Augusto De Angelis: Tutti i Romanzi. Augusto De Angelis

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ci fosse di mezzo Aurigi, col quale aveva studiato in collegio e che era un poeta anche lui… Ma tutto, tutto aveva vibrazioni strane.

      «E tu avevi Aurigi in Questura?»

      Fu quella domanda, che richiamò De Vincenzi alla realtà. Sorrise.

      Il caso!

      «È tuo amico, hai detto?»

      L’altro s’era di nuovo assorto. Mormorò:

      «Lascia andare! È terribile!…»

      Come se volesse scuotersi da quel torpore, da cui si sentiva invadere sempre più, si volse di scatto verso il brigadiere:

      «Subito! Svegliate i portinai e portatemeli qui… Avete telefonato a San Fedele?»

      «Signorsì, cavaliere. Lo conducono subito qui. Il cavaliere Boggi, che ha sostituito lei di notturna, dice che penserà lui a telefonare al Questore…»

      E il brigadiere, uscendo dal fondo, non sentì il commissario, che mormorava:

      «Il Questore!… Bah! Se ne parlerà domani mattina…»

      Adesso aveva bisogno di agire, voleva affrettarsi. Andò sull’uscio e chiamò il dottore. Questi era ancora chino sopra il cadavere, che aveva disteso sul divano. Si voltò, vide il commissario, diede un’altra occhiata all’uomo e poi tornò nel salotto, passandosi una palma contro l’altra, lentamente, col gesto di chi si asciuga le mani.

      «Lei vuol sapere da quanto tempo è morto, vero?…» Alzò le spalle e disse in fretta: «Cominciano a manifestarsi i primi segni di rigidità… Saranno due ore… due ore e mezza… Faccia lei…»

      «E gli abiti?»

      «Sono lì… Io non li ho frugati… Ma se permette, continuo…»

      E, senza aspettare la risposta, tornò nel salottino.

      Maccari, intanto, pur continuando ad abbottonarsi il pastrano, quasi volesse con quel gesto decidersi ad andarsene, a strapparsi di lì, si guardava attorno. Ad un tratto vide un oggetto luccicare presso il divano e si chinò a raccoglierlo. De Vincenzi lo osservava.

      Maccari, invece di mostrargli l’oggetto che aveva raccolto e che continuava a tenere tra le dita, gli chiese:

      «Di là… hai trovato qualche cosa?»

      L’altro, macchinalmente, trasse a metà dalla tasca una carta, che si affrettò a ricacciar dentro.

      «Sì… Qualche cosa… Proprio quello che occorreva per non farmici capire più nulla… E tu?»

      «Io?… Toh!»

      E gli porse quell’oggettino luccicante, con il quale adesso le sue dita grassocce stavano giuocando.

      Era un bastoncino di rosso per le labbra. Uno di quei tubetti preziosi, che le signore portano nella borsetta.

      De Vincenzi lo osservò, ma non fece commenti. In quel momento arrivava Cruni con il portinaio e la portinaia.

      Una strana coppia. Lei giovane, belloccia, con il petto opulento. Era evidente che aveva paura, ma era altrettanto evidente che un’irritazione sorda le agitava quel suo petto copioso. Lui era un esserino patito, timido, in preda ad un terrore illimitato.

      La donna parlò subito, senza freni, avanzandosi verso De Vincenzi, quasi avesse compreso che era a lui che bisognava rivolgersi.

      «Che c’è? Un furto, eh? Se hanno rubato, ve lo dico io chi è il ladro… Me lo aspettavo… E la colpa è sua… Di quest’imbecille… Chè la soffitta non doveva affittarla! Ma lui è di cuore tenero!»

      Indicava con la mano tesa il marito, che s’era messo a tremare e che balbettava:

      «Rosa! Rosetta! Che dici?… Aspetta a parlare… Non sai ancora nulla!»

      Preso da un improvviso scatto d’energia, l’omuncolo si voltò verso quei due uomini, che lo fissavano.

      «È vero, signori? Ancora noi non si sa nulla!… Perché ci abbiano svegliati… che cosa sia successo… Nulla di nulla!»

      De Vincenzi aveva ritrovato il suo sangue freddo. Era tornato ad essere il commissario di Pubblica Sicurezza e persino il tono della voce gli si era fatto diverso, quasi un po’ volgare, per quanto questo non fosse nelle sue abitudini, così sempre corretto e signorile com’era.

      «Dormivate, eh? La solita storia… Ma adesso zitti…»

      Si volse all’uomo, intuendo che quello avrebbe parlato più facilmente, mentre la donna gli avrebbe dato filo da torcere.

      «Venite qui, voi… e rispondetemi…»

      Il portinaio fece un passo avanti, ma la moglie lo afferrò e lo trasse da una parte con tanta violenza da farlo vacillare.

      «Io, io!… Interroghi me! Che cosa vuole che sappia, lui?… Di giorno sta al Municipio… È impiegato… Guadagna trecentosettantacinque lire al mese! Bella roba!… È vero che non sa far niente! E la sera mangia e va a dormire! Che vuole che sappia?»

      «E voi, invece?»

      «Io sto tutto il giorno in portineria. Conosco tutti! E la sera fino a mezzanotte rimango in piedi… Chiudo il portone alle undici; ma prima che possa andarmene a letto ce ne vuole!…»

      De Vincenzi si volse a Maccari:

      «Li conosci, tu?»

      «Mai visti!… Siete mai venuti al Commissariato, voi due?»

      La donna protestò con indignazione.

      «Mai! Oh! Che crede?»

      Il commissario si strinse nelle spalle:

      «Io? Niente!»

      De Vincenzi aveva interrogato con gli occhi Cruni e i due agenti, ma anche costoro avevano scossa la testa.

      «Bene!» esclamò De Vincenzi. «Allora, venite qui voi, donnetta mia, ma rispondete soltanto alle mie domande, senza far tante chiacchiere. Capito?»

      «Purché mi domandi quel che so!…»

      Il commissario, prima di continuare con lei, si volse al brigadiere:

      «Cruni, andate giù. Quando vengono da San Fedele con… Quel signore… Fermatelo e fatelo entrare in portineria. Manderò io a chiamarlo.»

      Cruni scomparve ancora nell’ingresso e De Vincenzi si volse alla donna, che seguiva tutti i suoi movimenti, curiosamente, con un sorriso quasi ironico sulle labbra.

      «Dunque… A che ora avete chiuso il portone, questa notte?»

      «Alle undici. E a che ora voleva che lo chiudessi?»

      «Tutto il giorno e la sera siete stata in portineria»

      «Che domanda! Oh! Dove voleva che stessi?»

      «Cercate di ricordarvi bene, prima di rispondermi… Avete visto il signor Aurigi, durante la giornata?»

      La donna alzò le spalle.

      «Sì naturalmente… Usciva… Entrava…»

      «Le ore. Ditemi le ore in cui lo avete veduto. Ma pensateci bene!»

      Il volto della portinaia appariva ineffabile.

      «E come faccio? Durante il giorno passa tanta gente! Sarà uscito ed entrato alle ore solite… La mattina alle undici, non esce mai prima… Poi rientra all’una… Esce nel pomeriggio… Aspetti… Oggi dev’essere uscito verso le tre e tre quarti. Lo so, perché m’ha chiesto se era venuto qualcuno a cercarlo e proprio allora stavo stirando… E poco dopo erano le quattro, perché ho smesso di stirare e so che erano le quattro, perché ho guardato l’orologio. Alle quattro e mezzo doveva venire l’amministratore e volevo fargli trovare tutto in ordine… Non che non sia sempre in ordine,


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