Il Quadriregio. Frezzi Federico

Il Quadriregio - Frezzi Federico


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a saettar la terza fue

              e die' sí ritto, che quasi toccata

         90 fu la grillanda nelle frondi sue.

              Lippea trasse la quarta fiata

              e ritto tanto, che toccò una fronde,

              che cadde in terra dal colpo levata.

              Le sue compagne si fenno gioconde,

         95 perché credetton che dentro passasse;

              ma spesso il fatto al creder non risponde.

              Pallia poi un'altra volta trasse,

              prima pregando la sua dea Diana

              che 'l dardo alla corona dirizzasse.

        100 Ma la saetta tratta andò lontana

              dalla grillanda forse quattro dita,

              sí che la prece e la spene fu vana.

              Lippea bella giá s'era ammannita,

              e, dopo lei, col suo duro arco scocca

        105 una saetta leggiadra e polita.

              Da lei fu un poco la grillanda tócca,

              non dalla punta, ma sol dalla penna,

              c'ha la saetta appresso della cocca.

              E, dopo questa poscia, trasse Ursenna,

        110 Lisbena poi; e giá secondo il patto

              due volte ognuna avea tratto a vicenna.

              Ognuna ancora avea a fare un tratto;

              e Pallia pria, per aver la corona,

              vòlta a Diana con riverente atto

        115 disse: – Se mai, o dea, la mia persona

              servito ha te con arco e con faretra,

              a questo colpo la grillanda dona. —

              Poscia a misura, come un geomètra,

              nella corona sí forte percosse,

        120 che ne fe' d'ella sbalzare una pietra.

              Nel centro avrebbe dato, se non fosse

              che Iuno in quella fe' venire un vento,

              che 'l dardo alquanto dal segno rimosse.

              Ursenna, lieta d'esto impedimento,

        125 prese la mira per voler poi trare,

              col core e con lo sguardo ben attento.

              Non die' nel mezzo, ov'ella credea dare;

              ma la toccò e commossela alquanto,

              ma non però che la fêsse voltare.

        130 Ora in due era omai rimaso il vanto

              della battaglia e della gran contesa;

              e queste eran pregate da ogni canto.

              – Fa', o Lisbena, che vinchi l'impresa

              e getta sí, che non abbiam vergogna,

        135 con l'arco al segno e con la mente intesa.

              – Soccorri, o dea Diana, or che bisogna

              – disse Lisbena, – e se lo mio quadrello

              tu fai che dentro alla grillanda io pogna,

              offerta farò a te d'un bianco agnello,

        140 di bianchi gigli e bianchi fior coperto,

              e d'un bel cervio a Febo tuo fratello.

              Egli è signor e dio e mastro esperto

              di trar con l'arco: egli ferí Fetonte,

              il quale un gran paese avea deserto. —

        145 Lippea ancora al ciel con le man gionte

              a dio Cupido insú alzava il volto,

              che stava meco ascosto a piè del monte.

              – Derizza il dardo mio, ti priego molto,

              o dio d'amor, sí come tu percoti

        150 col dardo che nel cor a tanti è còlto. —

              Poich'ebbon fatti molti e grandi voti

              e che pregato avean con gran desire,

              mostrando gli atti e' sembianti devoti,

              trasse Lisbena, a cui toccò il ferire;

        155 e 'l dardo dentro alla grillanda colse

              in un de' lati e torta la fe' gire.

              In quel che la corona si rivolse,

              gittò Lippea nella circonferenza;

              e 'l dardo trapassolla e lí si folse.

        160 Ora tra lor comincia grande intenza,

              ché l'una e l'altra la grillanda vuole,

              credendo ognuna aver giusta sentenza;

      e diceano a Diana este parole.

      CAPITOLO VI

      Della caccia del cervo per la gara della ghirlanda tra Lisbena e Lippea.

              – O dea Diana, o figlia di Latona,

              discerna tua prudenza e tuo gran senno

              chi di noi due debbia aver la corona. —

              Diana, udito questo, fece cenno

          5 che l'una e l'altra andasse a dea Iunone

              con riverenza; ed elle cosí fenno.

              Lisbena in pria, che crede aver ragione,

              umilemente abbassa le ginocchia;

              e mosse po' a Iunon questo sermone:

         10 – O del gran Iove mogliera e sirocchia,

              mira l'onor della mia compagnia,

              mira se ho ragione, e bene adocchia.

              Io trassi alla corona alquanto pria;

              e poi Lippea; ma non trasse ad ora,

         15 ché giá pel colpo ell'era


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