Il Quadriregio. Frezzi Federico

Il Quadriregio - Frezzi Federico


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l'onor che insieme si comparte. —

              E poi la 'ncoronò con grande onore

         50 e nel carro la pose seco appresso,

              con la grillanda di tanto valore.

              Iunon, che stava non molto da cesso,

              diede a Lisbena un arco d'unicorno

              per premio della caccia a lei promesso,

         55 tutto smaltato d'un bianc'osso eborno,

              e d'una pelle d'orso un bel carcasso

              fulcito tutto d'oro intorno intorno.

              Diana intanto il carro a passo a passo

              mosse verso Iunon; e, giunta a lei,

         60 riverenza gli fe' col capo basso,

              dicendo: – O gran regina delli dèi,

              Lippea, che sta meco qui presente,

              tanto m'è grata e piace agli occhi miei,

              che, se a te piace ed ella me 'l consente,

         65 prego che facci che meco rimagna

              insino all'altra festa rivegnente

              e non sia grave a lei nostra montagna;

              ché meco la terrò non come ancella,

              ma come mia carissima compagna. —

         70 La dea assentío ed anche Lippea bella;

              e l'altre ninfe ne fenno allegrezza,

              mostrando ognuno insieme esser sorella.

              E tutto il loco s'empí di dolcezza,

              di canti e balli su nel verde prato,

         75 il quale ha ben sei miglia di larghezza.

              Cupido, ed io con lui, stava occultato;

              e dalle dèe sí poco er'io distante,

              ch'io intendea lor parlar da ogni lato,

              quando l'Amor mi disse: – Tutte quante

         80 le ninfe hai viste; or, dimmi, qual tu vuoi?

              a qual ti piace piú esser amante? —

              E detto questo, d'un de' dardi suoi

              d'oro ed acceso mi percosse il petto,

              e beffeggiando se ne rise poi.

         85 Ed io a lui: – Il grato e bello aspetto

              della gentil Lippea tanto eccede,

              che nulla paion l'altre a lei rispetto.

              Ma perché non è esperta, non s'avvede

              ch'io l'ami e che di lei m'abbi ferito,

         90 e la mia pena occulta ella non crede.

              Per quella fé, con la qual t'ho seguito,

              ferisci ancora lei, perché s'avveggia

              quant'ha valore in sé l'arco tuo ardito. —

              Cupido rise come chi beffeggia;

         95 cosí ridendo da me disparío

              sí come un'ombra o cosa che vaneggia.

              – Ove ne vai – diss'io, – o falso dio?

              perché mi lassi? Or veggio ben ch'è folle

              chi pone in te speranza ovver desio. —

        100 In questo, come mia fortuna volle,

              una schiera di cervi giú emerse

              e discese nel pian suso dal colle.

              Le ninfe tutte per la valle sperse

              cursono a far la caccia per lo piano

        105 per vari lochi e vie aspre e diverse.

              Lippea coll'arco bello, ch'avea in mano,

              seguí un cervio, ch'andò verso il monte

              e passò a lato a me poco lontano.

              Sola soletta e con le voglie pronte

        110 gli andava dietro su tra il bosco incolto,

              ferendo lui con le saette cónte.

              Ed io, che stava lí in quel loco occolto,

              per ritrovarla dietro a lei mi mossi,

              e tra le frondi del boschetto folto

        115 due miglia o quasi cred'io andato fossi,

              ch'io la trovai, e la fiera avea morta,

              in prima dato a lei mille percossi.

              E quand'ella di me si fo accorta,

              lassò il cervio e misesi a fuggire

        120 su verso il monte timidetta e smorta.

              E dietro a lei io comincia' a dire:

              – O ninfa bella, io prego, alquanto ascolta,

              prego che mie parole vogli udire. —

              Come il cacciato cervio si rivolta

        125 sol per veder se il seguitan li cani,

              cosí ella facea alcuna volta.

              E poi fuggía tra quelli boschi strani,

              ed io seguíala tra le acute spine,

              che mi strappavan le gambe e le mani.

        130 – Perché fuggendo sí ratto cammine? —

              diceva io a lei. – Io prego che ti guardi

              che tra li boschi e scogli non ruine.

              Deh! perché non ti volti e non mi sguardi?

              Di te ferito m'ha, o cara gioia,

        135 il falso Amor co' suoi orati dardi.

              Se tu non m'hai pietá, non ti sia noia

              almen ch'io t'ami; e questo sol domando,

              se tu non vuoi ch'io manchi ovver ch'io muoia.

              Io prego il sacro Amor ch'io veggia il quando

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