Il Quadriregio. Frezzi Federico
Se mai il dispettai, io me ne pento;
se mai il gran Cupido io ebbi a vile,
dico «mia colpa» e dico «me ne mento».
Con la potenza dell'orato astile
di mie parole folli ora mi paga
90 e col foco, che al cor va sí sottile.
Ma io il prego o che il dardo ritraga,
che m'ha ferito il cor, o che mi uccida,
sí che la morte risani la piaga. —
Ed io a lei: – Cupido fu mia guida
95 insino a te, ed egli mi promise
donarti a me con sua parola fida. —
Udito questo, il viso sottomise;
poi disse sospirando e con vergogna:
– Perché, quando ferí, e' non mi uccise?
100 – Da che egli vuole, e questo esser bisogna
– diss'io a lei, – io prego che mi dichi
se tu se' mia, e non mi dir menzogna. —
Come la sposa, cui pudor fatichi,
cosí un «sí» de' labbri gli uscí fuore
105 pur con vergogna e con atti pudichi.
Il viso bianco di smorto colore
prima dipinse e poscia si fe' rosso
de' due color, che fuor dimostra Amore.
Poi disse: – Oimè, oimè che piú non posso
110 celar l'amor! – E questo ella dicendo,
cadea, se non che io gli tenni il dosso.
Soggiunse poi: – Amor, a te mi rendo:
non trova l'arco tuo difesa o scudo;
però invan contra te mi difendo. —
115 Poi disse a me: – O amoroso drudo,
io prego te, da che Amor mi ti dona,
che contra me non sie cotanto crudo,
che tu mi lievi la bella corona,
che io porto in testa e la qual io mi vinsi,
120 e che mai non mi lasci per persona. —
Io gliel promisi e per fede gli strinsi
la bianca mano e con le braccia stese
il capo bianco e 'l collo ancor gli avvinsi.
Contro l'amor non fe' poi piú difese
125 la bella ninfa e mostrossi sicura,
pur con vergogna ed onestá cortese.
Cercando andammo per quella pianura,
e poi salimmo ad alto suso al monte,
in tanto che la notte si fe' oscura.
130 Era giá Febo sotto l'orizzonte
ben venti gradi, ed ella mi condusse
in un bel prato, ov'era un bello fonte.
Ed in quel loco tanto vi rilusse
la chiara luna, che per quella valle
135 ogni fiore io vedea qual e' si fusse.
Di fiori e di viol vermiglie e gialle
la bella ninfa tutto mi coprío;
e poi sul prato mi posai le spalle.
E quando all'oriente in pria apparío
140 il chiaro sol, trovai che n'era andata,
e posto un sasso scritto al capo mio,
nel qual dicea: «Sappi ch'io son tornata
a dea Iunone, alla regina mia;
che colle mie compagne io sia trovata.
145 Tu sai che dea Iunone, andando via,
di lassarmi a Diana ell'ha promesso
che con lei io rimanga in compagnia.
In questo tempo che star m'è concesso,
staremo ed anderem come a noi piace,
150 cercando e boschi e balzi e scogli spesso.
Fatti con Dio e tieni occulto e tace;
e prego che a vedermi torni tosto,
ché solo in veder te 'l mio core ha pace».
Oh lasso! a Invidia nulla è mai nascosto,
155 c'ha mille orecchie la malvagia e rea,
e l'occhio suo in mille lochi è posto.
Questa n'andò all'una e all'altra dea,
dicendo: – Or non sapete ch'una dama
qui delle vostre, chiamata Lippea,
160 il giovinetto qui venuto ell'ama
col core e coll'amor tanto fervente,
che sol per lui di rimaner ha brama? —
E, detto questo, sparí prestamente.
CAPITOLO IX
Come la ninfa Lippea si duole che le convien partire.
Letto ch'io ebbi ciò che nel sasso era,
io mi partii e dentro uno spineto
mi posi a stare ascoso insino a sera,
acciò che il nostro amor fosse segreto.
5 Presso all'occaso ed io scendea la costa
e per veder Lippea andava lieto.
Ed una driada disse: – Fa', fa' sosta —
forte gridando, ond'io maravigliai
e 'nsin che giunse a me, non fei risposta.
10 Quando fu a me, ed io la domandai.
– Non sai – rispose – ciò ch'è