Vita di Guarino Veronese. Remigio Sabbadini

Vita di Guarino Veronese - Remigio Sabbadini


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ai bambini, i quali amano i giochi (ludus).» Risata generale. Intanto il Giuliani cavò di tasca un Persio e cominciò a leggere la sat. II: hunc, Macrine, diem numera meliore lapillo.» «Che significa numerare meliore lapillo»? domandò il Giustinian al maestro. E quegli franco soggiunse esser nato dal costume antico di contare i giorni con le pietre; perciò Persio inculca a Macrino di contare esattamente i suoi giorni, ma con una pietra di valore, p. e. con del marmo. Altra risata generale. E con queste corbellerie compirono la traversata, che non se ne accorsero nemmeno.

      61. Nulla di importante avvenne nel primo anno che Guarino fu a Venezia, se ne eccettui l'arrivo nel gennaio 1415 dell'amico Valerio Floro dalla Grecia, che si recava ambasciatore alla repubblica e di là al papa a Costanza. Il Floro, a cui Guarino dedicò il trattatello sui Dittonghi, gli era legato d'amicizia da parecchio tempo, come pure Cristoforo vicentino, al quale Guarino partecipa la fausta novella dell'arrivo del Floro. Per mezzo poi dello stesso Cristoforo abbiamo occasione di vedere come erano sempre vive le relazioni di Guarino con Antonio Loschi tornato di fresco (verso la metà del 1415) da Costanza a Vicenza, dove si godette sei anni di tranquillità, aspettando per il papato tempi migliori.

      62. Ma ecco da Costanza giungere e propagarsi per tutta Italia una triste notizia: il 15 aprile 1415 era morto colà Manuele Crisolora. Fu un colpo terribile per Guarino, il suo più entusiastico ammiratore. Il primo pensiero che gli corse alla mente fu di tessergli un elogio, che fosse un monumento di gratitudine e di affetto; ma lo stordimento per la sventura e l'altezza del tema ne lo distolsero. Da Costanza lo aveva a ciò eccitato il Vergerio, ma gli risponde che le sue spalle non reggerebbero al peso e addita piuttosto il Vergerio stesso come adatto più di ogni altro all'impresa. Il Rustici e il Poggio si erano pure proposti di dirne le lodi, ma non ne fecero poi nulla; e il Crisolora restò senza l'elogio di qualcuno dei suoi scolari ed amici: meno fortunato in questo di tanti che lo precedettero e che lo seguirono.

      63. Però se tacquero gli scolari del Crisolora, parlò uno scolaro di Guarino. Guarino infatti verso il luglio dello stesso anno (1415) preparò una solenne commemorazione del Crisolora, affidando l'incarico del discorso d'occasione al patrizio Andrea Giuliani. Il Giuliani non fece un quadro biografico del Crisolora, ma ne tessè le lodi, tenendosi sulle generali e tributando ardente e viva ammirazione all'illustre defunto.

      64. Il Barzizza da Padova lodò l'oratore, «che risuscitava i bei tempi dell'eloquenza antica». Guarino poi disseminò in un momento l'orazione del Giuliani, encomiandola altamente. Ne parlò nella lunga lettera consolatoria a Giovanni Crisolora, nipote del morto, ne parlò nella lettera a Giacomo Fabris giureconsulto veronese, la mandò agli amici di Costanza e di Ferrara. A Verona la portò egli stesso verso la fine del 1415 e in quell'occasione si parlò del Crisolora nel crocchio degli amici, quale Niccolò Brenzoni, l'abate di S. Zeno, il Salerno, il della Pigna; tra essi il Fabris aveva conosciuto il Crisolora, anzi aveva avuto l'onore di ospitarlo in casa propria. E con l'orazione del Giuliani lessero a Verona pure la lettera consolatoria di Guarino a Giovanni Crisolora; e i due scritti riscossero i più sinceri applausi: applausi tanto più vivi, quanto che il Giuliani era a Verona conosciuto ed amato e già si era letto il giudizio dato sul suo discorso dal Barzizza, la maggior autorità letteraria di quel tempo. Gli amici veronesi avevano poi un'altra ragione di congratularsi col Giuliani, perchè egli in quei giorni era passato a seconde nozze con una ricca e virtuosa signorina veneziana.

      65. Guarino in quel suo giro del 1415 toccò Padova, dove s'incontrò con alcuni del circolo letterato ferrarese, seppure non prolungò il viaggio fin proprio a Ferrara. Le relazioni tra Ferrara e Venezia erano molto amichevoli. Era marchese allora di Ferrara Niccolò d'Este, fautore dei buoni studi, il quale veniva di quando in quando a Venezia per assistere alle feste pubbliche e ai tornei; e c'era stato giusto di fresco nell'aprile del 1415 accompagnato dal suo aiutante Uguccione dei Contrari e forse anche dal cavaliere Alberto della Sale suo condottiero. In quella e in altre occasioni Guarino potè incontrarsi con quei signori, qualcuno dei quali era anche dilettante di letteratura, come il cavaliere della Sale.

      66. Negli ultimi anni del secolo XIV le condizioni della cultura in Ferrara non erano troppo floride, giacchè il Vergerio non conosceva che un nome che in quel tempo (1392) facesse onore agli studi, Bartolomeo da Saliceto. Le condizioni si migliorarono certo con la riapertura dello Studio nel 1402. Negli anni 1411 e 1412 fece capolino a Ferrara il Barzizza, che aveva mandato colà la numerosa sua famiglia, sia perchè a Padova il vitto costava troppo caro, sia perchè l'invasione degli Ungheri aveva portato lo scompiglio nelle città del Veneto. In quelle visite il Barzizza conobbe molti personaggi della corte e pare che ne abbia ricevuta buona impressione. Viveva ancora, ma decrepito, Donato degli Albanzani, già segretario degli Estensi e istitutore di Niccolò III. Vi era il suo amico Lodovico conte di S. Bonifacio, studioso dei classici latini e specialmente dei moralisti; vi conobbe Uguccione dei Contrari e strinse relazione con Bartolomeo Mella, referendario del marchese.

      67. Che qualche traccia non lasci il contatto, sia pur passeggiero, di un umanista come il Barzizza, non si può negare; perchè un certo impulso vien sempre dato, il quale si alimenta poi con la corrispondenza epistolare. Ma più che il Barzizza lasciò traccia la corrispondenza epistolare e la relazione personale di Guarino. Giacomo Zilioli, che fu più tardi consigliere intimo del marchese, deve certo a Guarino, se divenne liberal mecenate degli studiosi. E col giurista Niccolò Pirondoli e specialmente col medico Ugo Mazzolati avviò Guarino viva corrispondenza, che giovò moltissimo a promuovere gli studi in Ferrara.

      68. Col mezzo di comuni amici che andavano e venivano da Ferrara, come Francesco Bracco, i Ferraresi erano messi a parte delle produzioni letterarie che uscivano in Venezia. Così l'orazione del Giuliani e le lettere di Guarino sulla morte del Crisolora e il De re uxoria del Barbaro furono a suo tempo trasmesse a Ferrara. Così Ugo Mazzolati riceveva le versioni da Plutarco di Guarino e da lui si faceva emendar codici. Ugo pose tale affetto a Guarino, gli pose tale stima, che lo chiamava padre e si affliggeva se da lui non ricevesse almeno una lettera al mese. A Ferrara godeva la stima di Guarino un altro medico, Bartolomeo Mainenti; e ivi si trovò per qualche anno il grammatico Cristoforo Parma, amico del Mazzolati.

      69. Mentre Guarino moltiplicava e intrecciava così la sua attività e le sue relazioni con Padova, Costanza, Vicenza, Verona, Ferrara, ferveva il lavoro e l'operosità nella sua scuola a Venezia, dove i suoi alunni facevano rapidi progressi e producevano ottimi frutti. Abbiamo parlato dell'orazione funebre del Giuliani; nè fu la sola, perchè egli ne compose un'altra in morte dello zio Paolo. Nel testamento però lo zio aveva vietato qualunque pompa funebre e l'orazione non fu recitata; il che non impedì a Guarino di pubblicarla all'insaputa dell'autore mentre era a Costanza. Nel 1418 il Giustinian recitò l'orazione funebre per Carlo Zen; due orazioni, l'una funebre in morte del diletto Corradini, rapito nel fior dell'età all'affetto degli amici, l'altra per la laurea del Perugino Guidaloti, avea pronunziate il Barbaro nel 1416 a Padova. Il Barbaro levò assai più rumore per un altro lavoro, il De re uxoria, uscito verso il maggio del 1416 e dedicato all'amico Lorenzo dei Medici in occasione delle sue nozze.

      70. Questo opuscolo morale, scritto in venticinque giorni, tratta delle principali questioni attinenti al matrimonio: della sua essenza, della economia domestica, del coito, dell'allevamento dei figli. Si intende da sè che le massime non sono attinte alla pratica, ma all'erudizione del suo precettore; però un elemento pratico c'era, quello attinto al senno e all'esperienza di Zaccaria Trevisan, morto tre anni innanzi, uomo ascoltato sempre con affettuosa riverenza dal giovinetto Barbaro. In quel libro egli depositò tutta l'erudizione latina e greca, che aveva acquistato nei due anni di scuola di Guarino. Erano purtroppo lavori di semplice parata, condotti sugli esemplari classici, senza anima e senza sentimento, senza un alito di quella vita che allora viveano; la sola parte lodevole e durevole era l'acume dell'ingegno e la vivacità della forma.

      71. Il Barbaro fece nè più nè meno di quello che s'aspettava il Barzizza, gran fabbro di lettere esercitatorie e di orazioni accademiche. Il Barzizza infatti saputo della pubblicazione di quel trattato, ne scrisse al Barbaro domandandogliene una copia. «Attendo la tua Res uxoria, che sento aver tu pubblicato testè. E mi si dice anche che il lavoro risponda degnamente al tuo ingegno e ai tuoi studi. Non dubito punto che esso sia scritto con senno ed eleganza; giacchè l'avrai certamente infiorato in molti luoghi di sentenze latine e greche; ma desidero vederlo per poterlo giudicare più col mio


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