L'Imperatore Giuliano l'Apostata: studio storico. Gaetano Negri
domestiche e civili. Raccoglie l'esercito, espone il tradimento di Giuliano e lo invita a punire il ribelle116. L'esercito lo acclama, ed egli, composte pel momento, come meglio poteva, le difficoltà persiane, manda avanti, con buon nerbo di truppe, i due generali Arbizione e Gomoario, quest'ultimo nemico personale di Giuliano, col proposito di seguirli da presso. Infatti va ad Antiochia, ed impaziente d'ogni indugio, insofferente di riposo, turbato da oscuri presentimenti, riparte tosto per Tarso. Le fatiche, l'ira, l'emozione [pg!88] lo avevano scosso. A Tarso è colto da lieve febbre. Ma egli afferma che il moto deve giovargli, e va avanti e giunge, per via faticosa, a Mopsucrene, al confine della Cilicia. Ne vuol ripartire il giorno dopo, ma non può per la violenza della febbre, e, in breve, muore, designando, si narra, col solo atto generoso di tutta la sua vita, successore suo il cugino, il ribelle Giuliano. Appena spirato Costanzo, si riuniscono i capi dell'esercito, e risolvono di mandare a Giuliano due ambasciatori, Teolaifo ed Aligildo, i quali, in nome dell'esercito stesso, lo invitassero ad assumere, senza indugio, la signoria di tutto l'impero117.
Giuliano, avuta l'inattesa ambasciata, in immensum elatus, come dice Ammiano, non pone tempo in mezzo, e muove, con tutti i suoi soldati e con seguito di gente innumerevole, verso Costantinopoli. Era una letizia, un trionfo non mai veduto. Sembrava la processione di un dio. Il passaggio dalle ansie di una guerra terribile, combattuta per l'impero, alla pacifica consacrazione col consenso di tutti, era stato tanto rapido da parere un miracolo. «Quando, narra Ammiano, si seppe, a Costantinopoli, del suo prossimo arrivo, uscì ad incontrarlo il popolo tutto, senza distinzione di sesso e di età, quasi credesse di vedere un'apparizione celeste. Ricevuto, alle Idi di dicembre, fra i devoti omaggi del Senato e gli applausi delle turbe popolari, in mezzo a schiere d'armati e di togati, Giuliano procedeva fra una moltitudine ordinata, e tutti gli occhi si volgevano a lui, non solo per curiosità, ma con grande ammirazione. Sembrava, infatti, un sogno che questo giovane, di figura [pg!89] esigua, già illustre per eroiche imprese, dopo lotte sanguinose con re e con popoli, passando, con non mai vista prestezza, da città in città, dovunque arrivava, avesse facile dominio e pronta adesione d'uomini e di cose, e, finalmente, ad un cenno divino, assumesse l'impero senza nessuna jattura della pubblica fortuna»118.
Chi mai avrebbe detto che quel sogno, in meno di due anni, sarebbe scomparso, e che questo giovane, a cui pareva si aprisse un avvenire fecondo di gloria e di fortuna, sarebbe, in men di due anni, perito, non lasciando di sè altro ricordo se non quello di aver miseramente sciupate le sue forze e le sue doti meravigliose in un folle tentativo di restaurazione religiosa!
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Giuliano, entrato trionfante a Costantinopoli, volle, per prima cosa, purificare l'ambiente politico e morale. Ma qui egli non ebbe la mano felice, o, almeno, non si mostrò immune dalle abitudini del suo tempo. Si lasciò trasportare dal sentimento della vendetta e sanzionò le condanne pronunciate da una commissione inquirente, da lui nominata, per giudicare gli uomini più influenti del regno di Costanzo, nei quali egli sapeva o supponeva d'aver avuto dei nemici personali. L'onesto Ammiano deplora acerbamente alcune di queste condanne, e ne dà colpa principale ad Arbizione, generale di Costanzo, uomo infido e perverso, che Giuliano aveva avuto il torto di chiamare presso [pg!90] di sè e che, con gli eccessi del rigore e coll'acuire i rancori di Giuliano, cercava di guadagnarsi la grazia del nuovo padrone. Questo triste episodio è una macchia della carriera di Giuliano. Però, siccome i denigratori di Giuliano prendono da ciò argomento ad oscurarne la fama, osserveremo, in primo luogo, che Giuliano, per quanto uomo superiore, pure apparteneva al suo tempo, e, se anche noi vorremmo vederlo più generoso, non possiamo dimenticare che, venuto dopo imperatori crudelissimi come Costantino e Costanzo, egli, in un momento solo e in minima parte, ne ha seguito l'esempio. Delle cinque condanne a morte da lui sanzionate, tre, quelle di Apodemio, di Paolo e dell'eunuco Eusebio, sono approvate anche da Ammiano, tanti e tali erano stati i delitti di quei cortigiani di Costanzo. La condanna di Palladio non appare sufficientemente giustificata, e veramente riprovevole, secondo Ammiano, fu quella di Ursulo, ufficiale preposto alle elargizioni imperiali, che, per la sua parsimonia, era caduto in odio dell'esercito, durante le campagne persiane di Costanzo119. Certamente, Ursulo fu vittima di una vendetta di Arbizione, e Giuliano, con colpevole debolezza, non ha avuto il coraggio di salvarlo. E ne sentì rimorso, e cercò di rovesciare la responsabilità dell'ingiustizia commessa sugli infrenabili risentimenti militari120, e, come narra Libanio121, ne risarcì la memoria, col lasciare alla figlia una gran parte dei beni paterni. All'infuori di queste, non vi furono altre condanne [pg!91] a morte. Quei molti nemici che non avevano cessato di scagliare contro di lui accuse e calunnie furono condannati semplicemente all'esiglio, ciò che dà occasione a Libanio di esaltare la clemenza di Giuliano che li ha risparmiati e si è accontentato di mandarli a vivere nelle isole, dove «aggirandosi solitari avranno imparato a trattenere la lingua»122.
Ma, se tali rappresaglie, per quanto giustificate, in parte dai costumi del tempo, e in parte anche dagli spiegabili risentimenti di Giuliano, così ferocemente combattuto in tutta la sua vita, non son certo a lodarsi, e se decisamente riprovevole fu la condanna di Ursulo, pare, invece, degna di encomio la prontezza con cui ha ripulito la Corte di Costantinopoli delle turbe di parassiti che vi vivevano con lauti stipendi ed ammucchiavano ricchezze scelleratamente guadagnate123. Ammiano, che non risparmia i rimproveri al suo eroe, osserva che è stato troppo precipitoso in quest'opera di risanamento e che non ha mostrato lo spirito indagatore e prudente del filosofo. Ma la pittura ch'egli fa della corruzione della Corte di Costanzo può giustificare la radicale epurazione compiuta da Giuliano. Tale epurazione è considerata da Libanio come uno degli atti più lodevoli di Giuliano. La descrizione che il retore d'Antiochia tratteggia della Corte di Costanzo è ancor più spaventosa di quella di Ammiano. «Vi si vedeva una folla oziosa, sfacciatamente mantenuta, mille cuochi, in numero non minore i barbieri, ancor più numerosi i coppieri, sciami di scalchi, di eunuchi, più fitti delle mosche sugli armenti [pg!92] in primavera, e innumerevoli vespe d'ogni specie. E ciò s'intende, perchè per gli oziosi e pei ghiottoni non v'era rifugio tanto sicuro come l'esser iscritti fra i servitori dell'imperatore»124. E tutta questa turba viveva e prosperava di prepotenze e di eccessi125.
Finalmente Giuliano potè dare esecuzione al voto più ardente del suo cuore, a quel voto che era il segreto movente d'ogni sua azione. «Venuto il tempo di far ciò che voleva, rivelò gli arcani del suo petto, e, con decreto esplicito ed assoluto, stabilì che si aprissero i templi, che si presentassero le vittime agli altari, e si restaurasse il culto degli dei. E, per rendere più efficaci queste disposizioni, chiamava alla reggia i vescovi dissidenti dei Cristiani, con le loro plebi, e cortesemente li ammoniva che, sopite le discordie, ognuno, senza paura, servisse la propria religione. Giuliano ciò faceva nella convinzione che la licenza avrebbe aumentate le discordie, e così egli non avrebbe avuto, più tardi, a temere una plebe unanime contro di lui. Sapeva, per esperienza, che non vi sono belve tanto feroci contro gli uomini, quanto lo sono i Cristiani fra di loro»126. Ritorneremo, più [pg!93] avanti, su questo atto tanto curioso per un imperatore che voleva restaurare il paganesimo. Ora, seguiamolo nella sua vita politica.
Con la sua mirabile attività, Giuliano, nei mesi di sua dimora a Costantinopoli, attendeva all'amministrazione della giustizia e non trascurava le cose militari, munendo di opportune difese e di validi presidii il corso del Danubio, contro i possibili attacchi dei Goti. Lo consigliavano alcuni a tentare un'impresa contro questi barbari, così da debellarli per sempre. Ma egli diceva di voler nemici migliori, ed era, come or vedremo, guidato da un pregiudizio che lo doveva condurre alla rovina.
Intanto la fama della sua potenza e della sua saggezza si spandeva per tutto il mondo, ed a lui giungevano ambascerie dalle più lontane regioni, dall'India e dal misterioso Oriente, dal Settentrione e dalle regioni del Sole apportatrici di omaggi e doni, chiedenti pace ed amicizia127.
Ma Giuliano non era uomo da vivere contento e tranquillo in una così grande fortuna. Egli sognava ardue imprese e gloria. Erano, come già vedemmo, due uomini in lui, il pensatore e l'uomo d'azione, i quali portavano, nell'esercizio delle loro facoltà, la medesima irrequietudine e la medesima intensità di vita. Il pensiero di risollevare l'Ellenismo, oggetto del suo più vivo affetto, non bastava a riempire la sua esistenza. Il soldato, il capitano volevano la loro parte, e lo spingevano a qualche grande impresa. Ora, Giuliano era uomo del suo tempo, e partecipava