L'Imperatore Giuliano l'Apostata: studio storico. Gaetano Negri
che disarmasse il sospetto. Nel giorno dell'Epifania, solennemente festeggiato dai Cristiani di Vienna, Giuliano entrò nel loro tempio e fece atto pubblico di preghiera al dio cristiano: «feriarum die, quem celebrantes, mense Januario, Christiani Epiphania dictitant, progressus in eorum ecclesiam, solemniter numine orato, discessit»103.
Non si può negare che, in quel momento, la ragione di Stato fosse prevalente, nell'animo di Giuliano, [pg!82] sulla voce della coscienza. E non c'è dubbio che, dal punto di vista religioso, quell'azione sia stata riprovevole. Giuliano non era solo un politico, era un filosofo, un pensatore. La sua coscienza di pensatore e di filosofo doveva protestare contro la transazione. Ma, talvolta, nella vita, le contraddizioni s'impongono e diventa impossibile il sottrarvisi; in quel momento supremo della vita di Giuliano, l'imperatore ed il filosofo venivano ad urtarsi, e la forza delle cose voleva che l'imperatore facesse tacere il filosofo.
Ma questo filosofo, se si può usare tale parola per un mistico entusiasta, riprendeva, nel secreto, la rivincita. Giunto l'istante della risoluzione suprema, Giuliano, prima di riunire i soldati onde annunciar loro la sua partenza per l'Oriente e la guerra dichiarata contro Costanzo, fa segretamente un sacrifizio a Bellona104. Poi, sentendosi come consacrato e sicuro per l'arrischiata impresa, si presenta all'esercito. Espone il piano di attraversare l'Illiria e di giungere nella Dacia, mentre quelle regioni erano sprovviste di difesa. Là prenderà consiglio su quanto converrà di fare. Chiede ai soldati di serbarsi fedeli a lui che già li ha condotti a tante vittorie. Il discorso di Giuliano è accolto con immenso applauso105; i soldati, brandendo le spade, giurano solennemente di esser pronti a dar la vita per lui. E, dietro i soldati, tutti i capi e tutti gli impiegati. Il solo Nebridio non volle seguirlo, dichiarandosi troppo legato a Costanzo da antichi benefici ricevuti. Giuliano salva dall'ira dei soldati l'onesto legittimista, ma, quando, rientrato nella reggia, [pg!83] lo vede venirgli incontro e chiedergli che, in segno di benevolenza, conceda a lui di stringergli la destra, gliela rifiuta, con un'ironia, non priva d'amarezza, dicendo: — «Credi tu, forse, di poter esser salvato ai tuoi amici a cui tanto premi, se si saprà che tu hai toccata la mia mano? Vattene da qui, e dove vuoi, sicuro»106.
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Risoluta l'impresa contro Costanzo, Giuliano l'eseguisce con una rapidità fulminea e con un'audacia che rivela quale mirabile uomo d'azione diventasse all'occorrenza questo meditabondo sognatore. Non lascia indifesa la Gallia, e la consegna, col grosso dell'esercito, alle mani fidate ed abili di Sallustio. Poi, volendo far credere che si avanzasse sopra Costantinopoli con forze immense, divide i suoi soldati in tre squadre, di cui l'una, sotto il comando dei generali Giovino e Giovio, doveva attraversar l'Italia settentrionale; l'altra, guidata da Nevitta, passar per la Rezia; egli poi, con un manipolo fidato, toccata Basilea, per la selva nera, giungeva alla riva del Danubio107. La percorreva, finchè, trovato navigabile il fiume, continuava su di esso il suo viaggio, non fermandosi in nessuna città o accampamento, perchè a lui ed alla piccola sua truppa bastavano le provviste che portavano con sè. Intanto, nell'Italia e nell'Illiria, si spargeva la fama che Giuliano, annientati i nemici di Gallia e di Germania, si avanzava con poderoso esercito, e questa voce bastava a gittar lo sgomento e [pg!84] la confusione, ed a far fuggire dalle loro sedi, in quelle regioni, due dei più alti funzionari di Costanzo, già compromessi davanti a Giuliano, cioè, il noto Florenzio e Tauro che aveva tenuto mano agli accordi di Costanzo coi re barbari108.
Libanio narra come Costanzo, non ammettendo nessuna possibile conciliazione, munisse tutte le vie per le quali Giuliano poteva venire dalla Gallia in Oriente. «Ma questi, lasciando che i suoi nemici custodissero le vie comuni, ne percorse una, insolita e breve, e piena di ostacoli, come se Apollo lo guidasse e gli appianasse i passi difficili. Così, sfuggito a coloro che dovevano fermarlo, al momento opportuno, apparve, quasi sorgendo dall'abisso, simile ad un pesce, scampato dalla rete, che si nasconde sotto le onde del mare, non visto da quelli che stanno sul lido»109. Altrove il retore esprime tutta la meraviglia dei contemporanei per l'audace novità della via, scelta da Giuliano. «Che dobbiamo — egli esclama — ammirar di più? O la tua vigilanza, o il valore dei seguaci, o la nuova via, per la quale, navigando quasi sempre, mentre ti si aspettava per terra, desti segno del movimento a cosa compiuta, o la navigazione attraverso genti barbariche, o la bellezza dei doni che ti portavano sulle sponde del fiume, onde la tua flotta, navigando, si avvicinasse, a loro? Io amo il Danubio, che a me par più bello del bell'Enipeo, più utile del fecondo Nilo, perchè ha sostenuto, sulle sue onde propizie, le navi che portavano al mondo la libertà»110.
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Sul basso Danubio, a Sirmio, la capitale della provincia, trovavasi Lucilliano, il quale, raccolti, in fretta e in furia, dalle città vicine, i pochi soldati che poteva, pensava di resistere all'inaspettato invasore. Ma Giuliano, giunto a Bononea, l'attuale Bonistar, vicina a Sirmio, nell'oscurità della notte, scende a terra, e manda Dagalaifo a sorprendere Lucilliano. Il colpo riesce completamente, e Lucilliano è condotto al cospetto di Giuliano. Il generale di Costanzo è stupefatto e tremante, ma Giuliano cortesemente gli presenta a baciare la porpora imperiale. E Lucilliano, rassicurato ed inorgoglito: — È impresa — esclama — incauta e temeraria, o imperatore, arrischiarti con pochi in estranee regioni! — E a lui Giuliano con amaro sorriso: — Serba, risponde, per Costanzo queste parole di prudenza. Io ti ho sporta l'insegna della mia maestà non già perchè voglia i tuoi consigli, ma perchè tu finisca d'aver paura —111.
Nella notte stessa, Giuliano si avanza verso Sirmio. Ed ecco i cittadini tutti e i soldati gli escono incontro con fiaccole e fiori, gridandolo Augusto e conducendolo alla reggia. Lieto di questo primo e grande successo, Giuliano, facendo uno strappo alla sua severità, offre al popolo uno spettacolo di corse. Ma, al terzo giorno, impaziente di riposo e di indugio, corre ad occupare il passo di Succi, nei Balcani, ond'essere padrone della strada di Costantinopoli, e lo consegna alla difesa del fido Nevitta. Ridisceso a Nissa, provvede all'amministrazione della seconda Pannonia, che ormai è in suo potere, chiamando a reggerla lo storico Aurelio Vittore, e manda un manifesto al Senato [pg!86] di Roma, onde accusare Costanzo, annunciare e giustificare la sua assunzione all'impero112.
Intanto la posizione militare di Giuliano diventava inquietante. Egli aveva trovate, a Sirmio, due legioni della cui fedeltà verso di lui non era sicuro. Ed egli ebbe il pensiero di liberarsene, mandandole in Gallia. Ma quelle legioni non gradivano punto la nuova destinazione e non la gradiva nemmeno il loro capo Nigrino, natio della Mesopotamia. Esse partirono da Sirmio, ma, giunte ad Aquileja, chiusero le porte della città e si dichiararono, d'accordo con gli abitanti, partigiane di Costanzo113. Aquileja era città fortissima, il cui assedio avrebbe voluto gran tempo. Giuliano ordina a Giovino, che arrivava dall'Italia col grosso delle truppe, di fermarsi intorno ad Aquileja e di stornare, in qualche modo, il pericolo. Ma, intanto, si oscurava l'orizzonte nella Tracia stessa. Le truppe di Costanzo si riordinavano, e si avvicinavano al passo di Succi, sotto la condotta di Marziano. Se Costanzo arrivava dall'Oriente, prima che Giuliano avesse avuto vittoria degli eserciti vicini, quest'ultimo era perduto. Per verità Libanio non dubita che, anche nel caso di una battaglia fra i due cugini, la vittoria sarebbe stata per Giuliano. «Se anche si fosse dovuta risolvere la lite col ferro, lo scioglimento non sarebbe stato diverso. Solo sarebbe corso il sangue, ma poco e vile. Poichè, all'infuori di poche schiere, guadagnate da Costanzo, tutti i soldati vivevano per te, e pareva che a te corressero per esser da te ordinati e condotti»114. Ma Giuliano non partecipava [pg!87] affatto a tale sicurezza, probabilmente ispirata a Libanio dall'adulazione ed anche dall'affetto pel vincitore. Giuliano, anzi, sentiva la gravità estrema della sua posizione. Risolve d'abbandonare, pel momento, l'espugnazione di Aquileja a cui penserà più tardi, e chiama presso di sè l'esercito indugiante nell'Illiria, esercito fedele e provato nelle ardue campagne barbariche. Con un'attività veramente geniale di capitano e di organizzatore115, si prepara ad una guerra disperata, quando un improvviso avvenimento disperde la tempesta, e lo solleva, d'un colpo e senza contrasto, al sommo della fortuna.
Mentre Giuliano si avvicinava come usurpatore a Costantinopoli, Costanzo trovavasi ad Edessa, impigliato nella guerra contro i Persiani. Ad Edessa arrivava l'annuncio che Giuliano, rapidamente percorsa l'Italia e l'Illiria, aveva già occupato il passo di Succi e stava per invadere la Tracia. Lo stupore ed il furore si alternano nell'animo di Costanzo,