I figli dell'aria. Emilio Salgari

I figli dell'aria - Emilio Salgari


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Rokoff, vedendo che lo «Sparviero» si allontanava dalla capitale.

      – A far colazione per ora – rispose il capitano. – La pianura di Pechino non ha nulla d’interessante per trattenerci qui. Più tardi vi sarà qualche cosa da vedere, prima di andarcene verso la grande muraglia.

      – Ma la vostra direzione quale sarebbe? – insistette Rokoff.

      – Il nord – rispose asciuttamente il capitano. – Macchinista è pronta la colazione?

      – Sì, signore.

      – Venite – disse il comandante volgendosi verso Rokoff e Fedoro. – Suppongo che avrete fame.

      – Come lupi a digiuno da una settimana – rispose il cosacco. – Le razioni dei carcerati non sono abbondanti nelle prigioni cinesi.

      – Lo so, anzi si corre sovente il pericolo di morire molto spesso di fame – disse l’aeronauta. – Si fa molto economia là dentro.

      Il macchinista, legata la piccola ruota del timone che serviva a far agire le alette di poppa, in pochi istanti aveva apparecchiata la tavola situata dietro la macchina, al riparo d’una tenda.

      Tovaglia di Fiandra finissima, piatti e posate d’alluminio, bicchieri di cristallo di Boemia, poi tondi contenenti dell’arrosto freddo, delle costolette, dei salumi, delle frutta: ricchezza, buon gusto ed abbondanza insieme.

      Una cosa aveva però subito colpito il russo ed il cosacco: vivande e frutta erano coperte da un leggero strato scintillante che pareva ghiaccio.

      – Assaggiate questo capretto arrostito – disse il capitano. – Quantunque sia stato cucinato in Giappone, deve essere ancora squisito.

      Rokoff e Fedoro si guardarono l’un l’altro con stupore.

      – Anche queste costolette, sebbene arrostite a Tahiti, devono essere eccellenti.

      – Ma… scherzate? – chiese il cosacco,. il cui stupore era al colmo.

      – E questo pasticcio di carne che ho fatto preparare a San Francisco di California? – continuò il comandante, che pareva si divertisse molto della meraviglia dei suoi ospiti. – Ho però di meglio. Ecco una trota preparata a Nuova York, in uno dei principali alberghi. L’hanno messa a friggere quarantadue giorni or sono, pure rispondo della sua freschezza. Assaggiate, signori miei. Se fosse stata pescata ieri sera, non sarebbe più deliziosa.

      Rokoff che amava il pesce, quantunque poco persuaso delle parole dette dal capitano, si provò ad assalire quella trota che veniva dalla lontana capitale degli Stati Uniti.

      – Che cosa dite? – chiese il comandante, con accento malizioso.

      – Squisita… eccellente… solamente la trovo terribilmente fredda… come se fosse stata pescata in qualche fiume gelato della Siberia e lasciata a ghiacciare per un mese. Avete dunque una ghiacciaia a bordo del vostro «Sparviero»?

      – Sì, e una ghiacciaia che vi farebbe gelare per sempre in meno di due minuti – rispose il capitano.

      – Avete qualche macchina da ghiaccio?

      – Ho di meglio, signor Rokoff. A voi queste uova. Provate a spezzarle

      – Sono coperte da uno strato di ghiaccio.

      – Vi pare ma non sono tali. Rompetele e mangiate.

      Il cosacco tentò di aprirle, ma il guscio resistette a tutti i suoi sforzi.

      – Vi occorre un martello – disse il capitano. – Il macchinista le ha lasciate gelare troppo. Assaggiate invece questo ananas raccolto alle Marianne.

      – Sembra un blocco di ghiaccio.

      – Sarà migliore così, perché nulla avrà perduto del suo sapore e del suo profumo. E voi, signor Fedoro, come trovate quel pasticcio di San Francisco?

      – Non ne ho mai mangiato uno più gustoso, però mi si gelano i denti.

      – Bisognava lasciarlo un po’ più esposto al sole. Non avevo pensato che voi non siete abituati a cibi così freddi. Macchinista, una buona bottiglia di gin e di whisky. Ci riscalderà un po’.

      Il capitano, ch’era diventato d’una amabilità straordinaria, servì ai suoi ospiti dell’eccellente whisky, poi offrì delle sigarette e delle pipe.

      – Ed ora, – disse – voglio soddisfare la vostra curiosità, perché suppongo che non mi lascerete troppo presto. Se dovessi deporvi qui, i cinesi non tarderebbero ad acciuffarvi ancora e più innanzi non vi converrebbe lasciarmi.

      – Ma dove andate? – chiese Rokoff.

      – Vi piacerebbe tornare in Europa a bordo del mio «Sparviero»?

      – In Europa! – esclamarono il russo ed il cosacco ad una voce.

      – Noi faremo la traversata dell’Asia – rispose il capitano.

      – Chi rifiuterebbe una simile proposta! – esclamò Rokoff con entusiasmo.

      – Non avete paura a seguirmi?

      – Oh no, signore! Abbiamo troppa fiducia in voi e nel vostro «Sparviero».

      – Voi però potreste supporre di aver salvato due bricconi – disse Fedoro.

      – Ho avuto il tempo di apprezzarvi e d’altronde so che voi siete uno dei più ricchi negozianti di tè della Russia meridionale e che il vostro amico è un ufficiale dei cosacchi. Tali persone non possono essere dei banditi.

      – Come sapete questo? – esclamò Fedoro.

      – Lo so e basta, è vero, signor Rokoff? – disse il capitano. – Più tardi mi racconterete le vostre avventure; per ora occupiamoci del mio «Sparviero».

      I PRODIGI DELL’ARIA LIQUIDA

      Il capitano si alzò, fece il giro del ponte guardando l’immensa pianura che si estendeva sotto la macchina volante, si fermò un istante dinanzi ai barometri ed ai termometri appesi alla balaustrata, scambiò alcune parole col macchinista in una lingua sconosciuta, poi tornando verso la tavola, accese una sigaretta e si sedette.

      – Ditemi, signori miei, – disse, guardando con aria di grande condiscendenza i suoi due compagni di viaggio – siete soddisfatti delle evoluzioni compiute dal mio «Sparviero»?

      – È una macchina perfetta, davvero stupefacente – disse Rokoff con convinzione.

      – È lo scioglimento della questione della navigazione aerea – aggiunse Fedoro.

      – Sì, il vero scioglimento – disse il capitano, – Da parecchi lustri, gli scienziati studiano invano per trovare un pallone dirigibile che permetta all’uomo di solcare l’aria con piena sicurezza e senza porsi in balia delle correnti aeree così mutabili e sovente così pericolose. Quali risultati hanno ottenuto i loro studi? Nessuno di certo che sia per lo meno pratico. E sapete il perché? Perché hanno trascurato la meccanica, ostinandosi invece coll’idrogeno. Le innumerevoli catastrofi che si sono susseguite dall’innalzamento delle prime mongolfiere agli ultimi e più perfezionati palloni, non li hanno ancora persuasi che col gas non si deve avere troppa sicurezza. Si è fatto un gran chiasso intorno agli esperimenti di Giffard e di Renard coi loro palloni dirigibili, perché quest’ultimo era riuscito, con tempo calmo, a compiere un breve tragitto tornando al punto di partenza; ha sollevato immenso entusiasmo il brasiliano Santos Dumont; si attendono meraviglie dal pallone del conte da Schio, un italiano, e da altri ancora. Ebbene si provino costoro a tentare una lunga traversata, a sfidare venti impetuosi, ad affrontare uragani. I loro palloni, nonostante le loro eliche e la forza delle loro macchine, verranno abbattutti, squilibrati, trascinati e altre catastrofi si seguiranno.

      – Lo credo anch’io – disse Rokoff.

      – Per molto tempo – proseguì il capitano – mi sono pur io ostinato coi palloni dirigibili. Ho fatto costruire fusi semplici e accoppiati, ho fatto perfezionare macchine a petrolio ed a benzina, spendendo somme enormi e senza risultati pratici. Eppure oggi abbiamo motori potenti e leggeri, abbiamo metalli del pari leggeri e solidi


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