Vita di Guarino Veronese. Remigio Sabbadini

Vita di Guarino Veronese - Remigio Sabbadini


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di quegli anni governata dallo Zane e che Guarino lo seguisse come segretario.

      26. Frutto degli studi di Guarino in Costantinopoli furono alcune epistole in verso e in prosa e qualche traduzione dal greco 9 come la Vita di Alessandro di Plutarco e la Calunnia di Luciano. La Calunnia fu da lui mandata da Costantinopoli al patrizio veneziano Giovanni Quirini. Tra le famiglie veneziane con cui era in intima relazione va ricordata quella dei Barbaro, che ebbe poi tanta parte nelle vicende della sua vita. Prima di partire per Costantinopoli aveva conosciuto i fratelli Zaccaria e Francesco, quest'ultimo fanciulletto ancora e che fu più tardi uno dei suoi più illustri scolari. Nel 1408 Francesco aveva manifestato il desiderio di percorrere la via degli studi; era da poco venuto a Padova Gasparino Barzizza, il Nestore dei maestri di quel tempo, e il Barbaro si preparava a frequentare la sua scuola. In Venezia però, dove si aveva più fiducia nel traffico che nella letteratura, il Barbaro veniva censurato, anzi beffato della sua risoluzione. Egli si difendeva mettendo innanzi l'esempio di Guarino e a lui scrisse dimandandogli un consiglio.

      27. Guarino gli rispose incoraggiandolo a secondare imperterrito la propria vocazione e a non curarsi dei sarcasmi della gente profana e dedita all'interesse materiale: «essere le ricchezze un possesso labile, sola la cultura non andar soggetta a perdersi; che il solo vero bene è la virtù e che il sapiente è il re dell'universo». La lettera è infiorata di citazioni da Cicerone, Vergilio, Ovidio, Esiodo, Plutarco. Nello stile molto impacciato si nota un abuso di metafore. La conclusione è che egli anela il momento di abbracciare e baciare il suo Francesco e che tra poco tornerà sano e salvo, ma con la borsa vuota: spera in lui e negli amici per trovare una occupazione da campar la vita.

      28. Nel 1408 dunque Guarino tornò da Costantinopoli. Ma la trovò l'occupazione desiderata? Forse egli contava di trovarla in Venezia, ma s'ingannò. Qualche mese si sarà ivi fermato e non più; nel 1409 egli era in Verona sua patria, dove recitò il discorso di congedo per il podestà Zaccaria Trevisan. Però nemmeno a Verona si poté collocare; e allora tentò una nuova via: andò a Bologna. A Bologna risiedeva la curia pontificia: chissà che non l'attendesse colà la sua fortuna? Vi arrivò nel febbraio del 1410.

      29. Vi arrivò in compagnia di due greci: Demetrio e Giovanni. Demetrio è quel Cidonio, che accompagnò sempre il Crisolora e che forse il Crisolora nel partire il 1408 per la Francia aveva lasciato a Venezia, con l'ordine di attenderlo colà o altrove. Chi fosse Giovanni, il cavaliere greco, non so: pare che dovesse portar dei libri e invece non portò che le sue vesti alla foggia greca, bizzarre, da quanto sembra, e che eccitavano l'ilarità nella moltitudine e nella curia.

      30. La curia raccoglieva in quel tempo i migliori elementi della classe letterata d'Italia. Non vi si trovavano più i tre Veneti Zaccaria Trevisan, Marino Caravello e Pietro Miani, ma c'erano il Rustici e Bartolomeo da Montepulciano. C'era Bartolomeo della Capra, cremonese, vescovo allora della sua città, poi di Pavia e da ultimo arcivescovo di Milano, buono scopritore di codici; c'era Antonio Loschi, già famoso umanista; c'era lo Zabarella, arcivescovo e poi cardinale di Firenze, valente maestro e cultore di filosofia. Ma i due più belli ornamenti della curia erano certo il Poggio, sempre sbadato e distratto, a cui gli ozi di Costanza riserbavano così splendida fama, e il Bruni, che sino allora aveva sviluppata la sua operosità specialmente nella filosofia e nelle traduzioni dal greco.

      31. In mezzo a questa gaia e colta società entra, novello ancora, Guarino, quantunque non per tutti novello; qualcuno era sua vecchia conoscenza dei tempi che era stato scolaro in Padova, come lo Zabarella. E poi lo precedeva una valida raccomandazione, l'essere stato alunno del Crisolora in Costantinopoli. Al Bruni fece sopra tutti ottima impressione ed egli ce lo presenta senz'altro come giovane dottissimo. Così Guarino potè stringere sin d'allora con gli umanisti della curia quell'amichevole relazione, che crebbe poi negli anni successivi per reciproca stima e scambio di lavoro letterario.

      32. Al Bruni venne subito in mente che Guarino sarebbe stato un ottimo acquisto per lo Studio fiorentino e infatti ne scrisse al Niccoli facendogliene la proposta. La proposta fu subito accettata, perchè dopo non molti giorni il Bruni riscriveva al Niccoli annunziandogli prossima la venuta di Guarino a Firenze.

       Indice

      33. Guarino pertanto nel marzo 1410 andò a Firenze, dove iniziò la sua lunga e famosa carriera didattica. Ivi trovò buona accoglienza e schietti amici e valenti scolari. Antonio Corbinelli gli offrì la propria casa, nella quale Guarino divise col suo ospite liberale «gli studi, i pensieri, il vitto, il sonno, i discorsi». Un amico sincero ebbe nell'«ottimo e generoso» Palla Strozzi, con cui lavorava in comune. Era in buoni rapporti con Angelo Corbinelli, «esemplare come uomo di stato e come educatore dei propri figliuoli;» con Paolo Fortini cancelliere della repubblica; con Roberto Rossi traduttore di Aristotele; con Antonio Aretino già magistrato a Vicenza, con Biagio dei Guasconi, con Girolamo Barbadoro, con la famiglia Boninsegni, col monaco Ambrogio Camaldolese. Tra i suoi migliori scolari di Firenze vanno ricordati i due Corbinelli e Giovanni Toscanella.

       34. Oltre di questi amici c'erano in Firenze alcuni veronesi, come Luigi Cattaneo, che fu in Firenze giudice della mercanzia nel 1411, e il Giuliari, suo segretario. Nella metà poi del 1413 la vita letteraria a Firenze si dovette maggiormente animare per la presenza della corte di Giovanni XXIII; sebbene egli non potesse entrare in città, dove entrarono però quelli del suo seguito. Qui rivide Guarino tutti gli amici che aveva imparato a conoscere in Bologna e rivide anche il venerato suo maestro Crisolora.

      35. Con la società letteraria del resto che si raccoglieva intorno al pontefice negli anni che la curia stette a Roma (1411-1413) Guarino era da Firenze in continua corrispondenza, specialmente col Crisolora. Il Crisolora, venuto la prima volta a Roma con Giovanni XXIII nel giugno del 1411, rimasto ammirato della grande metropoli dell'Occidente, approfittando dei suoi ozi scrisse una dissertazione dove mise Roma a raffronto con Costantinopoli, la grande metropoli dell'Oriente, e ne mandò una copia a Guarino. Guarino gli rispose ringraziandolo e facendo le sue lodi.

      36. Oltre che con la società letteraria a Roma, Guarino entrò per mezzo di un suo vecchio amico in relazione con quella di Rimini, che metteva capo al marchese Carlo Malatesta, «eroe della penna e della spada»; con lui Guarino avviò scambio di libri.

      37. Ma molto più vivi sono i rapporti di Guarino coi tre centri letterari del Veneto: Verona, Padova, Venezia. I due veronesi Guglielmo della Pigna e Luigi Cattaneo lo tenevano in relazione con la società di Verona. Il Cattaneo studiava legge a Padova. A Padova regnavano allora Gasparino Barzizza bergamasco e un condiscepolo di Guarino, Ogniben Scola padovano, intorno ai quali si raccoglieva tutta l'attività letteraria. Lo Scola specialmente era di una grande versatilità e, si direbbe, elasticità. Corrispondeva col Bruni e con lo Zabarella, che erano presso la curia papale, e con Antonio Capodiferro; coi veronesi Giovanni Nogarola, Paolo Maffei, Luigi Cattaneo, il Giuliari; coi veneziani Giovanni Micheli, Niccolò Contarini, Marco Lippomano, Pietro Donati, allora (1412) protonotario e più tardi arcivescovo di Creta, e coi due Barbaro, Francesco e Ermolao, zio e nipote: Francesco giovinetto di ottime speranze, Ermolao poco più che bambino d'ingegno precoce.

      38. Con questa società gaia, mobile, studiosa aveva strettissimi legami Guarino. Erano suoi amici tutti, che aveva avuto occasione di conoscere o a Venezia o a Padova prima di andare a Costantinopoli o nel ritorno; alcuni erano suoi confidenti, il protonotario Donati e i fratelli portoghesi Alfonso e Valesio, alunni del Barzizza. Ed egli si piace di rappresentare umoristicamente quella società padovana. «Ai pranzi di Pietro Donati non s'imbandisce Cicerone, Fabio e Macrobio, ma Alessandro, Perdicca e i sacerdoti Galli. A Padova si adora per patrono il dio Bacco, a cui si fa festa tutti i giorni. E gli iniziati del dio cominciano sin dal mattino a chiamare a raccolta con certe facce rubiconde, con certi nasi maestosi e bitorzoluti, con certi occhi lagrimosi! Ivi mattina giorno e sera sempre orgia. Altro che il ginnasio di Socrate e l'accademia di Platone! in illis namque disputari solitum aiunt, in his vero nostris dispotari, immo trispotari quaterque potari frequens patriae mos est.... Academici de uno, de vero, de motu disserunt, hi nostri de vino, de mero, de potu dispotant.

      39. Questa società però attraversò un brutto momento. Negli


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