Egitto. Cagni Manfredo
sistema tennero le colonie greche in Italia, e nell'epoca medioevale, per l'abituale stato di guerra, si imitò da noi l'esempio dato dai greci. L'Acropoli di Alessandria contava nei tempi andati fra le più importanti.
La borgata di Rachotis, già menzionata, fu la culla di Alessandria ed era un posto militare stabilito dai Faraoni per sorvegliare la costa contro le imprese libiche dal lato Ovest.
Al dire di Tacito, in questo posto militare esisteva un antico santuario d'Iside e di Osiride, che si tramutò in seguito nel celebre Serapeum.
L'antico posto militare dei Faraoni conservò ancora all'epoca Greco-Romana la sembianza della sua antica destinazione. Il Santuario fu ricostruito da Tolomeo II, detto per ironia Filadelfo (amico dei suoi fratelli), per le sanguinose persecuzioni, che esercitò contro tutti i principi della sua famiglia.
Il tempio venne riedificato con quella splendidezza principesca, alla quale Filadelfo aveva abituati gli Alessandrini.
Il posto militare crebbe per importanza e per estensione; dopo Costantino si conservava ancora come vera cittadella.
Dall'alto di questa fortezza l'imperatore Caracalla potè freddamente contemplare il massacro degli abitanti di Alessandria.
La cinta fortificata dell'Acropoli, o posto militare, ebbe a sostenere molti assedi; il più memorando fra tutti fu quello sotto Teodosio, quando gli Alessandrini, riuscendo a prendere di assalto la cinta, corsero a distruggere il Serapeum (il maschio della fortezza), collo stesso accanimento che più tardi i Parigini impiegarono alla presa della Bastiglia.
Il piano generale del Serapeum era il seguente. Aveva all'esterno l'aspetto di una fortezza; nessuna via di accesso, tranne una scala monumentale di cento gradini, che conduceva al propileo del tempio, chiuso da robuste inferriate. Questa lunga scala non aveva accessi laterali e continuava, non interrotta, per lo sviluppo dei cento gradini.
Il tempio, vera Acropoli, aveva forma quadrata; nel suo centro un piazzale circondato da colonne.
A questo largo tenevano dietro portici simmetrici di proporzioni ammirevoli. Mediante questi portici, il piazzale centrale rimaneva separato dalla famosa biblioteca e dai locali riservati al culto degli Dei. La ricchezza del portico era straordinaria: il soffitto dorato coi capitelli delle colonne in bronzo dorato; negli interstizi delle colonne numerosi capolavori di un valore inestimabile.
Al centro dell'Acropoli sorgeva ed esiste tuttora la meravigliosa colonna diocleziana, conosciuta generalmente sotto la denominazione di colonna di Pompeo, di mole straordinaria, di forma elegante e corretta nelle sue proporzioni.
Eccone le dimensioni:
L'ingegnere capo dei ponti e strade, Saint-Genis, che sul finire del secolo scorso accompagnò Bonaparte nella sua spedizione in Egitto (1798), esclama pieno di ammirazione:
«Questa colonna è non solamente il principale monumento che colpisca la vista ed ecciti meraviglia nel percorrere il suolo di Alessandria, ma da lontano essa domina la città, i minareti, gli obelischi ed il castello del Faro; essa serve in mare per orientamento alle navi e guida gli Arabi nelle vaste distese del deserto.»
La colonna di Pompeo si trovava un tempo dentro il recinto della città; ora si trova un chilometro circa distante dalle mura della città moderna verso il lago Mareotide.
Se questo superbo monolite, unico nel suo genere, esiste tuttora, lo si deve all'enorme suo peso, che non ha concesso agli Arabi di scalzare le pietre, su cui posa la sua base.
La colonna è di ordine corinzio, con proporzioni bellissime, elegante di forme e svelta nella sua superba mole.
Il fusto è di un solo pezzo di granito rosso.
Coi recenti scavi operati sotto l'intelligente iniziativa dell'italiano cav.Botti, Direttore del Museo di antichità in Alessandria, che per la sua onesta operosità e per le sue estese conoscenze archeologiche onora sè stesso ed il nostro paese, si è potuto penetrare in una galleria già esistente e discendere sino al disotto della base della colonna di Pompeo; dal qual punto s'irradiano altri sotterranei, ingombri di macerie ed in gran parte da esplorarsi.
Dipenderà dai mezzi pecuniari, di cui potrà in seguito disporre la società archeologica di Alessandria il mettere allo scoperto altri preziosi avanzi, partendo dal concetto, che il terreno sottostante, che attornia la colonna pompeiana, racchiude nelle sue viscere importanti reliquie della grandezza dell'antica città.
Presentemente gli scavi si fanno nella Necropoli occidentale, nel tempio sotterraneo di Ecate a Souk-el-Wardiana sul mare. L'asse del tempio misura 60 metri. Le are pei sacrifizi furono trovate al centro della sala ipostila, che precede la rotonda.
CAPITOLO III
La valle del Nilo, sorta in gran parte dal seno delle acque, e che in ogni anno viene inondata, non può nutrire che un numero limitato di vegetali.
Il sicomoro e varie qualità di acacie e di mimose hanno mezzo di prosperare. Il melagrano, il tamarindi, l'albicocco, il fico, ornavano i giardini degli antichi Egizi; e la presenza del pesco sui monumenti della XII Dinastia ci attesta, che Diodoro commise un errore nell'attribuire al Persiano Cambise il merito di avere pel primo introdotto in Egitto quest'albero. Due specie di palmizi sorgono quasi senza coltura; ma nessuna delle nostre grandi piante di Europa si è potuta acclimare in quella parte della vallata più specialmente conosciuta dagli antichi.
Al contrario le piante acquatiche si sviluppano con una ricchezza di vegetazione straordinaria e danno alla regione un aspetto caratteristico. Esse non si trovano, in generale, lungo gli argini, dove la profondità dell'acqua e la forza della corrente non concederebbe loro di crescere in pace; ma i canali, gli stagni e le paludi, che l'inondazione lascia dietro di sè, ne sono del tutto ingombri.
Due specie sopratutto, il papiro ed il loto, sono conosciute in Europa in causa del posto che occupano nella storia della religione e della letteratura sacra e profana dell'Egitto.
Il papiro si compiaceva di starsene nelle pigre acque del Delta e diventò il mistico emblema di quella regione; il loto per contro venne scelto quale simbolo della Tebaide.
Gli antichi comprendevano sotto il nome di loto tre specie diverse di ninfee. Due di esse, il loto bianco ed il loto azzurro, portano frutti simili, nella forma, al papavero; i loro calici racchiudono piccoli grani della dimensione di quelli del miglio. La terza specie, la ninfea rosa, è molto esattamente descritta da Erodoto. Essa produce un frutto sopra uno stelo che non è quello del fiore e viene fuori dalla radice stessa.
Questo frutto è somigliante nella forma al pane di cera delle api od alla bocchetta di un innaffiatoio. Nella sua parte superiore vi sono venti o trenta celle contenenti un grano della grossezza di un nocciolo di olivo ed è buono a mangiarsi, tanto fresco quanto disseccato. È appunto questo nocciolo che gli antichi chiamavano fava di Egitto. Egualmente, aggiunge Erodoto, si raccolgono ogni anno i prodotti del papiro.
Dopo averlo schiantato dalle paludi, si tronca la parte superiore del papiro, ed il rimanente riesce a un dipresso della lunghezza di un braccio.
Serve di nutrimento e si vende sulle pubbliche strade; tuttavia i buongustai non lo mangiano che dopo averlo fatto cuocere nel forno. Questo pane di fiordaliso era una ghiottoneria ricercata e ad un tempo appariva sempre sulle tavole reali.
Ma checchè ne dica lo storico Erodoto, il nutrimento abituale del popolo sono il grano e le diverse specie di cereali, il frumento, l'orzo, il sorgo, l'olivo e la zèa (una specie di meliga), che l'Egitto solo produce in abbondanza. La vesca, il lupino, la fava, il pisello, la lenticchia e molte specie del ricino venivano spontaneamente nei campi; i vigneti prosperavano in alcune località del Delta; l'olivo, assai raro, non si riscontrava che in determinati punti, ed ignota era ancora in quei tempi la canna di zucchero.
Molte specie di animali, che vivono presentemente sulle rive del Nilo, il cavallo, il cammello, la pecora, non apparivano sui monumenti delle più antiche