Il lampionaio. Maria S. Cummins

Il lampionaio - Maria S. Cummins


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su lei, la pigliò per le spalle, aperse l'uscio di strada e la spinse sul marciapiede dicendo:

      — Fuori, spirito maligno, e guai a te s'io veggo la tua ombra sulla soglia della mia casa! —

      Poi rientrò a precipizio abbandonando l'orfanella sola in mezzo alla notte fredda e buia.

      Quando Gertrude era adirata o afflitta piangeva forte, ma di rado singhiozzava come gli altri bambini; invece emetteva a brevi intervalli strilli acutissimi fino a rimanere qualche volta esausta di forze. Ella prese a strillare così, tosto che Annetta Grant l'ebbe lasciata là sulla strada; ma non già per la paura d'essere irremissibilmente espulsa dal suo unico ricovero e di doversene andare, sola sola e di notte, errando per la città, a rischio di cadere assiderata, innanzi l'alba, con quel gran freddo: no, non pensava affatto a sè stessa. L'orrore e il dolore della tragica morte inflitta all'unico essere ch'ella amasse al mondo empivano tutta la sua piccola anima. Ella s'accosciò contro il muro della casa, e si coperse la faccia con le mani, inconsapevole del chiasso che faceva, e del trionfo di quella monellaccia che le aveva un giorno tratto le scarpe dai piedi, e che ora stava spiandola dall'uscio dirimpetto. D'improvviso si sentì sollevare da terra, e si trovò seduta su una delle traverse della scala di True appoggiata ancora sotto il lampione. Il buon uomo che, reggendola saldamente, l'aveva collocata giusto tant'alto da trovarsi con lei a viso a viso, riconobbe la sua piccola amica, e con la stessa benevolenza dell'altra volta le domandò che le fosse successo.

      Ma Gertrude, tutt'ansimante, potè rispondere soltanto:

      — Oh, il mio gattino! Il mio gattino!

      — Come? Il gattino ch'io ti diedi? L'hai smarrito?... Non piangere, via, non piangere.

      — Oh no, non l'ho smarrito!... Ah, povero micino mio! —

      E la bimba ruppe in un pianto più clamoroso che mai, tossendo nel medesimo tempo con tale violenza che il lampionaio ne fu spaventato. Egli si sforzò di calmarla, e riuscitovi in parte le disse:

      — A star qui fuori tu t'infreddi a morte.... Bisogna rientrare in casa....

      — Oh, non mi lascerà rientrare! — ella rispose. — E se anche volesse lei, non vorrei io....

      — Chi non ti lascerà rientrare?... Tua madre?

      — No.... Annetta Grant....

      — Chi è Annetta Grant?

      — Un'orrida, una perfida donna, che ha affogato il mio gattino nell'acqua bollente!

      — Ma la tua mamma dov'è?

      — Io non ce l'ho, la mamma.

      — A chi appartieni tu, povera creatura?

      — A nessuno, e nessuna casa è la mia.

      — Con chi vivi dunque? Chi ha cura di te?

      — Vivevo finora con Annetta Grant, ma è troppo cattiva, e io l'odio.... Le ho scagliato dianzi un pezzo di legno nella testa.... Magari l'avessi accoppata, l'avessi....

      — Zitta, zitta! Non devi dire di coteste cose.... Ora vo a parlarle io.... —

      True mosse verso l'uscio della casa cercando di tirarsi dietro Gertrude; ma questa resisteva così energicamente ch'egli la lasciò fuori. Andò difilato nella stanza dove Annetta stava fasciandosi la testa con un vecchio fazzoletto, e senza preamboli le disse che doveva richiamar dentro la bambina perchè lasciandola in istrada rischiava di farla morire assiderata.

      — Non è mia, — rispose la donna — e qui c'è rimasta abbastanza. Non esiste al mondo una creatura malvagia come quella: mi maraviglio io stessa d'aver trovato la pazienza di tenerla tanto tempo. Spero che non mi venga mai più sotto gli occhi, o per meglio dire non voglio. M'ha rotto la testa.... meriterebbe d'essere impiccata, meriterebbe! Se mai qualcuno ha avuto in corpo uno spirito maligno è di certo lei!

      — Ma che sarà della povera piccina? — insistette il buon True. — La notte è fredda, terribilmente.... Che vi sentireste in cuore se domattina la trovassero morta gelata sulla soglia della vostra casa?

      — Che mi sentirei? È forse cosa che vi riguardi? Incaricatevi piuttosto di lei voi stesso. Tanto scalpore menate per quell'insettucciaccio? Portatevela a casa e provatela un po'.... È la seconda volta che venite a parlarmene, e basta.... non voglio ascoltare una parola di più. Ci pensi qualcun altro, oramai; io per me n'ho avuto più che la mia parte.... Quanto al rischiare che muoia gelata o non gelata, lo rischierò.... Eh, i bambini ch'entrano nel mondo di soppiatto sono i meno pronti ad uscirne! Quella lì appartiene al comune. Se ne occupi chi deve. E voi andatevene per i fatti vostri e non v'immischiate in quello che non vi concerne. —

      True non se lo fece ripetere. Egli non era uso a trattare con donne, e nulla gli pareva più formidabile d'una femmina irata. Ora gli occhi fiammeggianti e il minaccioso atteggiamento d'Annetta erano forieri d'una tale tempesta che il buon uomo s'affrettò saviamente a ritirarsi prima che scoppiasse sul suo capo.

      Gertrude, la quale aveva intanto cessato di piangere, gli alzò gli occhi in faccia con curiosità ansiosa.

      — Ebbene, — egli disse — non vuol riprenderti.

      — Oh, che piacere! — ella esclamò ingenuamente.

      — Sì, ma dove andrai?

      — Non so.... Forse con voi, a veder accendere i lampioni.

      — E dove dormirai stanotte?

      — Non so.... Io, non ho casa. Bisognerà che dorma fuori, ma così avrò il lume delle stelle. Non posso soffrire l'oscurità, io.... Sarà freddò però, non è vero?

      — Corbezzoli! Freddo da morirne, bambina....

      — E allora che succederà di me?

      — Dio soltanto potrebbe dirlo! —

      Il lampionaio guardò Gertrude, tutto perplesso ed angustiato. Egli, punto pratico di bambini, stupiva della sua semplicità. Lasciarla lì, esposta, al rigore di quella gelida notte, non poteva; e dall'altro canto non sapeva come se la sarebbe cavata se l'avesse portata a casa sua, perchè viveva solo ed era povero. Ma un altro violento insulto di tosse da cui fu còlta lo fece risolvere a un tratto di dividere con lei il suo ricovero, il suo fuoco e il suo pane, per una notte almeno. La prese per mano e disse:

      — Vieni con me. —

      Gertrude si mise a correre al suo fianco, fiduciosa, senza domandare dove la conducesse.

      True doveva accendere ancora una dozzina di lampioni prima di giungere all'estremità della strada dove il suo giro finiva. La bambina stette a contemplare l'accensione di ciascuna fiammella con un piacere altrettanto vivo e schietto che se si fosse trovata in compagnia del lampionaio unicamente per questo. Appena quando, svoltato il canto, ebbero camminato un pezzo senza fermarsi, domandò:

      — E ora dove si va?

      — A casa, — rispose True.

      — A casa vostra? Anch'io?

      — Sicuro. Eccoci arrivati. —

      Egli aperse una porticina che metteva in una stretta corticella estesa per tutta la lunghezza d'una decente casa di due piani, dove abitava nella parte posteriore. Attraversarono la corte, passarono davanti a parecchie finestre e all'ingresso principale, ed entrarono da un piccolo uscio sul di dietro. Gertrude tremava dal freddo. Aveva i piedini tutti azzurrognoli a forza di camminare scalza sul lastrico diaccio. V'era una stufa, nella camera in cui erano entrati, ma senza fuoco. La camera era spaziosa e abbastanza ben fornita, ma tenuta male. Il lampionaio s'affrettò a deporre in uno sgabuzzino adiacente la scala portatile, l'accenditoio e il resto, poi tornò con un fastelletto di legna ed accese la stufa. In pochi minuti un'allegra fiammata brillando e scoppiettando diffuse intorno un gradevole tepore. Egli trasse accanto al fuoco un antico seggiolone di legno, vi stese sopra il suo grosso e peloso gabbano che lo trasformò in una comoda poltrona, e sollevata delicatamente la bimba ve la pose a sedere. Dopo di che, allestì la cena. True era un vecchio scapolo uso a farsi ogni cosa da solo. Preparò il tè, poi mesciutolo


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