Il Quadriregio. Frezzi Federico
anco alla battaglia io lo disfido
ch'egli abbia possa a innamorarmi un poco,
e del vano arco, il qual portare egli usa,
150 secura io me ne vo in ogni loco.
Il petto mio trasmutato ha Medusa
contro l'Amor in sasso e 'n dura pietra,
ed a piacergli ha ogni porta chiusa,
sí che suoi dardi e sua vile faretra
155 niente curo; e bench'egli mi fera,
il colpo suo mia carne non penètra. —
E perché ogni ninfa è piú leggera
assai che l'uomo, da me dipartisse,
correndo come veltro ovver pantera,
160 e 'nsin che fu a Diana, non s'affisse.
CAPITOLO VIII
Come Cupido, irato con la ninfa Lippea, la ferí d'una saetta d'oro.
Io era solo e scornato rimaso,
quando scontrai in quella via smarrita
Cupido, come andasse quindi a caso.
E disse a me: – Lippea ov'è fuggita,
5 che m'ha sfidato e mette me a dispetto?
Ma converrá che da me sia punita,
ch'io gli trapasserò il core e il petto
con un acceso dardo delli miei;
e farla a te soggetta io ti prometto.
10 Io, che ho domato Iove ed altri dèi
con la potenza della mia saetta,
non vincerò, non domerò costei? —
Quando egli disse voler far vendetta,
pensa, lettore, s'io mi feci lieto,
15 da che affermava a me farla soggetta.
Egli si mosse, ed io gli andai dirieto;
e sempre per la costa andò all'ingiúe
tra 'l duro bosco e l'aspero spineto.
Quando presso alla valle giunto fue,
20 vidi io Lippea che guidava il ballo
'nanti alle dèe con le compagne sue.
L'arco suo dur, che mai ferisce in fallo,
prese Cupido, e d'uno stral gli diede
a venti braccia forse d'intervallo
25 sol nelli panni e giú appresso il piede;
ché se a lor desse in petto o molto forte,
sí come a' viri ed agli dèi e' fiede,
perché ad amar le ninfe non son scorte,
pel grande incendio del sacrato foco
30 verrebbon meno e caderebbon morte.
Il caldo cominciò a poco a poco
passargli al cor con l'infocato dardo;
e giá ferita non trovava loco.
Lippea allora a me alzò lo sguardo
35 e con gli occhi mirommi, con li quali
tanto m'accese il cor, ch'ancora io ardo.
L'Amor, movendo poi le splendide ali,
per man menommi insino alla fontana,
menacciando anco con suoi duri strali.
40 Di me s'avvide allora dea Diana
e disse irata e con acerbo volto:
– Or che fa qui quella persona strana? —
Lo dio Cupido meco s'era folto,
ma non veduto; ch'egli alla sua posta
45 si può manifestare e farsi occolto.
Egli mi disse: – Fa', fa' la risposta. —
Onde io andai, e riverente e chino
mi posi al carro suo appresso e a costa.
E dissi a lei: – Mio caso e mio destino,
50 o dea, m'ha qui condotto nel tuo regno
per uno errante ed aspero cammino.
Forse Dio il fe' che alla tua festa vegno:
per lui ti prego, o alma dea selvaggia,
che non mi scacci e che non m'abbi a sdegno.
55 E prego te che una grazia io aggia:
che come starvi Ippolito a te piacque,
cosí possa io tra questa turba gaggia. —
E come chi consente, ella si tacque:
cosí sospeso e dubbioso rimasi
60 e tornai a Cupido presso all'acque.
Il carro della dea ben venti pasi
dal fonte, a mio parere, era distante,
e 'l sol calato all'orizzonte o quasi,
quando con vergognoso e bel sembiante
65 venne Lippea inverso il fiumicello,
ond'io andai dicendo a lei davante:
– O ninfa mia gentil col viso bello,
deh! non t'incresca e non aver temenza
se io, che tanto t'amo, ti favello.
70 Perché pur fuggi e pur fai resistenza
a quell'Amor, ch'anco li dèi percote
con le saette della sua potenza? —
Sí come onesta donna, che non puote
soffrir lascivo sguardo, sottomette
75 e abbassa gli occhi e fa rosse le gote:
cosí fece ella alle parole dette,
che abbassò il