Augusto De Angelis: Tutti i Romanzi. Augusto De Angelis

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Crestansen mi dichiarò di non averne…

      — E allora? Che cosa pensava di fare, lei? Si sarebbe ancora affidato all’ispirazione del suo lobo frontale?

      — Ah!

      Lo guardava, scrutandolo. Non sapeva se fosse ironico.

      — Perché doveva tornare, stamattina?

      — Per portarmi qualche maggiore indicazione. Diceva che avrebbe veduto un suo amico, il quale forse ne sapeva di più sul conto di questo O’Brien…

      — Giobbe Tuama?

      — Può darsi.

      — Lei sa quando Crestansen si sia incontrato con Tuama?

      — Credo ieri alla Fiera…

      — Come fa a crederlo?

      — È una supposizione. Venerdì sera, Crestansen volle che lo facessi accompagnare da uno dei miei uomini in via Bramante. Non trovarono Tuama. La portinaia disse che sarebbe tornato assai tardi alla sera… Lo attesero fino alla mezzanotte inutilmente… Alle sette del mattino, il mio uomo era al portone di via Bramante. Crestansen gli aveva dato incarico di assicurarsi che Tuama si trovasse a casa e di avvertirlo per telefono. Sarebbe accorso subito. Ebbene, il vecchio quella notte non rincasò. La portinaia stessa ne fu meravigliata. Era la prima volta che accadeva. Allora, il mio impiegato cercò d’informarsi alla Chiesa Evangelica di Piazza Mentana. Sapevamo che quel Tuama faceva parte del Consiglio della Chiesa… Lì seppe che a mezzogiorno il vecchio si sarebbe trovato in Piazza Mercanti per vendere le Bibbie alla Fiera… Ecco tutto. Poiché diedi io stesso l’informazione a Crestansen, ne deduco che si sieno incontrati alla Fiera…

      — Dunque, lei vide l’americano anche ieri?

      — Sì. Verso le undici. Era furibondo, perché non poteva metter la mano sopra Shanahan, come diceva lui… Manifestò la convinzione che il vecchio si nascondesse, per sfuggirgli… Ma poi la trovò lui stesso ridicola. Tuama non poteva umanamente sapere che lui fosse a Milano…

      De Vincenzi si alzò.

      — Trattengo queste lettere e la fotografia. Anzi, sarà bene che lei mi consegni tutta la pratica. Gliene rilascerò ricevuta.

      Il detective non fece obiezioni. Oramai, bene o male aveva vuotato il sacco e quelle carte non significavano più nulla per lui: il cliente era morto! Consegnò la cartella rossa con un sospiro.

      — Il mio praticario avrà un vuoto!

      De Vincenzi diede un’occhiata al casellario. L’Agenzia «Radio» era antica e lì dovevano trovarsi le pratiche di almeno vent’anni d’esercizio. Tutta dinamite. A gettar quelle carte per la strada, c’era da far saltare mezza città.

      — La saluto, signor Franceschi. Se avrò ancora bisogno di lei, la manderò a chiamare…

      Appena in Piazza Crispi, saltò in un tassì.

      — Via Bramante, 9.

      Poi mutò idea.

      — Fermate prima a San Fedele.

      In Questura, fece salire Cruni accanto a sé e l’auto partì.

      — Ha fatto colazione, cavaliere?

      — Non ancora…

      — Neppur io!… – sospirò il brigadiere. – Ci stavo andando…

      — Mangerai tra un’ora. C’è stato nulla di nuovo?

      — Quei tre che aspettano. Il Pastore ha anche protestato…

      — Che uomo è?

      — Un giovanotto, gliel’ho detto. Quando si è presentato, sembrava molto cortese… timido, persino… Ma poi…

      — Poi?

      — Uhm! aveva un certo sguardo! Gli occhi gli brillavano come due carboni accesi…

      — Come si chiama?

      Cruni fece un gesto.

      — Non gliel’ho chiesto. Lì in Chiesa tutti lo chiamavano il Pastore.

      De Vincenzi guardava la strada davanti a sé. Aveva fretta d’arrivare. In casa di Tuama, forse, avrebbe trovato qualche indizio. Cominciava a veder chiaro, del resto. Chiaro per modo di dire, s’intende. Tuama era stato trent’anni prima nel Sud Africa con Beniamino O’Garrich. Appartenevano alla medesima società per la ricerca e l’estrazione dei diamanti. Poi s’erano divisi. Come? Perché? C’era il fatto che Crestansen supponeva ricco il vecchio.

      Doveva commerciare in gioielli e in pietre preziose, aveva scritto… E anche Crestansen s’era trovato con Tuama, e quindi con O’Garrich, nel Sud Africa: la fotografia inviata lo dimostrava. Che cosa era avvenuto laggiù? Avevano compiuto un grosso furto assieme? Complici tutti e tre? O che altro?

      E Beniamino s’era ritrovato in Italia con Tuama. A Milano. E vendevano le Bibbie assieme.

      Un giorno – il sabato, ieri – compariva improvvisamente Crestansen. E quella stessa notte Tuama veniva strangolato e Crestansen ucciso con uno spillone nel cuore.

      Poteva esser stato Beniamino O’Garrich? A strangolare il vecchio era ancora possibile; ma a uccidere Crestansen, no. L’americano era stato ucciso all’Hôtel d’Inghilterra tra le dieci e le undici di sera e a quell’ora Beniamino si trovava in Piazza Mercanti, davanti al banco del Libro dei Libri, a raccoglier monete d’argento nel sacchetto dei poveri.

      E quell’altro Olivier O’Brien, che Crestansen voleva far cercare? Era lui il feroce giustiziere? Quale nome aveva dato che esistesse realmente?

      Tutto un romanzo! De Vincenzi avrebbe potuto far lavorare la sua fantasia come voleva. Non c’era nulla di sicuro, nessun indizio, neppure psicologico! Lui non aveva conosciuto né Giobbe Tuama, né Giorgio Crestansen. Aveva veduto i loro cadaveri e null’altro. Troppo e troppo poco…

      Una brutta storia. Sentiva che avrebbe dovuto rimestare il fango, tanto fango, prima di arrivare alla fine.

      Sospirò! Che mestiere il suo! E fatto come lui lo faceva, poi!

      L’auto s’era fermata. Cruni aveva aperto lo sportello. De Vincenzi diede un foglio da cinquanta al brigadiere.

      — Paga il tassì e aspettami sul portone. De Vincenzi entrò nel portone.

      Una casa popolare. Un grande cortile corso tutto d’attorno ai piani da ballatoi stretti, con le ringhiere di ferro. Panni tesi ad asciugare. Bambini mocciosi, seminudi, donne discinte. Un uomo in maniche di camicia a leggere il giornale.

      Aprì la porta a vetri della portineria. Un odore nauseante di zuppa al lardo e di cavoli. Una vecchia e un vecchio seduti davanti a due scodelle fumanti. I bicchieri pieni di vin rosso denso come mosto.

      — A che piano Giobbe Tuama?

      — Non è in casa…

      Ma la vecchia s’era alzata e lo guardava.

      — Potete dire a me. Gli riferirò. Se avete qualcosa da lasciare per lui…

      Un’abitudine. Quando il vecchio era assente, la portinaia riceveva i clienti. Forse, si raccomandavano a lei per il rinnovo di una cambiale, per ottenere un altro prestito. Questo qui, però, lo guardava con curiosità. Una faccia nuova.

      — Lo so che non è in casa. Che piano?

      — Ma se non c’è?

      — Non ci sarà mai più. È morto.

      Tolse di tasca il distintivo della polizia e glielo mostrò.

      La vecchia si mise a tremare.

      — Morto! E voi… e voi…

      Dovette sedere di nuovo, perché le gambe le si piegavano.

      Il marito continuava


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