Augusto De Angelis: Tutti i Romanzi. Augusto De Angelis

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corpo… Si faccia aiutare da un agente… Voi, Rossi… mettetevi a disposizione del dottore… E la prego, dottore, di spogliarlo e di farmi consegnare gli abiti, procurando che non cada nulla dalle tasche. Ma prima lo esamini bene. Veda se c’è stata lotta… e da quanto tempo lo hanno ucciso…»

      Il dottore volle aver l’aria di non essere alle prime armi e rispose, come per insegnargli qualcosa:

      «Approssimativamente, vuol dire. Nessuno può stabilire con esattezza da quanto tempo un uomo è morto. Oppure si potrebbe anche stabilirlo; ma con gli strumenti adatti e prendendo la temperatura dell’ambiente… E tutte queste cose qui mancano…»

      Intanto, s’era tolto il cappello e il pastrano e stava per dirigersi verso l’uscio indicatogli, quando da quello uscì il brigadiere Cruni. Aveva il volto soddisfatto. Con una strana intonazione di voce, come se volesse farsi sentire da tutti, disse:

      «Nulla, cavaliere! Il bagno è vuoto.»

      S’era guardato attorno e si avvicinò a De Vincenzi, facendogli un segno d’intelligenza.

      «Parla,» gli disse il commissario.

      Il brigadiere parlò a voce bassissima, quasi soffocata:

      «Guardi lei, di là… Il bagno è in disordine. Si direbbe che c’è stata una lotta. E per terra ho trovato questo…»

      De Vincenzi prese l’oggetto, che Cruni gli tendeva e l’osservò attentamente. Era una fialetta di profumo, d’oro, uno di quegli oggettini graziosi, che le signore portano nella borsetta. Tutta cesellata. La prese fra due dita e la sollevò contro luce per guardarvi attraverso. Mormorò:

      «Incolore…»

      Annusò e poi subito si volse:

      «Dottore!»

      «Dica…»

      «Guardi un po’…» e gli porse la fialetta.

      Il dottore l’osservò, la sturò e se l’accostò al naso.

      «Mandorle amare!… Dove l’ha trovata? Strano!…»

      «Strano, che cosa?»

      «Che possa aver trovata questa fiala altrove che al suo posto naturale!…»

      «E quale sarebbe, secondo lei, il… posto naturale di quella fiala?»

      «Un ospedale o una farmacia… Non credo di ingannarmi, dicendole che qui dentro c’è acido prussico…»

      E il giovane continuava a guardar la fiala.

      Maccari e De Vincenzi tacevano. Avevano sentito un brivido alla schiena.

      Eppure, il morto era stato ucciso con un colpo di rivoltella… Che cosa c’entrava, adesso, l’acido prussico?

      R

      Erano rimasti tutti e tre a guardare quella fialetta d’oro, che il dottore teneva tra le mani.

      Il primo a parlare fu il giovane medico, che vedeva in essa un mezzo di più, per dar peso alla propria opera.

      «Ad ogni modo» disse, mettendosela in tasca, «domani mattina le fornirò un rapporto esatto sul contenuto.»

      «Grazie!»

      Ma De Vincenzi aveva bisogno per qualche istante di raccogliere le idee, di concentrarsi, di fare il punto, soprattutto al proprio stato d’animo, perché sentiva di non avere ancora il cervello limpido e lo spirito sereno. Aveva l’impressione che tutti quei fatti e che persino gli oggetti materiali attorno a sé sfuggissero, divenissero evanescenti e, così evanescenti com’erano, si mettessero a danzare una folle danza, una sabba di spettri.

      «E adesso, dottore, vuol dare un’occhiata di là?…»

      La sua voce era gelida. Persino il dottore lo guardò meravigliato. Ma annuì col capo e si affrettò ad entrare nel salottino.

      Cruni tirò il commissario per la manica.

      «Vada anche lei di là, cavaliere!» gli mormorò, con accento quasi supplichevole, tanto in lui era forte il desiderio che il suo capo diretto vedesse quel che lui aveva visto e traesse quelle conclusioni, che a lui erano mancate.

      De Vincenzi, dopo un’esitazione, si decise. E i due seguirono il dottore.

      Maccari era rimasto solo. Pensava. E, secondo la sua abitudine, i suoi pensieri gli uscivano dalle labbra sotto forma di parole. Ma lui non parlava che per sé solo.

      «L’ho detto!… Per me siamo soltanto al principio…»

      Si sentiva sopraffatto. Una grande stanchezza lo aveva invaso. Sedette.

      «Domani mattina, a mia moglie ripeterò un’altra volta: mia cara, ancora tre anni, tre lunghi anni… e poi la pensione!… Ritirarmi!… E lei ciabatterà per la casa, borbottando: bella cosa, la pensione!… Per quel che ti daranno!…»

      Ma le idee gli si cambiavano ad ogni momento e il suo pensiero tornava sempre a quel dramma, che pure avrebbe voluto cancellare per sempre dalla memoria.

      «Odore di polvere da sparo… Una porta socchiusa… Nessuna effrazione e… un cadavere… La pensione!… E gli studi sul metodo… Il metodo!… Il ritratto parlato… I dati segnaletici… E tutta una quantità di gente, che ruba e ammazza e non sa neppure che queste cose avvengono!… Potermene non occupare neppure io!»

      Sussultò, perché il brigadiere Cruni ritornava, correndo.

      «Il telefono… Dov’è il telefono?»

      Maccari alzò la testa e lo guardò e dovette far passare qualche secondo prima di rispondergli, perché non riusciva a capire che cosa quelle parole significassero.

      «Oh! Sì… Eccolo lì… A destra… Nell’ingresso…»

      Cruni vi corse e si attaccò al ricevitore. Poco dopo parlava con un commissario di servizio in Questura e gli diceva che il commissario De Vincenzi si trovava in via Monforte, in casa del signor Aurigi, dove c’era un morto e quel morto era il banchiere Garlini. Dall’altra parte del filo il commissario di notturna lo ascoltava distrattamente, prendendo appunti. Finì col domandargli:

      «Ebbene?» con l’aria di volergli chiedere a che scopo raccontasse proprio a lui tutte quelle cose, se sul posto si trovava il suo collega De Vincenzi.

      R

      Ma Cruni non aveva finito.

      «Il dottor De Vincenzi dice che nel suo ufficio si trova in questo momento Giannetto Aurigi. Ce l’ha lasciato lui, raccomandando all’agente Paoli di non farlo andar via… Ecco, il commissario la prega di farlo accompagnare qui subito… Senta, cavaliere, dice il commissario di mandarlo qui con due agenti… No, no… Senza manette… Gli agenti debbono anzi far finta di nulla, e non dirgli neppure una parola del cadavere…»

      Nell’altra camera, Maccari lo aveva ascoltato. Quando lo vide tornare, gli chiese:

      «Giannetto Aurigi si trova in Questura?»

      «Già! Quando si dice, eh!, cavaliere…»

      Il commissario si voltò verso la porta del salottino sulla quale era riapparso De Vincenzi. Questi aveva un sorriso sarcastico sulle labbra ed esclamò, tra sé:

      «Voleva un bel delitto!»

      Ma subito, quasi per cancellare il suono di quella frase, chiese bruscamente a Maccari:

      «Sentivi il mistero, tu?»

      «Io? No. Sentivo di peggio: la tragedia!»

      «Perché dici tragedia?» chiese De Vincenzi, scrutandolo negli occhi.

      «Te ne accorgerai!…»

      Anche De Vincenzi,


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