alto destino, e che, pertanto, non sia stato del tutto estraneo al movimento soldatesco che lo ha portato al trono, si vede anche dalla lettera, diretta al fidato suo medico Oribasio, datata dagli ultimi tempi del suo cesarato86. Il sogno che vi è narrato è troppo chiaro per non essere l'espressione di un pensiero che già covava nella mente del sognatore. «Il divino Omero dice che due sono le porte dei sogni, e che, quindi, diversa è la fede che meritano le loro predizioni. Ma io credo, che tu, questa volta più che altra mai, hai veduto bene nel futuro. Poichè io stesso oggi ho avuto una visione simile alla tua. Mi pareva di vedere un alto albero, piantato in una vastissima sala, piegarsi a terra, e, dalle sue [pg!72] radici, sorgere un altro piccino, tutto a fiori. Io era in gran pena pel piccino, temendo che lo si recidesse col grande. Mentre mi avvicino, ecco il grande albero è disteso al suolo, ma il piccino è ritto e guarda il cielo. A tale vista, ansioso esclamai: — Quell'albero è caduto! E c'è pericolo che neppure il rampollo possa salvarsi! — Allora, uno, che mi era del tutto sconosciuto, disse: — Guarda bene, e fatti coraggio. La radice è rimasta nella terra, e il piccino è salvo e si consoliderà sicuramente».

      Che questo medico Oribasio abbia avuto una parte importante nei maneggi che precedettero l'elezione di Giuliano, e che egli abbia adoperata la sua influenza ad accendere nel principe l'aspirazione alla dignità imperiale, non è improbabile, ed è affermato esplicitamente da Eunapio nella vita di Oribasio stesso87. Parrebbe, anzi, che Oribasio, nelle memorie da lui lasciate, si vantasse della parte avuta nell'avventura, aumentando la responsabilità dell'iniziativa in Giuliano, più di quello che ammettono Giuliano stesso ed Ammiano, pei quali la ribellione non sarebbe stata che un atto di necessaria difesa. Un fatto curioso e che può essere sintomatico è che Giuliano, a quel che narra Eunapio88, fece venire dalla Grecia in Gallia il gran sacerdote dei Misteri, l'ierofante, come si chiamava, e non si risolvette alla ribellione se non dopo aver compiuto con lui, nel massimo segreto, i riti sacri. Oribasio e il fido Evemero erano soli nella confidenza. Conoscendo l'animo superstizioso di Giuliano, reso [pg!73] ancor più superstizioso dagli insegnamenti avuti da Massimo, ben si comprende come egli volesse consultare gli dei, prima di risolversi, e come, quindi, gli riuscisse preziosa l'opera dell'ierofante. Ma la circostanza d'averlo fatto venire dalla Grecia a Parigi non può a meno di far nascere il sospetto della premeditazione. In ogni modo, son troppo scarsi i dati per poter innalzare con essi un edificio sicuro. Il meglio per noi è di attenerci alle narrazioni così precise e vivaci che troviamo nel Manifesto agli Ateniesi e nella storia dell'onesto ed imparziale Ammiano.

      Quei moderni difensori di Costanzo, di cui già parlammo, e primo fra questi il Koch, in quel suo studio che è scritto con critica acuta e con grande erudizione, voglion vedere, nella rivolta di Parigi, una commedia di Giuliano, il quale vi avrebbe trovato il pretesto per ribellarsi apertamente all'imperatore. Se non che, pur non badando a quell'accento di verità che risuona nella parola di Giuliano, l'analisi, dirò così, psicologica degli uomini e della situazione persuade ogni osservatore spregiudicato, e che non sia ispirato dal demone dell'ipercritica, che il torto, in questo storico dissidio fra i due cugini, è intieramente dalla parte di Costanzo. Prima di tutto ricordiamo come sia impossibile togliere a quest'ultimo la responsabilità di quello spaventoso delitto che fu la strage della famiglia costantiniana, da lui voluta o tollerata alla morte del padre Costantino, quel delitto per cui Giuliano poteva pubblicamente chiamarlo «l'assassino del padre mio, dei fratelli, dei cugini, potrei dire il carnefice di tutta la nostra comune famiglia e parentela»89. [pg!74] Contro un uomo siffatto sono giustificate le più nere prevenzioni. Sospettoso di tutto e di tutti, Costanzo era sempre pronto ad aprire l'orecchio ai calunniatori. Primo, fra questi, quell'eunuco Eusebio, che gli stava al fianco, come ispiratore d'ogni suo atto, che lo spingeva sempre più avanti nella crudeltà, a cui naturalmente tendeva, e che fu il suo cattivo genio90. Costui lo aizzava contro Giuliano, in cui vedeva un temibile successore all'impero. Provava per lui quell'odio che le anime basse hanno naturalmente per gli uomini generosi e forti. Eusebio rappresentava la corruzione e il vizio regnanti nella Corte; Giuliano l'onesta semplicità e la rettitudine dello studioso, vissuto, lungi dagli intrighi, nell'ambiente puro di aspirazioni ideali. Eusebio doveva guardare l'avvicinarsi di Giuliano come il principio della sua rovina. Egli, pertanto, non cessava dal versar veleno nell'animo del credulo e perverso Costanzo. Se non fosse stata la salutare azione dell'imperatrice, Giuliano non sarebbe scampato ai sospetti del cugino. Certo, quei sospetti tacquero, per un istante, sotto la minaccia crescente delle invasioni germaniche, e Costanzo si lasciò persuadere dalla moglie a mandare il cugino in Gallia. E vogliamo anche ammettere che, sulle prime, fosse in buona fede, poichè, dopo tutto, ciò che più importava pel momento era di metter freno all'irrompere dei nemici. Ma i sospetti dovevano riaccendersi pei successi ottenuti da Giuliano e per la gloria che a lui ne veniva. E ripresero forza le influenze malvage che attorniavano l'imperatore, influenze che, scomparsa per morte la bella Eusebia, [pg!75] non avevano più ritegno. A me non par dubbio che l'ordine improvviso e sconsigliato con cui Costanzo, d'un tratto, chiamava in Oriente la parte migliore dell'esercito di Gallia fosse ispirato dal desiderio di mandar Giuliano a perdizione. Certo, la posizione di Costanzo, in Oriente, dopo la caduta d'Amida era scabrosa91, e la Mesopotamia correva pericolo di essere interamente invasa dai Persiani. Ma non erano i soldati che mancavano a Costanzo, mancava una saggia direzione della guerra, direzione resa impossibile dalle insinuazioni calunniatrici degli eunuchi che


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