Augusto De Angelis: Tutti i Romanzi. Augusto De Angelis

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che poi diede a Sani.

      Si avviarono.

      — Dì al giudice che mi occupo io anche di quest’altro assassinio… Gli farò sapere qualcosa domattina.. Tu provvedi poi pel trasporto del cadavere in via Ponzio… Quando avrai finito, vattene a colazione e poi torna a San Fedele. Non muoverti dall’ufficio. Nel caso abbia bisogno di te, ti telefonerò.

      Sani si fermò davanti all’ascensore.

      — Non vieni giù anche tu?

      — Sì, ma io faccio le scale. Va’ pure. A rivederci.

      — A rivederci – e Sani entrò nell’ascensore, che subito prese a discendere.

      De Vincenzi sostò a tutti i piani, per interrogare camerieri, cameriere, facchini. E, finalmente, trovò un indizio. Il cameriere del secondo piano, verso le undici della sera avanti, aveva veduto scendere dalle scale un uomo, il cui atteggiamento e soprattutto l’aspetto lo avevano colpito.

      Era vestito di nero e portava in testa un curioso cappello di paglia col nastro bianco e azzurro: una di quelle «pagliette», che si portano al mare o che mettono gli equipaggi di uno stesso club alle regate.

      L’uomo scendeva in fretta e, quando vide il cameriere, voltò il viso dall’altra parte, come se non volesse esser riconosciuto, non tanto presto però che il cameriere non vedesse una lunga barba bionda e gli occhiali di tartaruga.

      De Vincenzi interrogò lungamente quel testimonio prezioso, per strappargli qualche altro connotato, ma ottenne soltanto di sapere che l’individuo sospetto era alto e forse sottile. Lo aveva veduto troppo poco e troppo rapidamente, per aver notato altro e per esser sicuro di nulla. Poteva anche darsi che non fosse alto e che non fosse sottile. Di sicuro non c’erano che la barba e gli occhiali. E niente impediva di supporre che la barba fosse finta.

      Con quel magro bottino d’informazioni e d’indizi e con la preziosa lettera in tasca, De Vincenzi uscì dall’Hôtel d’Inghilterra e si avviò verso via San Paolo, assieme a Kruger, che gli camminava silenzioso al fianco, recando in mano la valigetta delle sue polveri e dei suoi strumenti.

      — Prese le fotografie, Kruger?

      — Sì, cavaliere.

      — Ma impronte, niente!

      — Niente, ohimè!

      — I guanti di lana, eh, Kruger?

      — Un’idea mia!… Mi perdoni…

      — Anzi! È un’ottima idea. E i guanti di lana vanno magnificamente d’accordo con l’abito nero, col cappello di paglia e… con la barba bionda… Peccato che…

      — Che? – chiese il giovane con ansia, perché aveva una grande ammirazione per De Vincenzi e, quando si trovava con lui, cercava sempre di farlo parlare per trarne qualche insegnamento.

      — Che tutta quella roba sia proprio quanto l’assassino aveva interesse a mostrare, per apparire diverso di quello che è realmente.

      Erano arrivati davanti a un grande portone carrozzabile. De Vincenzi si fermò.

      — A rivederci, Kruger…

      — A rivederla, cavaliere. E… buona fortuna!

      — Non si dice buona fortuna a un cacciatore, Kruger! I cacciatori sono superstiziosi e vogliono sentirsi dire: in bocca al lupo! E io da questo momento mi sono messo a dar la caccia a una belva umana particolarmente pericolosa, giovane amico mio!…

      E scomparve sotto l’androne di quell’antico palazzo, in cui si trovavano gli uffici della «Radio», Agenzia di Polizia Privata specialmente raccomandabile per informazioni prematrimoniali e riservate.

      R

      Il male in tutte le sue forme

      Le rapide ricerche all’Agenzia «Radio» si svolsero sotto il segno della diffidenza.

      Generalmente, quando un detective privato italiano si trova a ricevere la visita di un funzionario di polizia, come primo movimento istintivo ha paura. Subito dopo diffida e si mostra il più vanamente verboso possibile o laconico come un ammalato di denti.

      De Vincenzi, ricevuto nell’anticamera da una specie di groom alto un metro e dieci centimetri, venne introdotto subito nell’ufficio del direttore-proprietario.

      — In che cosa posso esserle utile?… Tutto a sua disposizione! Vuol vedere i registri?

      Era un omaccione grosso e pesante, col volto glabro, rotondo, assai mobile. Parlava con enfasi, agitando la destra aperta sul tavolo, protesa in un gesto d’offerta.

      La parete dietro le sue spalle era completamente tappezzata di certificati, premi d’esposizioni, diplomi d’onore e di merito, inquadrati in cornici dorate. Sotto al vetro di alcuni di quei quadri si vedevano grosse medaglie di similoro, croci, nastri. Tutto l’armamentario di un Dulcamara da fiera.

      De Vincenzi trasse la lettera trovata nella valigia del morto e gliela porse.

      — Questa è stata scritta dalla sua agenzia?

      Subito l’uomo si mise sulla difensiva.

      — Faccia vedere… Mi sembra… Non saprei dirle.. Si è anche verificato lo spiacevole fatto che si sieno serviti della nostra carta intestata…

      Lesse la lettera e sembrò liberato da un peso.

      — Sì, certamente. Questa lettera è nostra. Un servizio fatto con ogni cura. Perfettamente regolare… Non vedo come mai si trovi nelle sue mani… Proprio l’altro ieri è venuto il cliente nei nostri uffici a ringraziarci…

      — Non si preoccupi. Nessuno ha nulla da rimproverarle… Ma desidero conoscere ogni particolare di questa pratica. E soprattutto quel che lei e i suoi uomini sono riusciti a sapere sul conto di questo Giobbe Tuama di cui si parla nella lettera…

      — Nulla di più facile! Il casellario delle mie pratiche è in perfetto ordine!… Sono felice di poterlo dimostrare a un eminente rappresentante della nostra Autorità costituita.

      Si alzò, andò a un vastissimo armadio a vetri e cominciò a cercare nelle caselle.

      — Tuama… Tuama… Al T nulla… Naturalmente! La pratica non può trovarsi che sotto il nome del cliente… Crestansen… Crestansen… Eccola qui!

      Tornò trionfalmente, tenendo una cartella rossa tra le mani. La depose sul tavolo e l’aprì.

      — Che le dicevo? Qui c’è tutto! Tutto!… Dunque, nel novembre del 1932, ricevemmo una lettera dall’America… La nostra Agenzia è conosciuta in tutto il mondo!… Ha corrispondenti dovunque. Se le dicessi che…

      — Non mi dica nulla e vada avanti!

      — Bene. Come vuole… Ecco la lettera che ricevemmo…

      E porse al commissario un foglio. Anche questo era scritto a macchina e in inglese. Conteneva poche righe. Giorgio Crestansen chiedeva notizie di certo Jeremiah Shanahan, irlandese, ch’egli riteneva stabilito a Milano. Secondo lui, Jeremiah era molto ricco e assai probabilmente commerciava in gioie e in pietre preziose. Univa un assegno di cento dollari per le prime spese.

      De Vincenzi non restituì il foglio e sollevò lo sguardo verso il detective privato.

      — Prosegua pure…

      L’uomo fissava il foglio, che il commissario teneva in mano. La diffidenza e lo spavento tornavano.

      Inghiottì la saliva e tentò sorridere.

      — Cento dollari non sono molti…

      — Prosegua, le dico! Non sono i cento dollari che m’interessano, né quelli che Giorgio Crestansen deve averle inviati in seguito…

      — Pochi,


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